di Israel Shamir
fonte: The Truth Seeker
Traduzione di Gianluca Freda
Sono usciti, hanno rischiato le loro vite, superato l’esercito, rovesciato i reticolati, scavalcato il filo spinato, spazzato via il confine fra due stati, hanno compiuto infiniti atti eroici, degni di grandi guerrieri, subendo perdite. E una volta passati, sono andati nei negozi a comprare pane per i loro figli. Ciò rende l’idea di quanto sia bugiarda l’immagine dei palestinesi che gli ebrei hanno cercato di radicare nella coscienza del mondo: quella di fanatici, violenti e selvaggi, senza più controllo. Invece, questa gente è uscita di prigione ed è andata a comprare pane. Il che significa che erano stati ridotti alla fame dai loro padroni ebrei. Passerà del tempo prima che possiamo ricevere del Medio Oriente un quadro più eloquente di quei padri di famiglia che portano pane alle loro case.
Sono così normali, questi abitanti di Gaza, come voi e me. Conducono le loro vite normali, in una banca o in un garage, ma ricevono un trattamento da medioevo. Prima sono stati privati delle loro proprietà e recintati dentro Gaza, poi sono stati trattati come neanche i cani dovrebbero essere trattati; non gli è stato permesso di viaggiare su una strada se quella strada viene usata da un ebreo, non gli è stato più permesso di vedere le loro famiglie che vivono ad appena un miglio di distanza. E infine questo assedio. Niente cibo, niente con cui nutrire i loro figli. E nessun futuro, con Israele come vicino. Hanno sofferto per un unico crimine: quello di non essere ebrei, anche se, ironicamente, molti di loro sono discendenti di ebrei, alcuni con celebri nomi di famiglie ebraiche che avevano abbracciato Cristo o il Profeta.
Si pensava che avrebbero subìto in silenzio, ma gli abitanti di Gaza hanno molta dignità. Hanno votato per Hamas contro la volontà di Israele e dell’America e hanno espulso la banda collaborazionista di Dahlan. Ora hanno oltrepassato lo steccato e questo è stato un buon monito per tutti noi: non si può fare nulla restando nei limiti legali che i nostri nemici hanno imposto. C’è bisogno di una spallata, che si chiama Rivoluzione.
Quando i coraggiosi abitanti di Gaza sono tornati indietro, carichi dei loro fortunati acquisti, pane e riso, sale e biancheria, verdura e carne d’agnello, gli ebrei si sono sentiti decisamente infelici. I nativi rischiano di dimenticare che noi siamo Dio per loro: premiamo e puniamo, nutriamo e affamiamo. Invece di accettare la nostra sentenza, hanno preso il loro destino nelle proprie mani. Insieme a pane e riso, gli abitanti di Gaza porteranno a casa fucili e questo potrebbe costringerci a rimandare la grande offensiva già concordata con George W. Gli ebrei preferiscono assalire vittime disarmate.
Anche gli egiziani hanno deluso le aspettative ebraiche. “Penso che gli egiziani sappiano qual è il loro lavoro”, ha detto l’arrogante generale israeliano Ehud Barak. Il lavoro che costui aveva affidato all’Egitto era quello di carceriere dei suoi fratelli palestinesi. “Gli abitanti di Gaza non oserebbero mai rompere l’assedio verso il Sinai - scrivevano gli eruditi israeliani una settimana o anche solo un giorno fa – gli egiziani li accoglierebbero col fuoco delle mitragliatrici”. Quando ci fu una sparatoria, gli israeliani furono felici per un po’. Effi Eitam, un leader religioso ebreo di destra, che sembra “un ben nutrito maiale kosher con lo yarmulke [il tipico cappellino ebreo, NdT]” (come lo descrive Gilad Atzmon) ha scritto su Yediot Ahronot un editoriale grondante di lacrime di coccodrillo. Noi ebrei siamo così teneri e compassionevoli rispetto agli egiziani, ha scritto. Ma Mubarak vuole sopravvivere e sa che esistono limiti oltre i quali non può andare. Ha ordinato ai suoi soldati di non aprire il fuoco. Gli ebrei hanno frignato che gli egiziani devono rafforzare i confini e fornire la loro libbra di carne secondo gli accordi. Invano. Mubarak non vuole seguire Anwar as-Sadat all’inferno.
Profondamente contrariati, gli ebrei hanno guardato questo fiume di persone che usciva dalla loro prigione per godersi un intervallo. Del resto sono difficili da compiacere, questi ebrei. I palestinesi devono uccidersi a vicenda in una guerra civile o morire di fame perché gli ebrei siano soddisfatti.
Mio nonno lo fece, morì di fame e di stenti nel 1942 nel Ghetto di Stanislaw. I tedeschi e i loro quisling ucraini fecero agli ebrei ciò che gli ebrei stanno facendo agli abitanti di Gaza: li chiusero in un ghetto e li lasciarono lì dentro a morire di fame. Gli slogan dei nazisti, mutatis mutandis, erano presi anch’essi dal libro di Homerton-Barak: “devono soffrire perché i loro capi sono nostri nemici, devono essere puniti per il loro terrorismo rivoluzionario, che muoiano di fame perché i loro fratelli si oppongono alle truppe tedesche e bombardano le città tedesche”. Mio nonno Israel – ho preso il mio nome da lui – finì per soccombere alla fame, al freddo e agli stenti, non dovettero neanche sparargli; non era all’altezza del loro programma di omicidi mirati.
Aspetta, mi direte, com’è possibile che la riduzione alla fame degli abitanti di Gaza, voluta da Barak e Olmert, influenzi i tedeschi del 1942? Come possono essere loro i responsabili della morte di mio nonno?
La risposta viene dal linguaggio segreto del misticismo ebraico: Ein mukdam, ein meuhar beTorah. La successione degli eventi – nella Sacra Scrittura come nel mondo – è irrilevante, perché tutti gli eventi e le loro conseguenze hanno luogo nello stesso iper-tempo, che crea eterni circoli viziosi di gatto-che-insegue-il-topo-che-spaventa-l’elefante-che-schiaccia-il-gatto. Poincare e Einstein hanno tradotto questo concetto nel linguaggio della fisica moderna, descrivendo il tempo come solo una fra le dimensioni, che può essere curvata quanto le altre.
Douglas Adams lo ha reso popolare nei suoi romanzi: i suoi personaggi tornano indietro nel tempo per risolvere un problema, ci riescono, ma ad un certo prezzo: salvano un pesce, ma i dodo si estinguono, ritrovano la musica di Bach, ma perdono i poemi di Coleridge. La gente non si accorge che il mondo è cambiato: che adesso hanno un po’ più Bach, ma meno Coleridge. Solo coloro che possono uscire dalla cornice del tempo, sanno: il mondo cambia in continuazione come conseguenza delle nostre azioni, e questi cambiamenti producono effetti “avanti” e “indietro”, perché non esistono l’”avanti” e l’”indietro”. Così, gli armeni hanno massacrato e scacciato gli azeri e i loro antenati furono deportati nel deserto per soffrire per mano dei curdi; e i curdi pagano per questo crimine e per il loro appoggio all’occupazione americo-sionista.
E certe cose non si sono ancora materializzate, ma lo faranno: quando sento dire agli ebrei (e ai polacchi, e agli ucraini, e agli americani) che “Stalin era come Hitler” e che “non c’è differenza tra nazisti e comunisti” e li sento parlare di “antisemitismo russo”, so già che nel prossimo futuro l’Armata Rossa non combatterà contro i tedeschi, non libererà la Polonia e la Cechia, non aprirà i cancelli di Auschwitz e di Treblinka.
Questo mondo è giusto e il Signore è giusto. Egli punisce l’ingratitudine facendo scomparire i fatti per cui si dovrebbe essere riconoscenti.
Se commettete un’azione malvagia, il passato cambierà e vi prenderà a calci. Riducete alla fame gli abitanti di Gaza e vostro nonno morirà di sete e di fame. Torturate i palestinesi e i vostri antenati verranno torturati dall’inquisizione utilizzando gli stessi ragionamenti che voi applicate oggi ai vostri nemici. Trasformate Hebron in una prigione per i suoi abitanti e gli ebrei verranno massacrati nel 1929. Il crimine del maltrattamento dei palestinesi da parte degli ebrei viene punito perfino in questo momento. Non domandatevi chi muore di fame, chi è che viene torturato: è sempre qualcuno molto vicino a voi.
martedì 29 gennaio 2008
domenica 27 gennaio 2008
Camilleri,Mastella,la monnezza
di Roberto Cotroneo
da l'Unità
L’ immondizia in Campania, il ministro Clemente Mastella indagato e la moglie agli arresti domiciliari. Antonio Bassolino travolto dalle accuse. Totò Cuffaro, governatore della Sicilia condannato a cinque anni con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. E nonostante questo decide di non dimettersi. La politica, di centro destra come di centro sinistra, travolta da una vecchia storia che ci portiamo dietro da 150 anni, e forse di più. Fatta di due paroline semplici semplici: questione meridionale. Anzi, di più: la nuova questione meridionale, che ormai non è più soltanto emergenza criminalità, ma emergenza totale.
Siamo andati a bussare alla porta di Andrea Camilleri, siciliano, uno degli scrittori più famosi del mondo. Per capire assieme a lui i termini di questa emergenza, che rischia innanzi tutto di travolgere il centro sinistra, e l’intero paese.
Intervista al link http://www.antimafiaduemila.com/content/view/1668/48/
da l'Unità
L’ immondizia in Campania, il ministro Clemente Mastella indagato e la moglie agli arresti domiciliari. Antonio Bassolino travolto dalle accuse. Totò Cuffaro, governatore della Sicilia condannato a cinque anni con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. E nonostante questo decide di non dimettersi. La politica, di centro destra come di centro sinistra, travolta da una vecchia storia che ci portiamo dietro da 150 anni, e forse di più. Fatta di due paroline semplici semplici: questione meridionale. Anzi, di più: la nuova questione meridionale, che ormai non è più soltanto emergenza criminalità, ma emergenza totale.
Siamo andati a bussare alla porta di Andrea Camilleri, siciliano, uno degli scrittori più famosi del mondo. Per capire assieme a lui i termini di questa emergenza, che rischia innanzi tutto di travolgere il centro sinistra, e l’intero paese.
Intervista al link http://www.antimafiaduemila.com/content/view/1668/48/
mercoledì 23 gennaio 2008
Mastella e Cuffaro, ma che male c'è?
di Sergio Ravaioli
L'altra Voce
Oncologo dell'Udeur, radiologo dei Ds e ginecologo di Forza Italia. Così pare funzioni la sanità in tutt'Italia. Grosso modo un terzo degli italiani si chiede: ma cosa ha fatto di male Mastella? Un altro terzo: ma cosa ha fatto di male Cuffaro? L'ultimo terzo si chiede: ma sarà mai possibile un mondo diverso?
Ponendomi anch'io quest'ultima domanda, mi è venuto da associarla ad un fatto raccontatomi da mio figlio, dal quale risulta che un mondo diverso non solo è possibile, ma esiste già: basta uscire dall'Italia.
Andrea da dieci anni vive in Canada, da sei è cittadino canadese e adesso lavora in una ditta privata che opera nel settore ICT: attiva da circa trent'anni, è presente in tutti i continenti ed ha 24.000 dipendenti. Insomma: un'impresa di successo. Certamente lì le raccomandazioni non hanno casa, si è portati a pensare. Ed invece no: non solo i dipendenti sono invitati a segnalare conoscenti in gamba e disposti a lavorare nella loro ditta, ma se un raccomandato viene assunto il raccomandante riceve un bonus di 2.500 dollari!
Mi spiego meglio: i dipendenti sono sollecitati a svolgere il ruolo di “head hunter” (cacciatori di teste): segnalino delle belle teste disponibili a cambiare lavoro. La verifica che si tratti di una bella testa e non di un brocco naturalmente viene fatta dall'azienda prima dell'assunzione, sulla base del curriculum, delle referenze (verificate), dei colloqui tecnico-attitudinali.
Se queste verifiche hanno esito positivo, assunzione per il candidato e 2.500 dollari di bonus a chi ha fatto la segnalazione. Se qualcuno abusa del sistema facendo perdere tempo alla ditta con segnalazioni di persone inadeguate, nessuna sanzione formale, ma è diffusa tra i dipendenti la convinzione che della cosa si terrà conto.
Raccontando questa storia non voglio sollecitare gli ottantamila Mastella/Cuffaro in attività a ridurre il divario tra Italia e Canada rivendicando gli arretrati per il servizio reso al Paese: 2.500 dollari per ogni raccomandato ci porterebbero definitivamente a braccetto con l'Argentina. Voglio solo segnalare cosa succede in altre parti del mondo: in Paesi una volta considerati simili al nostro e con i quali dobbiamo competere.
Quale sistema di qualità potrà mai avere l'Italia con il sistema di selezione del personale che la tv ci documenta un giorno sì e l'altro pure? Cosa possiamo aspettarci da una classe dirigente selezionata in Italia con i metodi oggi pubblicamente dichiarati, per di più con orgoglio?
Competenza/appartenenza: questo il dilemma che va risolto con serietà e responsabilità. Se continueremo tutti a predicare in salotto le virtù delle competenze per poi applicare in cucina la pratica dell'appartenenza, il degrado diventerà irreversibile.
E riguarderà tutti, anche coloro che declamano, con malcelato e immotivato orgoglio, «io di politica non mi occupo»!
http://www.altravoce.net/2008/01/22/raccomandati.html
L'altra Voce
Oncologo dell'Udeur, radiologo dei Ds e ginecologo di Forza Italia. Così pare funzioni la sanità in tutt'Italia. Grosso modo un terzo degli italiani si chiede: ma cosa ha fatto di male Mastella? Un altro terzo: ma cosa ha fatto di male Cuffaro? L'ultimo terzo si chiede: ma sarà mai possibile un mondo diverso?
Ponendomi anch'io quest'ultima domanda, mi è venuto da associarla ad un fatto raccontatomi da mio figlio, dal quale risulta che un mondo diverso non solo è possibile, ma esiste già: basta uscire dall'Italia.
Andrea da dieci anni vive in Canada, da sei è cittadino canadese e adesso lavora in una ditta privata che opera nel settore ICT: attiva da circa trent'anni, è presente in tutti i continenti ed ha 24.000 dipendenti. Insomma: un'impresa di successo. Certamente lì le raccomandazioni non hanno casa, si è portati a pensare. Ed invece no: non solo i dipendenti sono invitati a segnalare conoscenti in gamba e disposti a lavorare nella loro ditta, ma se un raccomandato viene assunto il raccomandante riceve un bonus di 2.500 dollari!
Mi spiego meglio: i dipendenti sono sollecitati a svolgere il ruolo di “head hunter” (cacciatori di teste): segnalino delle belle teste disponibili a cambiare lavoro. La verifica che si tratti di una bella testa e non di un brocco naturalmente viene fatta dall'azienda prima dell'assunzione, sulla base del curriculum, delle referenze (verificate), dei colloqui tecnico-attitudinali.
Se queste verifiche hanno esito positivo, assunzione per il candidato e 2.500 dollari di bonus a chi ha fatto la segnalazione. Se qualcuno abusa del sistema facendo perdere tempo alla ditta con segnalazioni di persone inadeguate, nessuna sanzione formale, ma è diffusa tra i dipendenti la convinzione che della cosa si terrà conto.
Raccontando questa storia non voglio sollecitare gli ottantamila Mastella/Cuffaro in attività a ridurre il divario tra Italia e Canada rivendicando gli arretrati per il servizio reso al Paese: 2.500 dollari per ogni raccomandato ci porterebbero definitivamente a braccetto con l'Argentina. Voglio solo segnalare cosa succede in altre parti del mondo: in Paesi una volta considerati simili al nostro e con i quali dobbiamo competere.
Quale sistema di qualità potrà mai avere l'Italia con il sistema di selezione del personale che la tv ci documenta un giorno sì e l'altro pure? Cosa possiamo aspettarci da una classe dirigente selezionata in Italia con i metodi oggi pubblicamente dichiarati, per di più con orgoglio?
Competenza/appartenenza: questo il dilemma che va risolto con serietà e responsabilità. Se continueremo tutti a predicare in salotto le virtù delle competenze per poi applicare in cucina la pratica dell'appartenenza, il degrado diventerà irreversibile.
E riguarderà tutti, anche coloro che declamano, con malcelato e immotivato orgoglio, «io di politica non mi occupo»!
http://www.altravoce.net/2008/01/22/raccomandati.html
martedì 22 gennaio 2008
OOXML: uno standard incompatibile con lo standard
di Corrado Giustozzi
Interlex
Aprite un nuovo foglio sul vostro fido Excel, posizionatevi in una cella qualsiasi, digitate la formula
=GIORNO.SETTIMANA("1/1/1900")
e premete invio. Il risultato che comparirà nella cella sarà 1, il che significa che secondo Microsoft il primo gennaio del 1900 era domenica. Consultate ora un qualsiasi calendario del 1900 (se proprio non ne avete uno a portata di mano basta anche un calendario perpetuo che si rispetti) e vi accorgerete che per il resto del mondo il primo gennaio di quell’anno era invece lunedì. Poco male, potreste pensare: non sarà certo il primo (né l’ultimo…) errore fornito da un software di larga diffusione.
Ebbene, siete dei poveri sciocchi e potreste presto accorgervene nel peggiore dei modi. Il colosso di Redmond sta infatti per far certificare la sua tesi nientemeno che dall’ISO, l’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione, ovvero proprio l’ente sovranazionale ed indipendente che cura lo sviluppo e la pubblicazione degli standard internazionali. Così quel risultato di Excel non sarà più frutto di un volgare bug ma assurgerà a livello di standard de iure, e dunque dovrà essere considerato vero e corretto per definizione; e al contrario sarà finalmente quello stupido anno 1900 rendersi colpevole di non conformità allo standard, per via di quel 29 febbraio che non c’è stato ed invece secondo Microsoft avrebbe dovuto esserci, alla faccia di papa Gregorio e con buona pace di tutti gli astronomi vissuti negli ultimi quattro secoli.
Sembra quasi che la Microsoft si stia avviando sulla strada della Megadodo Publications del compianto Douglas Adams, ossia la casa editrice che pubblica la Guida Galattica per autostoppisti: favoloso volume nel quale è concentrato tutto lo scibile umano e che, nonostante sia largamente apocrifa e pazzescamente imprecisa è talmente autorevole che qualora si riscontrino discrepanze tra ciò che dice la Guida e la realtà, è sicuramente la realtà ad essere sbagliata. Non ridete, purtroppo è una faccenda seria. L’unica differenza rispetto alla storia della Guida è che qui non c’è scritto da nessuna parte “Niente panico”, anzi…
Continua al link http://www.interlex.it/pa/corrado37.htm
Interlex
Aprite un nuovo foglio sul vostro fido Excel, posizionatevi in una cella qualsiasi, digitate la formula
=GIORNO.SETTIMANA("1/1/1900")
e premete invio. Il risultato che comparirà nella cella sarà 1, il che significa che secondo Microsoft il primo gennaio del 1900 era domenica. Consultate ora un qualsiasi calendario del 1900 (se proprio non ne avete uno a portata di mano basta anche un calendario perpetuo che si rispetti) e vi accorgerete che per il resto del mondo il primo gennaio di quell’anno era invece lunedì. Poco male, potreste pensare: non sarà certo il primo (né l’ultimo…) errore fornito da un software di larga diffusione.
Ebbene, siete dei poveri sciocchi e potreste presto accorgervene nel peggiore dei modi. Il colosso di Redmond sta infatti per far certificare la sua tesi nientemeno che dall’ISO, l’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione, ovvero proprio l’ente sovranazionale ed indipendente che cura lo sviluppo e la pubblicazione degli standard internazionali. Così quel risultato di Excel non sarà più frutto di un volgare bug ma assurgerà a livello di standard de iure, e dunque dovrà essere considerato vero e corretto per definizione; e al contrario sarà finalmente quello stupido anno 1900 rendersi colpevole di non conformità allo standard, per via di quel 29 febbraio che non c’è stato ed invece secondo Microsoft avrebbe dovuto esserci, alla faccia di papa Gregorio e con buona pace di tutti gli astronomi vissuti negli ultimi quattro secoli.
Sembra quasi che la Microsoft si stia avviando sulla strada della Megadodo Publications del compianto Douglas Adams, ossia la casa editrice che pubblica la Guida Galattica per autostoppisti: favoloso volume nel quale è concentrato tutto lo scibile umano e che, nonostante sia largamente apocrifa e pazzescamente imprecisa è talmente autorevole che qualora si riscontrino discrepanze tra ciò che dice la Guida e la realtà, è sicuramente la realtà ad essere sbagliata. Non ridete, purtroppo è una faccenda seria. L’unica differenza rispetto alla storia della Guida è che qui non c’è scritto da nessuna parte “Niente panico”, anzi…
Continua al link http://www.interlex.it/pa/corrado37.htm
I disordini di Cagliari, intorno a casa Soru
di Riccardo Caria
Mi chiamo Riccardo Caria, ho 26 anni e vivo a Cagliari. Venerdì 11 gennaio 2008, come spesso accade, ho deciso assieme ad un amico (Mattia Sanna, 21 anni, di Cagliari anche lui) di andare al cinema. Una serata qualsiasi. Finita la proiezione, io è Mattia decidiamo di andare a mangiare qualcosa prima di tornare a casa, visto che il giorno dopo avremmo dovuto studiare. La scelta, come sempre, cade sulla pizzeria Tre Archi in viale Diaz, anche perché avevamo saputo che altri amici si trovavano in quella zona. Tutto ciò accadeva poco dopo le 23.
Arrivati nel luogo stabilito, la macchina viene parcheggiata nel parcheggio della banca CIS. La stessa sera a Cagliari era in programma una manifestazione davanti alla casa del governatore Renato Soru, per i fatti legati ai rifiuti campani direzionati verso la Sardegna. Non possiamo non sentire gli schiamazzi, vedere il dispiegamento di auto della polizia, notare il fumo proveniente dalla collinetta di viale Bonaria (dove abita il governatore).
Incuriositi, decidiamo di avvicinarci un poco e vedere cosa realmente stia accadendo. Attraversiamo il parcheggio, che come ogni cagliaritano sa bene è molto grande, e arriviamo all'inizio di viale Bonaria. Qui ci sono tanto altri giovani e non, esponenti del mondo politico sardo, giornalisti, mezzi della polizia, e quant'altro. In una via laterale si notano i cassonetti rovesciati. Un lacrimogeno viene sparato, si sentono le detonazioni delle bombe carta, arriva qualche petardo; il gas inizia a riversarsi verso noi, quindi ci allontaniamo.
Bisogna tenere ben presente che dal luogo in cui ci trovavamo noi (ai piedi della collinetta) non si vede la casa del governatore, quindi è ben facile immaginare quanto distanti fossimo dall'abitazione, luogo dove erano in atto scontri fra teppisti e forze dell'ordine. Attraversiamo nuovamente il parcheggio della banca CIS e ci fermiamo sul marciapiede che si trova di fronte alla "Sicurezza Notturna", quindi in viale Diaz; di fatto siamo all'ingresso del parcheggio. Lì non era accaduto nulla, siamo molto lontani dagli scontri, non ci sono teppisti e nemmeno persone, eccezion fatta per tre giovani che poco dopo si avvicinano dalle nostre parti; sono una ragazza e due ragazzi. Restiamo li a guardare, increduli, allibiti per quanto stava accadendo, dal momento che a Cagliari una cosa simile mai l'avevamo vista. Passano circa dieci minuti, siamo tra le 23,30 e le 23,45: da viale Diaz direzione viale Poetto arriva un Land Rover corazzato della polizia, una camionetta bella capiente. Subito dopo vediamo arrivare uno schieramento di 10-15 agenti in assetto antisommossa, quindi con casco, scudo e manganello. Mattia mi dice "Guarda, arriva la polizia in tenuta. Stanno andando a prendere i teppisti. Finalmente!".
Io ricordo di aver pensato che siccome lì non era in atto alcuno scontro, probabilmente la camionetta era entrata all'ingresso del parcheggio per prelevare gli agenti e portarli verso gli scontri. Poi da lì tutto è successo velocemente, è difficile anche spiegarlo a parole. Gli agenti hanno accelerato il passo e sono corsi verso uno dei ragazzi che si trovavano a pochi metri da noi, lo hanno afferrato e hanno iniziato a trascinarlo verso la camionetta dandogli delle manganellate molto forti. La ragazza si dispera e grida "No, lasciatelo! E' il mio ragazzo, non ha fatto nulla!". Tempo due secondi e gli agenti le sono addosso, riservandole lo stesso trattamento che avevano avuto pochi secondi prima col suo ragazzo. Contemporaneamente afferrano e picchiano anche il terzo ragazzo.
Ripeto, tutto ciò è successo molto velocemente, quindi non c'è nemmeno stato il tempo di pensare. E infatti io sul momento non capivo cosa stesse accadendo, mi sembrava impossibile. Istintivamente ho alzato le braccia in aria per dimostrare che ero lì con intenzioni pacifiche, non ero una minaccia e non avevo fatto nulla. Anzi, a dirla tutta volevo solo mangiare una pizza! Ma ciò non è valso a niente, visto che sono stato afferrato per il collo da un agente molto più alto e più grosso di me. Prontamente gli ho detto "Non ho fatto niente, non ho fatto niente, non c'entro nulla, ho la macchina parcheggiata qui!". Non è servito a niente, l'uomo mi ha colpito col manganello e trascinato via, anche se non facevo resistenza per non peggiorare le cose. In compenso ho ricevuto degli insulti dall'agente, e mi intimava con delle bestemmie di camminare. Trascinandomi mi sbatte contro un palo e continua a spingermi per farmi andare verso la camionetta. Sul momento ho pensato che forse volevano soltanto fare dei controlli, che non ci avrebbero fatto altro male se non avessimo opposto alcuna resistenza, ma sulla soglia della camionetta ho capito che non sarebbe affatto andata così: i ragazzi prelevati prima di me iniziano ad essere presi a calci e a manganellate sempre più forti e frequenti, vola anche qualche sberla. A me succede la stessa cosa, prendo botte un po' dappertutto e in particolar modo nella schiena. Gli insulti continuano senza sosta. Cercavo di spiegare le mie ragione, ma non vengo ascoltato da nessuno; anzi, si inferociscono ancora di più, se è possibile.
Veniamo fatti sedere e cerco di restare calmo. Mattia non è più con me, non riesco a vederlo, penso che forse è riuscito ad andare via. Io mi auguro che sia andata così. Ma poco dopo viene portato anche lui sul mezzo e posso distinguere chiaramente almeno 5 agenti che si accaniscono sulla sua schiena con calci e manganellate. Salta subito all'occhio l'espressione di dolore sul suo volto. Lo afferro prontamente per un braccio e lo faccio sedere dietro di me, per metterlo un po' al riparo. Si fa largo intanto la voce disperata della ragazza, che implora gli agenti di smetterla con la violenza. Gli agenti chiedono al poliziotto a bordo di restare a fare la guardia a noi e lui risponde affermativamente. La ragazza continua ad implorare perché cessino le botte. Il poliziotto è un ragazzo, sembra il più umano di tutti, ci dice che adesso c'è lui qui con noi e non verremo più picchiati. In effetti non ricordo di averlo visto picchiarci neppure prima. Senza pensarci mi alzo in piedi e inizio a spiegare all'agente che noi siamo brave persone, siamo lì solo per mangiare qualcosa e non c'entriamo assolutamente nulla con gli scontri, abbiamo la macchina parcheggiata vicino e siamo lì per quello. Ricordo anche di avergli detto che io non sono un contestatore delle forze dell'ordine, che se la sono presa con le persone sbagliate. L'agente allora risponde che quando ci sono simili disordini dobbiamo fuggire via. Io allora gli ripeto nuovamente che siamo lì soltanto per mangiare, che gli scontri sono avvenuti molto lontano dal punto in cui noi ci trovavamo e lo invito a guardare tutti i locali e le pizzerie che in effetti ci sono in viale Diaz. L'ho fatto perché gli agenti avevano un accento tipicamente romanesco, quindi ipotizzavo che potessero non conoscere bene quella zona della città. A quel punto anche gli altri ragazzi iniziano a parlare con l'agente, francamente non ricordo nemmeno cosa si sono detti, ma suppongo le stesse cose che avevo già detto io, più o meno. Nel frattempo fuori dalla camionetta inizia ad arrivare della gente, probabilmente allibita da quanto stava accadendo. Un signore si avvicina al finestrino e chiede all'agente se quello che stava accadendo fosse giusto, che noi avevamo ragione, che dovevano lasciarci andare. Ma noi non avevamo ragione, non eravamo lì per avere ragione di qualcosa, eravamo lì semplicemente per mangiare. Sta di fatto che l'agente fa passare pochi minuti, dopodichè chiama i colleghi, gli dice che siamo bravi ragazzi e che è il caso di farci scendere e mandare via. Inizio allora a chiedermi "Ma come, non ci controllano neppure i documenti? Eppure essere caricati su un mezzo equivale ad un arresto! Ci hanno arrestati senza una ragione, malmenati, umiliati e neppure fanno un accertamento?!".
Lascio a voi le valutazioni circa i miei diritti violati o meno. Comunque sia, le porte della camionetta si aprono e veniamo fatti scendere. Ma non con i modi di chi ha preso un granchio, bensì con calci, ulteriori manganellate, urla, minacce e bestemmie che devono essere arrivate fino alla vicina basilica. Siamo fuori, ci allontaniamo. Scambiamo due veloci chiacchiere con i nostri compagni di sventura, dopodichè fuggiamo a razzo. Mattia rimugina di non aver preso il numero di targa, ma onestamente era impossibile farlo in quel clima. In ogni caso era l' unica camionetta in giro, sarebbe facile identificare i responsabili. Ci dirigiamo all'ufficio denunce di via Nuoro e vi troviamo un ragazzo con la testa spaccata da una manganellata, accompagnato da un amico. Ora non voglio sbilanciarmi, ma neppure con tutta la fantasia di questo mondo quel ragazzo poteva passare per un delinquente.
La serata si conclude così, con me e Mattia che ancora non riusciamo ancora a mettere a fuoco un avvenimento troppo assurdo per essere vero. Noi picchiati dalla polizia. Solo un'ora prima avrei preso per pazzo chiunque potesse dire una cosa simile. Il giorno dopo andiamo al pronto soccorso per farci visitare. Conosciamo un uomo che è stato picchiato per aver cercato di difendere la moglie, che immobile e senza motivo alcuno veniva manganellata selvaggiamente dagli agenti. La sera abbiamo conosciuto la moglie, ed era più bassa ed esile di me, che non sono certo un colosso. Al pronto soccorso accertano il pestaggio. La prognosi di Mattia è di 2 giorni, la mia di 3. La sera abbiamo parlato con un giornalista dell'Unione Sarda e abbiamo raccontato i fatti. Oggi, domenica 13 gennaio, sono usciti i nostri nomi in un trafiletto, ma non viene certo ben spiegata la dinamica dei fatti.
Ho come l'impressione che la stampa stia facendo molta confusione su questa faccenda, selezionando quali notizie riportare e quali no. Si sostiene ad esempio che gli agenti abbiano semplicemente fatto un cordone davanti alla casa del governatore, ma la mia vicenda dimostra senza alcun dubbio che questo è falso, visto che noi siamo stati picchiati molto lontano da lì. Si sostiene anche che alcuni partiti abbiano incoraggiato i disordini, ma chiunque fosse presente non poteva non notare che gli attacchi erano rivolti alle forze dell' ordine. I teppisti erano degli ultrà e non avevano intenzione di assaltare casa Soru, bensì di creare disordine e cercare lo scontro con le forze dell'ordine. Cosa che avviene sia se si verifica una manifestazione di questo genere, sia se l'Italia vince i mondiali. Era poi ben facile individuare i teppisti: avevano il volto coperto, colpivano e fuggivano.
Mi chiedo come le forze dell'ordine possano aver colpito in maniera così indiscriminata pur essendo abituate ai tafferugli da stadio, dove i teppisti si riconoscono senza troppa fatica. Mi pare abbastanza logico che i teppisti fossero quelli a volto coperto che scappavano e non quelli a volto scoperto che restavano immobili perché innocenti e per permettere agli agenti di svolgere al meglio il loro dovere.
La contestazione violenta non ha avuto assolutamente nulla di politico, io ho visto e posso assicurare che era un classico fenomeno di ultrà, al quale siamo tristemente abituati. Il questore parla di un finanziamento ai teppisti. Io non voglio fare valutazioni politiche, non è questo il senso della mia testimonianza; ma mi chiedo quale sia il nome e il cognome del fantomatico finanziatore: ho visto coi miei occhi molti esponenti del centrodestra, alcuni con le mogli e non credo le avrebbero portate se avessero saputo cosa doveva accadere. Allo stesso modo è assurdo pensare che il finanziamento provenga dal centrosinistra, non avrebbe senso. Quindi chi? Forse il presidente Cellino voleva togliere di mezzo un personaggio più popolare di lui? O più semplicemente il questore non sa come giustificare quello che hanno fatto i suoi uomini?
Questa testimonianza è fatta per farvi capire cosa veramente è successo venerdì notte. Certo, qualcuno dubiterà, qualcuno penserà che se la polizia mi ha fatto quello che mi ha fatto evidentemente me la devo essere cercata in qualche modo. Ma la verità è questa, le cose sono andate così ed è questo che dovrebbero dire i giornali e non fanno. Sono pronto a querelare la polizia e a combattere in tutte le sedi e in tutti i modi, non tanto per il pestaggio squadrista che ho subito, ma perché mi sento profondamente umiliato da questo abuso di potere, trattato come un teppista e mandato via a calci, calpestando in ogni modo la mia dignità. Il presidente Soru tira in ballo la solidarietà citando la Costituzione. Dovrebbe però ricordarsi che la Costituzione garantisce anche i diritti fondamentali dell'uomo e questi sono stati calpestati in un modo che fa invidia ad una dittatura. Non ce l'ho con i poliziotti, come ho detto sono sempre stato dalla loro parte e sono fermamente convinto che facciano il loro dovere eseguendo gli ordini. Il problema è chi questi ordini li impartisce. In linea di massima le disposizioni hanno carattere nazionale, poi a livello regionale si decide meglio come attuarle. Quindi se volete si può vedere un concorso di colpe tra poteri tanto facili da individuare che eviterò di citarli.
Questa testimonianza spero abbia la massima diffusione in modo che tutti possano conoscere i fatti di quel venerdì. Non ci sono valutazioni politiche, non è nemmeno questione se sia giusto o no portare l'immondizia altrui in casa nostra. Il punto è che chi ci dovrebbe proteggere ci ha massacrato di botte senza una ragione. Non possono però tapparci la bocca e la diffusione via internet credo sia il metodo più efficace, quindi faccio affidamento su ognuno di voi, ringraziandovi anticipatamente.
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=5664
Mi chiamo Riccardo Caria, ho 26 anni e vivo a Cagliari. Venerdì 11 gennaio 2008, come spesso accade, ho deciso assieme ad un amico (Mattia Sanna, 21 anni, di Cagliari anche lui) di andare al cinema. Una serata qualsiasi. Finita la proiezione, io è Mattia decidiamo di andare a mangiare qualcosa prima di tornare a casa, visto che il giorno dopo avremmo dovuto studiare. La scelta, come sempre, cade sulla pizzeria Tre Archi in viale Diaz, anche perché avevamo saputo che altri amici si trovavano in quella zona. Tutto ciò accadeva poco dopo le 23.
Arrivati nel luogo stabilito, la macchina viene parcheggiata nel parcheggio della banca CIS. La stessa sera a Cagliari era in programma una manifestazione davanti alla casa del governatore Renato Soru, per i fatti legati ai rifiuti campani direzionati verso la Sardegna. Non possiamo non sentire gli schiamazzi, vedere il dispiegamento di auto della polizia, notare il fumo proveniente dalla collinetta di viale Bonaria (dove abita il governatore).
Incuriositi, decidiamo di avvicinarci un poco e vedere cosa realmente stia accadendo. Attraversiamo il parcheggio, che come ogni cagliaritano sa bene è molto grande, e arriviamo all'inizio di viale Bonaria. Qui ci sono tanto altri giovani e non, esponenti del mondo politico sardo, giornalisti, mezzi della polizia, e quant'altro. In una via laterale si notano i cassonetti rovesciati. Un lacrimogeno viene sparato, si sentono le detonazioni delle bombe carta, arriva qualche petardo; il gas inizia a riversarsi verso noi, quindi ci allontaniamo.
Bisogna tenere ben presente che dal luogo in cui ci trovavamo noi (ai piedi della collinetta) non si vede la casa del governatore, quindi è ben facile immaginare quanto distanti fossimo dall'abitazione, luogo dove erano in atto scontri fra teppisti e forze dell'ordine. Attraversiamo nuovamente il parcheggio della banca CIS e ci fermiamo sul marciapiede che si trova di fronte alla "Sicurezza Notturna", quindi in viale Diaz; di fatto siamo all'ingresso del parcheggio. Lì non era accaduto nulla, siamo molto lontani dagli scontri, non ci sono teppisti e nemmeno persone, eccezion fatta per tre giovani che poco dopo si avvicinano dalle nostre parti; sono una ragazza e due ragazzi. Restiamo li a guardare, increduli, allibiti per quanto stava accadendo, dal momento che a Cagliari una cosa simile mai l'avevamo vista. Passano circa dieci minuti, siamo tra le 23,30 e le 23,45: da viale Diaz direzione viale Poetto arriva un Land Rover corazzato della polizia, una camionetta bella capiente. Subito dopo vediamo arrivare uno schieramento di 10-15 agenti in assetto antisommossa, quindi con casco, scudo e manganello. Mattia mi dice "Guarda, arriva la polizia in tenuta. Stanno andando a prendere i teppisti. Finalmente!".
Io ricordo di aver pensato che siccome lì non era in atto alcuno scontro, probabilmente la camionetta era entrata all'ingresso del parcheggio per prelevare gli agenti e portarli verso gli scontri. Poi da lì tutto è successo velocemente, è difficile anche spiegarlo a parole. Gli agenti hanno accelerato il passo e sono corsi verso uno dei ragazzi che si trovavano a pochi metri da noi, lo hanno afferrato e hanno iniziato a trascinarlo verso la camionetta dandogli delle manganellate molto forti. La ragazza si dispera e grida "No, lasciatelo! E' il mio ragazzo, non ha fatto nulla!". Tempo due secondi e gli agenti le sono addosso, riservandole lo stesso trattamento che avevano avuto pochi secondi prima col suo ragazzo. Contemporaneamente afferrano e picchiano anche il terzo ragazzo.
Ripeto, tutto ciò è successo molto velocemente, quindi non c'è nemmeno stato il tempo di pensare. E infatti io sul momento non capivo cosa stesse accadendo, mi sembrava impossibile. Istintivamente ho alzato le braccia in aria per dimostrare che ero lì con intenzioni pacifiche, non ero una minaccia e non avevo fatto nulla. Anzi, a dirla tutta volevo solo mangiare una pizza! Ma ciò non è valso a niente, visto che sono stato afferrato per il collo da un agente molto più alto e più grosso di me. Prontamente gli ho detto "Non ho fatto niente, non ho fatto niente, non c'entro nulla, ho la macchina parcheggiata qui!". Non è servito a niente, l'uomo mi ha colpito col manganello e trascinato via, anche se non facevo resistenza per non peggiorare le cose. In compenso ho ricevuto degli insulti dall'agente, e mi intimava con delle bestemmie di camminare. Trascinandomi mi sbatte contro un palo e continua a spingermi per farmi andare verso la camionetta. Sul momento ho pensato che forse volevano soltanto fare dei controlli, che non ci avrebbero fatto altro male se non avessimo opposto alcuna resistenza, ma sulla soglia della camionetta ho capito che non sarebbe affatto andata così: i ragazzi prelevati prima di me iniziano ad essere presi a calci e a manganellate sempre più forti e frequenti, vola anche qualche sberla. A me succede la stessa cosa, prendo botte un po' dappertutto e in particolar modo nella schiena. Gli insulti continuano senza sosta. Cercavo di spiegare le mie ragione, ma non vengo ascoltato da nessuno; anzi, si inferociscono ancora di più, se è possibile.
Veniamo fatti sedere e cerco di restare calmo. Mattia non è più con me, non riesco a vederlo, penso che forse è riuscito ad andare via. Io mi auguro che sia andata così. Ma poco dopo viene portato anche lui sul mezzo e posso distinguere chiaramente almeno 5 agenti che si accaniscono sulla sua schiena con calci e manganellate. Salta subito all'occhio l'espressione di dolore sul suo volto. Lo afferro prontamente per un braccio e lo faccio sedere dietro di me, per metterlo un po' al riparo. Si fa largo intanto la voce disperata della ragazza, che implora gli agenti di smetterla con la violenza. Gli agenti chiedono al poliziotto a bordo di restare a fare la guardia a noi e lui risponde affermativamente. La ragazza continua ad implorare perché cessino le botte. Il poliziotto è un ragazzo, sembra il più umano di tutti, ci dice che adesso c'è lui qui con noi e non verremo più picchiati. In effetti non ricordo di averlo visto picchiarci neppure prima. Senza pensarci mi alzo in piedi e inizio a spiegare all'agente che noi siamo brave persone, siamo lì solo per mangiare qualcosa e non c'entriamo assolutamente nulla con gli scontri, abbiamo la macchina parcheggiata vicino e siamo lì per quello. Ricordo anche di avergli detto che io non sono un contestatore delle forze dell'ordine, che se la sono presa con le persone sbagliate. L'agente allora risponde che quando ci sono simili disordini dobbiamo fuggire via. Io allora gli ripeto nuovamente che siamo lì soltanto per mangiare, che gli scontri sono avvenuti molto lontano dal punto in cui noi ci trovavamo e lo invito a guardare tutti i locali e le pizzerie che in effetti ci sono in viale Diaz. L'ho fatto perché gli agenti avevano un accento tipicamente romanesco, quindi ipotizzavo che potessero non conoscere bene quella zona della città. A quel punto anche gli altri ragazzi iniziano a parlare con l'agente, francamente non ricordo nemmeno cosa si sono detti, ma suppongo le stesse cose che avevo già detto io, più o meno. Nel frattempo fuori dalla camionetta inizia ad arrivare della gente, probabilmente allibita da quanto stava accadendo. Un signore si avvicina al finestrino e chiede all'agente se quello che stava accadendo fosse giusto, che noi avevamo ragione, che dovevano lasciarci andare. Ma noi non avevamo ragione, non eravamo lì per avere ragione di qualcosa, eravamo lì semplicemente per mangiare. Sta di fatto che l'agente fa passare pochi minuti, dopodichè chiama i colleghi, gli dice che siamo bravi ragazzi e che è il caso di farci scendere e mandare via. Inizio allora a chiedermi "Ma come, non ci controllano neppure i documenti? Eppure essere caricati su un mezzo equivale ad un arresto! Ci hanno arrestati senza una ragione, malmenati, umiliati e neppure fanno un accertamento?!".
Lascio a voi le valutazioni circa i miei diritti violati o meno. Comunque sia, le porte della camionetta si aprono e veniamo fatti scendere. Ma non con i modi di chi ha preso un granchio, bensì con calci, ulteriori manganellate, urla, minacce e bestemmie che devono essere arrivate fino alla vicina basilica. Siamo fuori, ci allontaniamo. Scambiamo due veloci chiacchiere con i nostri compagni di sventura, dopodichè fuggiamo a razzo. Mattia rimugina di non aver preso il numero di targa, ma onestamente era impossibile farlo in quel clima. In ogni caso era l' unica camionetta in giro, sarebbe facile identificare i responsabili. Ci dirigiamo all'ufficio denunce di via Nuoro e vi troviamo un ragazzo con la testa spaccata da una manganellata, accompagnato da un amico. Ora non voglio sbilanciarmi, ma neppure con tutta la fantasia di questo mondo quel ragazzo poteva passare per un delinquente.
La serata si conclude così, con me e Mattia che ancora non riusciamo ancora a mettere a fuoco un avvenimento troppo assurdo per essere vero. Noi picchiati dalla polizia. Solo un'ora prima avrei preso per pazzo chiunque potesse dire una cosa simile. Il giorno dopo andiamo al pronto soccorso per farci visitare. Conosciamo un uomo che è stato picchiato per aver cercato di difendere la moglie, che immobile e senza motivo alcuno veniva manganellata selvaggiamente dagli agenti. La sera abbiamo conosciuto la moglie, ed era più bassa ed esile di me, che non sono certo un colosso. Al pronto soccorso accertano il pestaggio. La prognosi di Mattia è di 2 giorni, la mia di 3. La sera abbiamo parlato con un giornalista dell'Unione Sarda e abbiamo raccontato i fatti. Oggi, domenica 13 gennaio, sono usciti i nostri nomi in un trafiletto, ma non viene certo ben spiegata la dinamica dei fatti.
Ho come l'impressione che la stampa stia facendo molta confusione su questa faccenda, selezionando quali notizie riportare e quali no. Si sostiene ad esempio che gli agenti abbiano semplicemente fatto un cordone davanti alla casa del governatore, ma la mia vicenda dimostra senza alcun dubbio che questo è falso, visto che noi siamo stati picchiati molto lontano da lì. Si sostiene anche che alcuni partiti abbiano incoraggiato i disordini, ma chiunque fosse presente non poteva non notare che gli attacchi erano rivolti alle forze dell' ordine. I teppisti erano degli ultrà e non avevano intenzione di assaltare casa Soru, bensì di creare disordine e cercare lo scontro con le forze dell'ordine. Cosa che avviene sia se si verifica una manifestazione di questo genere, sia se l'Italia vince i mondiali. Era poi ben facile individuare i teppisti: avevano il volto coperto, colpivano e fuggivano.
Mi chiedo come le forze dell'ordine possano aver colpito in maniera così indiscriminata pur essendo abituate ai tafferugli da stadio, dove i teppisti si riconoscono senza troppa fatica. Mi pare abbastanza logico che i teppisti fossero quelli a volto coperto che scappavano e non quelli a volto scoperto che restavano immobili perché innocenti e per permettere agli agenti di svolgere al meglio il loro dovere.
La contestazione violenta non ha avuto assolutamente nulla di politico, io ho visto e posso assicurare che era un classico fenomeno di ultrà, al quale siamo tristemente abituati. Il questore parla di un finanziamento ai teppisti. Io non voglio fare valutazioni politiche, non è questo il senso della mia testimonianza; ma mi chiedo quale sia il nome e il cognome del fantomatico finanziatore: ho visto coi miei occhi molti esponenti del centrodestra, alcuni con le mogli e non credo le avrebbero portate se avessero saputo cosa doveva accadere. Allo stesso modo è assurdo pensare che il finanziamento provenga dal centrosinistra, non avrebbe senso. Quindi chi? Forse il presidente Cellino voleva togliere di mezzo un personaggio più popolare di lui? O più semplicemente il questore non sa come giustificare quello che hanno fatto i suoi uomini?
Questa testimonianza è fatta per farvi capire cosa veramente è successo venerdì notte. Certo, qualcuno dubiterà, qualcuno penserà che se la polizia mi ha fatto quello che mi ha fatto evidentemente me la devo essere cercata in qualche modo. Ma la verità è questa, le cose sono andate così ed è questo che dovrebbero dire i giornali e non fanno. Sono pronto a querelare la polizia e a combattere in tutte le sedi e in tutti i modi, non tanto per il pestaggio squadrista che ho subito, ma perché mi sento profondamente umiliato da questo abuso di potere, trattato come un teppista e mandato via a calci, calpestando in ogni modo la mia dignità. Il presidente Soru tira in ballo la solidarietà citando la Costituzione. Dovrebbe però ricordarsi che la Costituzione garantisce anche i diritti fondamentali dell'uomo e questi sono stati calpestati in un modo che fa invidia ad una dittatura. Non ce l'ho con i poliziotti, come ho detto sono sempre stato dalla loro parte e sono fermamente convinto che facciano il loro dovere eseguendo gli ordini. Il problema è chi questi ordini li impartisce. In linea di massima le disposizioni hanno carattere nazionale, poi a livello regionale si decide meglio come attuarle. Quindi se volete si può vedere un concorso di colpe tra poteri tanto facili da individuare che eviterò di citarli.
Questa testimonianza spero abbia la massima diffusione in modo che tutti possano conoscere i fatti di quel venerdì. Non ci sono valutazioni politiche, non è nemmeno questione se sia giusto o no portare l'immondizia altrui in casa nostra. Il punto è che chi ci dovrebbe proteggere ci ha massacrato di botte senza una ragione. Non possono però tapparci la bocca e la diffusione via internet credo sia il metodo più efficace, quindi faccio affidamento su ognuno di voi, ringraziandovi anticipatamente.
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=5664
domenica 20 gennaio 2008
Quando meno te lo aspetti,una piccola luce ..Pannella al TG3
TG3 delle 19,00 di oggi.
Una giornalista intervista Marco Pannella a proposito della polemica sul Papa alla Sapienza.
Giornalista Pannella stamattina a san Pietro c’erano politici laici e cattolici. La denuncia più forte: al papa è stata negata la parola. E’ d’accordo?
Pannella Dunque sia ben chiara una cosa: oggi, solamente oggi, il papa avrà parlato e a lungo ad almeno diciotto venti milioni di italiani fra tutti i telegiornali e questo oggi e oggi, ma continuamente è così, gli italiani lo sanno. E allora se la denuncia è che siccome non ha parlato a qualche centinaio di studenti dell’università lui non parla, e per dire questo sono cinque giorni che venti milioni di italiani stanno a sentire il papa, bè vabbè.. la verità è che non c’è da scherzare, è una situazione grave e diciamo che il clericofascimo di una volta era niente rispetto a questo.
Giornalista Sta di fatto che stamattina in piazza c’era un sacco di gente..
Pannella Figurarsi.. bè io a piazza Venezia quando ero ragazzino al Colosseo eravamo 400 mila 500 mila eh
Giornalista E’ un brutto segno?
Pannella No dico solo che allora non si diceva poi almeno che Mussolini non poteva parlare.
Una giornalista intervista Marco Pannella a proposito della polemica sul Papa alla Sapienza.
Giornalista Pannella stamattina a san Pietro c’erano politici laici e cattolici. La denuncia più forte: al papa è stata negata la parola. E’ d’accordo?
Pannella Dunque sia ben chiara una cosa: oggi, solamente oggi, il papa avrà parlato e a lungo ad almeno diciotto venti milioni di italiani fra tutti i telegiornali e questo oggi e oggi, ma continuamente è così, gli italiani lo sanno. E allora se la denuncia è che siccome non ha parlato a qualche centinaio di studenti dell’università lui non parla, e per dire questo sono cinque giorni che venti milioni di italiani stanno a sentire il papa, bè vabbè.. la verità è che non c’è da scherzare, è una situazione grave e diciamo che il clericofascimo di una volta era niente rispetto a questo.
Giornalista Sta di fatto che stamattina in piazza c’era un sacco di gente..
Pannella Figurarsi.. bè io a piazza Venezia quando ero ragazzino al Colosseo eravamo 400 mila 500 mila eh
Giornalista E’ un brutto segno?
Pannella No dico solo che allora non si diceva poi almeno che Mussolini non poteva parlare.
Firmate numerosi
Solidarietà con i docenti di fisica
Segnaliamo l’avvio di due iniziative di sostegno a favore dei docenti di fisica. La prima, aperta a tutti, è su Petition on line. La seconda, che trovate qui sotto, è riservata ai docenti universitari di tutti gli atenei italiani.
Invitiamo tutti i colleghi a esprimere solidarietà ai docenti firmatari della lettera che giudicava inopportuno ed irrituale l’invito fatto al papa da parte del rettore ad aprire l’Anno accademico alla Sapienza. La polemica che si è instaurata nei massmedia e nel mondo politico in maniera apparentemente irrazionale ma molto più probabilmente dettata da malafede ha portato all’annullamento della partecipazione del papa. Se ne sono lette e sentite di tutti i colori su una vicenda che non meritava tale risonanza perché riguardava un’opinione legittimamente espressa al Rettore da un gruppo di docenti e non implicava azioni contrarie alla visita del papa né un gesto di censura nei suoi riguardi. Come prevedibile, la rinuncia del papa ha scatenato una bagarre che ha prodotto un’immagine distorta e assolutamente immeritata della Sapienza. Le conseguenze di ciò potrebbero essere di una gravità incalcolabile per tutto il mondo scientifico. Per esempio, stando ad alcune dichiarazioni di alcuni esponenti politici potrebbe esserci un cambiamento nella decisione già presa sulla nomina del presidente del Cnr proprio nel momento in cui sembrava vicina una soluzione che lo avrebbe rilanciato a livello internazionale. Inoltre sembra che altri esponenti politici abbiano chiesto l’allontamento dei docenti firmatari. Allo scopo di costruire un difesa contro questo attacco vi chiediamo di aderire: solidaliconvoi@libero.it.
Alcuni docenti Univ. La Sapienza
http://www.uaar.it/news/2008/01/19/solidarieta-con-docenti-fisica/
Segnaliamo l’avvio di due iniziative di sostegno a favore dei docenti di fisica. La prima, aperta a tutti, è su Petition on line. La seconda, che trovate qui sotto, è riservata ai docenti universitari di tutti gli atenei italiani.
Invitiamo tutti i colleghi a esprimere solidarietà ai docenti firmatari della lettera che giudicava inopportuno ed irrituale l’invito fatto al papa da parte del rettore ad aprire l’Anno accademico alla Sapienza. La polemica che si è instaurata nei massmedia e nel mondo politico in maniera apparentemente irrazionale ma molto più probabilmente dettata da malafede ha portato all’annullamento della partecipazione del papa. Se ne sono lette e sentite di tutti i colori su una vicenda che non meritava tale risonanza perché riguardava un’opinione legittimamente espressa al Rettore da un gruppo di docenti e non implicava azioni contrarie alla visita del papa né un gesto di censura nei suoi riguardi. Come prevedibile, la rinuncia del papa ha scatenato una bagarre che ha prodotto un’immagine distorta e assolutamente immeritata della Sapienza. Le conseguenze di ciò potrebbero essere di una gravità incalcolabile per tutto il mondo scientifico. Per esempio, stando ad alcune dichiarazioni di alcuni esponenti politici potrebbe esserci un cambiamento nella decisione già presa sulla nomina del presidente del Cnr proprio nel momento in cui sembrava vicina una soluzione che lo avrebbe rilanciato a livello internazionale. Inoltre sembra che altri esponenti politici abbiano chiesto l’allontamento dei docenti firmatari. Allo scopo di costruire un difesa contro questo attacco vi chiediamo di aderire: solidaliconvoi@libero.it.
Alcuni docenti Univ. La Sapienza
http://www.uaar.it/news/2008/01/19/solidarieta-con-docenti-fisica/
DOMANDE
Perchè Cuffaro è ancora al suo posto?
L'interdizione dai pubblici uffici non comprende anche la Regione Sicilia?
Non è un Ente Pubblico la regione Sicilia?
Mi è sfuggito che qualcuno, tra gli "onorevoli" che starnazzano quotidianamente dai vari TG di regime, abbia chiesto le dimissioni di Cuffaro?
In che c****o di Paese viviamo?
L'interdizione dai pubblici uffici non comprende anche la Regione Sicilia?
Non è un Ente Pubblico la regione Sicilia?
Mi è sfuggito che qualcuno, tra gli "onorevoli" che starnazzano quotidianamente dai vari TG di regime, abbia chiesto le dimissioni di Cuffaro?
In che c****o di Paese viviamo?
venerdì 18 gennaio 2008
Camerun La battaglia al cibo globale
di Giampaolo Visetti
La Repubblica
La luce, per Bernard Njonga, si è accesa grazie alle cosce. Aveva riflettuto lungamente su quei muscoletti di carne bianca, protetti da succosa pelle gialla. Poi, un sabato mattina di tre anni fa, è salito su un secchio rovesciato nel mercato di Mokolò, sconfinato, brulicante di gente e violentissimo. «Quelle cosce — ha urlato ai divertiti venditori di polli — devono sparire». È iniziata così l'ultima guerra d'indipendenza del Camerun: contro il capitalismo globalizzato dell'Occidente e contro la corruzione che tiene in ostaggio l'Africa Nera. Adesso, dopo la vittoria, l'eroe delle cosce nostrane è tornato tra la sua gente. Non è più un anonimo funzionario del sindacato dei contadini. Lascia l'ufficio dietro la stazione dei treni di Yaoundé su una jeep nera. Gira scortato, ha due segretarie attaccate al telefono.
Sul piazzale del Marché Madagascar, invaso da baccelli di cacao, con sei carriole gli hanno arrangiato un palco. Un ragazzo con una scarpa da ginnastica in testa armeggia con il microfono. Un altro tiene sul capo, miracolosamente in equilibrio, quattro secchi pieni di carne d'istrice affumicata, pane, latte e papaye a spicchi. Incita la folla e regola le danze propiziatorie di tre sfiniti stregoni. Dalla polvere salgono vapori arroventati. Ad un cenno della mano di Njonga, si sparge il silenzio. «Non siamo la pattumiera dell'Europa — grida —. Dobbiamo unirci per ricostruire la nostra economia e la nostra indipendenza alimentare. Lottiamo contro la globalizzazione: in Africa vuole Stati deboli, per manovrarli come burattini, comprando ministri e presidenti».Queste parole piacciono molto. La massa di poveri, per assentire, ondeggia freneticamente i fianchi: ride e applaude. «Ancora, Bernard — canta — dillo ancora». Sale sulle carriole un bianco. Agita la maniglia di una valigia, l'unica cosa che non gli hanno rubato. Lo tirano giù di peso e riprendono le invocazioni. Njonga è costretto a ripetere il comizio, parola per parola. Due, tre volte. E ancora. Dalle cosce di pollo passa alla «sete di democrazia». «Siamo sempre più poveri — dice — perché spogliati da cinici predatori. Nessuno si occupa davvero di noi». Un'orchestra fa scoppiare una makossa clamorosa. Le venditrici di pesce arrosto, enormi e gelatinose, travolgono ballando i banchi della tapioca. Il discorso finisce all'istante. Njonga viene portato in spalla a verificare il nuovo scandalo.
Sacchi di riso da Cina, Vietnam e Thailandia. Cipolle dall'Olanda. Mais dagli Usa. Pomodori dalla Turchia. Pesce dalla Danimarca. Scatolame scaduto dall'Europa. Vestiti e scarpe ancora dalla Cina. Costano poco, valgono meno. Nel mercato, di africano, non restano che ananas, manghi, tuberi. Agricoltori e artigiani camerunesi non resistono alla concorrenza. Abbandonano campi e villaggi, chiudono. Ingrossano le baraccopoli che assediano Yaoundè e Duala. E adesso sperano in un altro miracolo di Bernard.Sul Golfo di Guinea si consuma l'ennesima lotta per la sopravvivenza. La «battaglia delle cosce» è esemplare. I consumatori di Europa e America, del pollo, vogliono solo il petto. Settanta centesimi al chilo: venduto il filetto, il produttore è a posto. Il resto, invendibile in Occidente, va a chi paga l'equivalente del costo di distruzione. È così che ogni pollo esplode e diventa globale. Le zampe finiscono in Thailandia, le viscere nell'ex Urss, le ali in Cina, la cresta in Vietnam, il petto in Usa e Ue. Le cosce invadono Africa, Messico e Giappone.La domanda modella i pennuti. Tre aziende europee, in Olanda e Germania, si spartiscono il mercato grazie ad una bestia geneticamente modificata. Il modello «Ross 708», fornito con manuale per la crescita hi-tech, sviluppa un abnorme petto da tacchino. Il resto è atrofico. Matura in un mese: un chilo e 600 grammi di mangime si trasforma in un chilo di carne.Per il Camerun e l'Africa centrale è stata la catastrofe. Navi di fuselli surgelati hanno sommerso i bidoni della benzina, trasformati in profumate griglie ad ogni angolo di strada.
Dall'oggi al domani le galline vive, vendute in gabbia, sono scomparse dai mercati.Allevatori come Fridolin Mvogo di Sangmelimà, che aveva appena comprato duemila pulcini, sono falliti. «Ho scaricato i pollastri davanti al palazzo presidenziale — dice — poi ho appiccato il fuoco. Fumo, starnazzi e odore di bruciato hanno fatto accorrere gli abitanti della giungla. Dalla presidenza non è uscita nemmeno la donna dei bagni». Il rogo ha avvertito i camerunesi che si stava spegnendo la loro possibilità di sopravvivere. È allora che è intervenuto Njonga.Ha fondato l'Associazione civica per la difesa degli interessi collettivi. Con 7 mila euro, racimolati con una colletta tra 14 mila contadini, ha corrotto un doganiere di Duala. Ha scoperto chi esporta dall'Europa le cosce surgelate, chi le importa a tonnellate in Camerun, falsificando i documenti. Alla voce provenienza si legge: «Mare aperto». Ma soprattutto l'Istituto Pasteur della capitale, nonostante minacce politiche e sparizioni di documenti, ha certificato che l'83,5% del pollo Ue scaricato in Africa «non è adatto al consumo umano». Carne avariata, trasportata senza celle-frigo. Per la prima volta la denuncia di un cittadino africano ha avuto conseguenze.
Il presidente Paul Biya, dittatore al potere da 27 anni, è stato costretto a cacciare il ministro dell'agricoltura e ad arrestare un pugno di funzionari.Non che abbia a cuore le condizioni del suo popolo: è che, ogni tanto, un isolato gesto populista rafforza il regime. Il principale importatore locale ha ripiegato sul pesce. Una petizione popolare per «regole nuove in agricoltura e contro l'Organizzazione mondiale del commercio» ha raccolto oltre 1 milione di firme. Il governo ha posto il dazio sui polli europei e brasiliani, fissato un tetto alle importazioni, levato l'Iva agli allevatori camerunesi. Le «ziette» dei chioschi di «galletto alla direttore generale», come certificato di genuinità ora sistemano le piume nei piatti. Le cosce surgelate made in Ue fanno rotta sul Ghana, dove è crollata la produzione di manzi. Le accolgono però i manifesti inviati dai camerunesi: una gallina bianca, un teschio nero, una scritta rossa che avverte «Pericolo di morte». Da Yaoundè, in attesa delle presidenziali del 2011, la lotta si sposta invece nei villaggi in miseria, nella foresta rubata alle tribù pigmee dalle industrie del legname. Europa e Oriente, con navi di scarti agricoli e alimentari, decimano le piantagioni locali di cereali, ortaggi e frutta.
Il ketchup è un simbolo. Da quando è arrivato, nerastro e cristalizzato, nessuno coltiva più pomodori. Migliaia i contadini alla fame. «Il 70 per cento del Paese — dice il cardinale Christian Turni, unica voce critica, coraggiosa e rispettata — vive di agricoltura, come tutta l'Africa. È un fatto essenziale: per svilupparsi, il continente deve potersi sfamare da solo. Per questo le spinte democratiche non possono che partire dalla terra. Il problema è che manca lo Stato. Il potere non pensa alla gente. Accumula tesori all'estero. Ognuno è costretto ad arrangiarsi. La corruzione è un sistema di vita: ma a riempire le tasche dei nostri dittatori, non dimentichiamolo, è l'Occidente».Un labirinto senza uscita, in Camerun. L'Europa paga il governo, svuota i propri magazzini, devasta le produzioni locali e affama la nazione. Poi invia gli aiuti umanitari, ultimo stadio delle nostre eccedenze. La nomenclatura incassa ancora, la gente smette di lavorare, le periferie delle città crescono come lager infernali, il territorio resta deserto. È allora che il potere si mette in affari, preferibilmente con Cina, Usa e Francia. La meravigliosa foresta equatoriale, al Sud e nell'Ovest, è pressoché consumata.
False licenze e finte concessioni, con timbri ufficiali, autorizzano devastazioni senza limiti. «Se paghi le persone giuste — ammette uno dei tredici commercianti italiani che esportano il 33% del legname centrafricano — puoi abbattere le essenze che vuoi, dove ti pare e nella quantità che ti serve». È lo schema applicato per il petrolio della penisola di Bakassi, o nei nuovi giacimenti di oro. «Fra dieci anni — dice il leader storico dell'opposizione, John Fru-Ndi — saremo un sacco vuoto.Abbiamo perso il treno dell'educazione, della cultura e dell'istruzione: lo sviluppo è paralizzato». A Yaoundé, fino al 1985 capitale dello Stato più ricco e avanzato dell'Africa nera, è rimasto un solo primato: dominare il Paese più corrotto del mondo, davanti a Bangladesh e Nigeria. Un ministro ufficialmente guadagna 600 euro al mese. Dopo quattro anni però fa vivere di rendita, in Francia o in Svizzera, tutto il suo clan. Il 65% dei fondi internazionali per farmaci, ospedali e scuole, scompare nelle tasche dei funzionari che li gestiscono. La metà degli adolescenti, abbandonata, vive per strada. Ngonò, 12 anni, fa la prostituta a Kribì. Per 80 centesimi si vende sulla spiaggia che argina l'oceano Atlantico. Il fratello la porta al lavoro in piroga, prima di andare a recitare come «pigmeo selvaggio» oltre le cascate di Lobè.
Guadagnare è sempre più difficile. Gruppi di prostitute cinesi si offrono per 40 centesimi. Un albergo promuove le stanze con la foto delle ragazze incollate sul portachiavi: «Mi trovi sul letto — si legge — 24 ore su 24». Nel giorno libero le schiave si intossicano annusando colla. Oppure si drogano. Prendono una baguette fresca e la infilano nel tubo di scappamento di un camion. Quando è ben impregnata di biossido di carbonio, se la mangiano.Ufficialmente è sieropositivo un camerunese su venti. La realtà è che oltre il 10% muore di Aids. Dei 43 mila bambini infetti, la metà non arriva ai due anni. I farmaci sono disponibili per uno su dieci.Per le femmine crescere è un incubo. Chi non viene venduta come sposa a 9 anni, è sottoposta alla stiratura dei seni. Una tortura atroce. La madre, o i cugini minori, strofinano pietre incandescenti sul torace per arrestare lo sviluppo delle mammelle.Con bucce e spatole di legno infuocato, bruciano le ghiandole mammarie. Nel nord musulmano vengono usate le camere d'aria delle biciclette. Le madri sono convinte che in questo modo le figlie non solleticheranno troppo presto gli appetiti dei maschi.
«Per sei mesi — dice Yvonne Nfor nell'ospedale di Limbe — sono stata ustionata con un mattone. Mia mamma diceva di dover sradicare il nocciolo. Alla fine sono scappata da uno zio, che mi ha violentato. Nonostante le cicatrici, quando a 11 anni sono rimasta incinta, mi sono esplosi due seni giganteschi».Il 58% delle bambine camerunesi è vittima di tali sevizie. La stiratura dei seni innesca insuperabili traumi psicologici. Chi si oppone è espulso dalla famiglia. Come il piccolo Atanganà, che non ha voluto appiattire la sorella. Accusato di essere posseduto da spiriti malvagi, dopo la morte del padre non ha più avuto diritto al cibo ed è stato scacciato. «Quando è nato — assicura la nonna — sono andato a vederlo. Sul letto mi è apparso un vecchio con un libro in mano». Atanganà adesso ha otto anni e possiede una carriola. Scarica plantani, arachidi e semi di cola nel Marché General di Yaoundé. Per tre ore al giorno affitta la carriola ad un altro bambino, che trasporta carne di cane, gatto e serpente in un ristorante. A sua volta questo, per un'ora, subaffitta il mezzo ad un amico che distribuisce vino di palma ai commercianti.Il rifiuto di un rito crudele sfama tre bambini di strada.
Per la maggioranza, però, il destino è spietato.L'approdo maledetto è il carcere della capitale. Migliaia di ragazzi, affamati, finiscono qui per stupri, omicidi, rapine, furti. In Camerun la tariffa di un killer è 50 euro, trattabili.In cella non c'è acqua, un secchio da muratore fa da latrina per trecento. Malaria e tubercolosi provvedono dove falliscono le guardie. Chi paga viene appeso per le mani e pestato come un sacco da pugile. Quelli che non possono, finiscono dal «sarto». La domanda è: «Pantaloni o mutande»? Poi viene amputato il piede, o la gamba. Due straordinari missionari cattolici non si rassegnano all'inferno.
Maurizio Bezzi vive con detenuti e ragazzi di strada. Sergio Janeselli sta con ciechi, sordomuti, handicappati e vittime della poliomelite. Un'oasi di dignità e coraggio nel deserto di una Chiesa ossequiosa e spesso complice del regime. Vescovi e preti hanno la precedenza, tra la generosa clientela di stregoni, ciarlatani e minacciosi guaritori animisti. «Tradizioni e usi di 252 tribù —dice Jacob Kotcho, uno dei capi del movimento per la difesa dei cittadini — formano un intrico incredibilmente complicato e misterioso. L'essenza del Camerun si nasconde nella sua varietà. La violenza del nuovo potere africano, il pensiero europeo, hanno bisogno invece di certezze elementari, dove sia chiaro un interesse finanziario personale».
La guerra alle cosce di pollo Ue, la lotta per salvare brandelli della foresta dei pigmei, per affermare i diritti delle donne, per sottrarre alla violenza bambini e dissidenti, cominciano però a non essere più campagne isolate. Nelle baracche delle città e sotto le capanne di campagna, i poveri discutono sempre meno di pace e indipendenza. Oggi parlano di democrazia e sviluppo. Mettono sotto accusa gli inamovibili, miliardari autocrati africani appoggiati da Occidente e Cina. A Yauondè i sostenitori del «pollo con le piume» sono diventati la «Generazione 2011», termine costituzionale del regno di Paul Biya. Sognano la fine degli eroi post-coloniali, ridotti a servi arricchiti degli antichi padroni. Dal 1960, anno della decolonizzazione e dell'ascesa di Ahmadou Ahidjo, è la prima volta che un movimento civile non naufraga subito nelle risse etniche tra bamilekè, fulani, choa e kotoko.
«Il nostro destino — dice Turni — non è una ineluttabile condanna. Forse cominciamo a capire la forza rivoluzionaria, politica, che nasce dal riconoscere il valore di ogni vita umana».Questa sera Bernard Njonga cena con i pastori di Maga, nascosto nella profondità del parco di Waza. La tenebra è assoluta, più del silenzio. Soffia il vapore del Sahel, calmo e saggio, come infine un amore. Il carbone abbrustolisce termiti e serpente dolce. Il capo tribù chiede perché la pelle di capra, cucita intera per conservare l'acqua, non si venda più ai mercanti del Ciad. Ascolta pensieroso la storia delle cosce di pollo, rispedite «al di là del mare». Vorrebbe lottare anche per le sue otri di cuoio, contro le taniche di plastica. Ma Njonga dice che il globo non è più piccolo: è diventato grande, infinito. E il Camerun deve sapere «che il mondo si dilata ogni giorno e ci scappa ancora». L'Africa Nera non si illude più: adesso sente che sarà impossibile conoscere e capire tutto quel che compone l'esistenza in un villaggio di sette miliardi di persone.
La Repubblica
La luce, per Bernard Njonga, si è accesa grazie alle cosce. Aveva riflettuto lungamente su quei muscoletti di carne bianca, protetti da succosa pelle gialla. Poi, un sabato mattina di tre anni fa, è salito su un secchio rovesciato nel mercato di Mokolò, sconfinato, brulicante di gente e violentissimo. «Quelle cosce — ha urlato ai divertiti venditori di polli — devono sparire». È iniziata così l'ultima guerra d'indipendenza del Camerun: contro il capitalismo globalizzato dell'Occidente e contro la corruzione che tiene in ostaggio l'Africa Nera. Adesso, dopo la vittoria, l'eroe delle cosce nostrane è tornato tra la sua gente. Non è più un anonimo funzionario del sindacato dei contadini. Lascia l'ufficio dietro la stazione dei treni di Yaoundé su una jeep nera. Gira scortato, ha due segretarie attaccate al telefono.
Sul piazzale del Marché Madagascar, invaso da baccelli di cacao, con sei carriole gli hanno arrangiato un palco. Un ragazzo con una scarpa da ginnastica in testa armeggia con il microfono. Un altro tiene sul capo, miracolosamente in equilibrio, quattro secchi pieni di carne d'istrice affumicata, pane, latte e papaye a spicchi. Incita la folla e regola le danze propiziatorie di tre sfiniti stregoni. Dalla polvere salgono vapori arroventati. Ad un cenno della mano di Njonga, si sparge il silenzio. «Non siamo la pattumiera dell'Europa — grida —. Dobbiamo unirci per ricostruire la nostra economia e la nostra indipendenza alimentare. Lottiamo contro la globalizzazione: in Africa vuole Stati deboli, per manovrarli come burattini, comprando ministri e presidenti».Queste parole piacciono molto. La massa di poveri, per assentire, ondeggia freneticamente i fianchi: ride e applaude. «Ancora, Bernard — canta — dillo ancora». Sale sulle carriole un bianco. Agita la maniglia di una valigia, l'unica cosa che non gli hanno rubato. Lo tirano giù di peso e riprendono le invocazioni. Njonga è costretto a ripetere il comizio, parola per parola. Due, tre volte. E ancora. Dalle cosce di pollo passa alla «sete di democrazia». «Siamo sempre più poveri — dice — perché spogliati da cinici predatori. Nessuno si occupa davvero di noi». Un'orchestra fa scoppiare una makossa clamorosa. Le venditrici di pesce arrosto, enormi e gelatinose, travolgono ballando i banchi della tapioca. Il discorso finisce all'istante. Njonga viene portato in spalla a verificare il nuovo scandalo.
Sacchi di riso da Cina, Vietnam e Thailandia. Cipolle dall'Olanda. Mais dagli Usa. Pomodori dalla Turchia. Pesce dalla Danimarca. Scatolame scaduto dall'Europa. Vestiti e scarpe ancora dalla Cina. Costano poco, valgono meno. Nel mercato, di africano, non restano che ananas, manghi, tuberi. Agricoltori e artigiani camerunesi non resistono alla concorrenza. Abbandonano campi e villaggi, chiudono. Ingrossano le baraccopoli che assediano Yaoundè e Duala. E adesso sperano in un altro miracolo di Bernard.Sul Golfo di Guinea si consuma l'ennesima lotta per la sopravvivenza. La «battaglia delle cosce» è esemplare. I consumatori di Europa e America, del pollo, vogliono solo il petto. Settanta centesimi al chilo: venduto il filetto, il produttore è a posto. Il resto, invendibile in Occidente, va a chi paga l'equivalente del costo di distruzione. È così che ogni pollo esplode e diventa globale. Le zampe finiscono in Thailandia, le viscere nell'ex Urss, le ali in Cina, la cresta in Vietnam, il petto in Usa e Ue. Le cosce invadono Africa, Messico e Giappone.La domanda modella i pennuti. Tre aziende europee, in Olanda e Germania, si spartiscono il mercato grazie ad una bestia geneticamente modificata. Il modello «Ross 708», fornito con manuale per la crescita hi-tech, sviluppa un abnorme petto da tacchino. Il resto è atrofico. Matura in un mese: un chilo e 600 grammi di mangime si trasforma in un chilo di carne.Per il Camerun e l'Africa centrale è stata la catastrofe. Navi di fuselli surgelati hanno sommerso i bidoni della benzina, trasformati in profumate griglie ad ogni angolo di strada.
Dall'oggi al domani le galline vive, vendute in gabbia, sono scomparse dai mercati.Allevatori come Fridolin Mvogo di Sangmelimà, che aveva appena comprato duemila pulcini, sono falliti. «Ho scaricato i pollastri davanti al palazzo presidenziale — dice — poi ho appiccato il fuoco. Fumo, starnazzi e odore di bruciato hanno fatto accorrere gli abitanti della giungla. Dalla presidenza non è uscita nemmeno la donna dei bagni». Il rogo ha avvertito i camerunesi che si stava spegnendo la loro possibilità di sopravvivere. È allora che è intervenuto Njonga.Ha fondato l'Associazione civica per la difesa degli interessi collettivi. Con 7 mila euro, racimolati con una colletta tra 14 mila contadini, ha corrotto un doganiere di Duala. Ha scoperto chi esporta dall'Europa le cosce surgelate, chi le importa a tonnellate in Camerun, falsificando i documenti. Alla voce provenienza si legge: «Mare aperto». Ma soprattutto l'Istituto Pasteur della capitale, nonostante minacce politiche e sparizioni di documenti, ha certificato che l'83,5% del pollo Ue scaricato in Africa «non è adatto al consumo umano». Carne avariata, trasportata senza celle-frigo. Per la prima volta la denuncia di un cittadino africano ha avuto conseguenze.
Il presidente Paul Biya, dittatore al potere da 27 anni, è stato costretto a cacciare il ministro dell'agricoltura e ad arrestare un pugno di funzionari.Non che abbia a cuore le condizioni del suo popolo: è che, ogni tanto, un isolato gesto populista rafforza il regime. Il principale importatore locale ha ripiegato sul pesce. Una petizione popolare per «regole nuove in agricoltura e contro l'Organizzazione mondiale del commercio» ha raccolto oltre 1 milione di firme. Il governo ha posto il dazio sui polli europei e brasiliani, fissato un tetto alle importazioni, levato l'Iva agli allevatori camerunesi. Le «ziette» dei chioschi di «galletto alla direttore generale», come certificato di genuinità ora sistemano le piume nei piatti. Le cosce surgelate made in Ue fanno rotta sul Ghana, dove è crollata la produzione di manzi. Le accolgono però i manifesti inviati dai camerunesi: una gallina bianca, un teschio nero, una scritta rossa che avverte «Pericolo di morte». Da Yaoundè, in attesa delle presidenziali del 2011, la lotta si sposta invece nei villaggi in miseria, nella foresta rubata alle tribù pigmee dalle industrie del legname. Europa e Oriente, con navi di scarti agricoli e alimentari, decimano le piantagioni locali di cereali, ortaggi e frutta.
Il ketchup è un simbolo. Da quando è arrivato, nerastro e cristalizzato, nessuno coltiva più pomodori. Migliaia i contadini alla fame. «Il 70 per cento del Paese — dice il cardinale Christian Turni, unica voce critica, coraggiosa e rispettata — vive di agricoltura, come tutta l'Africa. È un fatto essenziale: per svilupparsi, il continente deve potersi sfamare da solo. Per questo le spinte democratiche non possono che partire dalla terra. Il problema è che manca lo Stato. Il potere non pensa alla gente. Accumula tesori all'estero. Ognuno è costretto ad arrangiarsi. La corruzione è un sistema di vita: ma a riempire le tasche dei nostri dittatori, non dimentichiamolo, è l'Occidente».Un labirinto senza uscita, in Camerun. L'Europa paga il governo, svuota i propri magazzini, devasta le produzioni locali e affama la nazione. Poi invia gli aiuti umanitari, ultimo stadio delle nostre eccedenze. La nomenclatura incassa ancora, la gente smette di lavorare, le periferie delle città crescono come lager infernali, il territorio resta deserto. È allora che il potere si mette in affari, preferibilmente con Cina, Usa e Francia. La meravigliosa foresta equatoriale, al Sud e nell'Ovest, è pressoché consumata.
False licenze e finte concessioni, con timbri ufficiali, autorizzano devastazioni senza limiti. «Se paghi le persone giuste — ammette uno dei tredici commercianti italiani che esportano il 33% del legname centrafricano — puoi abbattere le essenze che vuoi, dove ti pare e nella quantità che ti serve». È lo schema applicato per il petrolio della penisola di Bakassi, o nei nuovi giacimenti di oro. «Fra dieci anni — dice il leader storico dell'opposizione, John Fru-Ndi — saremo un sacco vuoto.Abbiamo perso il treno dell'educazione, della cultura e dell'istruzione: lo sviluppo è paralizzato». A Yaoundé, fino al 1985 capitale dello Stato più ricco e avanzato dell'Africa nera, è rimasto un solo primato: dominare il Paese più corrotto del mondo, davanti a Bangladesh e Nigeria. Un ministro ufficialmente guadagna 600 euro al mese. Dopo quattro anni però fa vivere di rendita, in Francia o in Svizzera, tutto il suo clan. Il 65% dei fondi internazionali per farmaci, ospedali e scuole, scompare nelle tasche dei funzionari che li gestiscono. La metà degli adolescenti, abbandonata, vive per strada. Ngonò, 12 anni, fa la prostituta a Kribì. Per 80 centesimi si vende sulla spiaggia che argina l'oceano Atlantico. Il fratello la porta al lavoro in piroga, prima di andare a recitare come «pigmeo selvaggio» oltre le cascate di Lobè.
Guadagnare è sempre più difficile. Gruppi di prostitute cinesi si offrono per 40 centesimi. Un albergo promuove le stanze con la foto delle ragazze incollate sul portachiavi: «Mi trovi sul letto — si legge — 24 ore su 24». Nel giorno libero le schiave si intossicano annusando colla. Oppure si drogano. Prendono una baguette fresca e la infilano nel tubo di scappamento di un camion. Quando è ben impregnata di biossido di carbonio, se la mangiano.Ufficialmente è sieropositivo un camerunese su venti. La realtà è che oltre il 10% muore di Aids. Dei 43 mila bambini infetti, la metà non arriva ai due anni. I farmaci sono disponibili per uno su dieci.Per le femmine crescere è un incubo. Chi non viene venduta come sposa a 9 anni, è sottoposta alla stiratura dei seni. Una tortura atroce. La madre, o i cugini minori, strofinano pietre incandescenti sul torace per arrestare lo sviluppo delle mammelle.Con bucce e spatole di legno infuocato, bruciano le ghiandole mammarie. Nel nord musulmano vengono usate le camere d'aria delle biciclette. Le madri sono convinte che in questo modo le figlie non solleticheranno troppo presto gli appetiti dei maschi.
«Per sei mesi — dice Yvonne Nfor nell'ospedale di Limbe — sono stata ustionata con un mattone. Mia mamma diceva di dover sradicare il nocciolo. Alla fine sono scappata da uno zio, che mi ha violentato. Nonostante le cicatrici, quando a 11 anni sono rimasta incinta, mi sono esplosi due seni giganteschi».Il 58% delle bambine camerunesi è vittima di tali sevizie. La stiratura dei seni innesca insuperabili traumi psicologici. Chi si oppone è espulso dalla famiglia. Come il piccolo Atanganà, che non ha voluto appiattire la sorella. Accusato di essere posseduto da spiriti malvagi, dopo la morte del padre non ha più avuto diritto al cibo ed è stato scacciato. «Quando è nato — assicura la nonna — sono andato a vederlo. Sul letto mi è apparso un vecchio con un libro in mano». Atanganà adesso ha otto anni e possiede una carriola. Scarica plantani, arachidi e semi di cola nel Marché General di Yaoundé. Per tre ore al giorno affitta la carriola ad un altro bambino, che trasporta carne di cane, gatto e serpente in un ristorante. A sua volta questo, per un'ora, subaffitta il mezzo ad un amico che distribuisce vino di palma ai commercianti.Il rifiuto di un rito crudele sfama tre bambini di strada.
Per la maggioranza, però, il destino è spietato.L'approdo maledetto è il carcere della capitale. Migliaia di ragazzi, affamati, finiscono qui per stupri, omicidi, rapine, furti. In Camerun la tariffa di un killer è 50 euro, trattabili.In cella non c'è acqua, un secchio da muratore fa da latrina per trecento. Malaria e tubercolosi provvedono dove falliscono le guardie. Chi paga viene appeso per le mani e pestato come un sacco da pugile. Quelli che non possono, finiscono dal «sarto». La domanda è: «Pantaloni o mutande»? Poi viene amputato il piede, o la gamba. Due straordinari missionari cattolici non si rassegnano all'inferno.
Maurizio Bezzi vive con detenuti e ragazzi di strada. Sergio Janeselli sta con ciechi, sordomuti, handicappati e vittime della poliomelite. Un'oasi di dignità e coraggio nel deserto di una Chiesa ossequiosa e spesso complice del regime. Vescovi e preti hanno la precedenza, tra la generosa clientela di stregoni, ciarlatani e minacciosi guaritori animisti. «Tradizioni e usi di 252 tribù —dice Jacob Kotcho, uno dei capi del movimento per la difesa dei cittadini — formano un intrico incredibilmente complicato e misterioso. L'essenza del Camerun si nasconde nella sua varietà. La violenza del nuovo potere africano, il pensiero europeo, hanno bisogno invece di certezze elementari, dove sia chiaro un interesse finanziario personale».
La guerra alle cosce di pollo Ue, la lotta per salvare brandelli della foresta dei pigmei, per affermare i diritti delle donne, per sottrarre alla violenza bambini e dissidenti, cominciano però a non essere più campagne isolate. Nelle baracche delle città e sotto le capanne di campagna, i poveri discutono sempre meno di pace e indipendenza. Oggi parlano di democrazia e sviluppo. Mettono sotto accusa gli inamovibili, miliardari autocrati africani appoggiati da Occidente e Cina. A Yauondè i sostenitori del «pollo con le piume» sono diventati la «Generazione 2011», termine costituzionale del regno di Paul Biya. Sognano la fine degli eroi post-coloniali, ridotti a servi arricchiti degli antichi padroni. Dal 1960, anno della decolonizzazione e dell'ascesa di Ahmadou Ahidjo, è la prima volta che un movimento civile non naufraga subito nelle risse etniche tra bamilekè, fulani, choa e kotoko.
«Il nostro destino — dice Turni — non è una ineluttabile condanna. Forse cominciamo a capire la forza rivoluzionaria, politica, che nasce dal riconoscere il valore di ogni vita umana».Questa sera Bernard Njonga cena con i pastori di Maga, nascosto nella profondità del parco di Waza. La tenebra è assoluta, più del silenzio. Soffia il vapore del Sahel, calmo e saggio, come infine un amore. Il carbone abbrustolisce termiti e serpente dolce. Il capo tribù chiede perché la pelle di capra, cucita intera per conservare l'acqua, non si venda più ai mercanti del Ciad. Ascolta pensieroso la storia delle cosce di pollo, rispedite «al di là del mare». Vorrebbe lottare anche per le sue otri di cuoio, contro le taniche di plastica. Ma Njonga dice che il globo non è più piccolo: è diventato grande, infinito. E il Camerun deve sapere «che il mondo si dilata ogni giorno e ci scappa ancora». L'Africa Nera non si illude più: adesso sente che sarà impossibile conoscere e capire tutto quel che compone l'esistenza in un villaggio di sette miliardi di persone.
giovedì 17 gennaio 2008
Solidarietà per Luciano D'Antonio
di Marco Bersani
MegaChip
Luciano D'Antonio è un lavoratore di Pubbliacqua, società mista (parte privata Acea) che gestisce il servizio idrico dell'Ato fiorentino. Luciano D'Antonio è stato tra i promotori e infaticabile organizzatore della raccolta firme per la legge regionale d'iniziativa popolare per l'acqua in Toscana. Luciano D'Antonio è stato soggetto attivo della raccolta firme per la legge d'iniziativa popolare per l'acqua promossa dal Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua.
Luciano D'Antonio è soggetto attivo della mobilitazione dei lavoratori di Pubbliacqua, che con lui hanno partecipato alla manifestazione nazionale per l'acqua del 1 dicembre scorso.
Luciano D'Antonio è un compagno fraterno e generoso.
Da diverso tempo, Pubbliacqua lo ha preso nel mirino.
Da diverso tempo, subisce continui provvedimenti in ambito lavorativo.
Sono provvedimenti che non possono appellarsi alla sua professionalità di operatore pubblico, dunque si appellano ad “esigenze di servizio”.
Così Luciano ha subito diversi e repentini trasferimenti della sede di lavoro.
Ed ora ha subito un declassamento del mansionario.
Luciano D'Antonio non è preoccupato.
Sa che tutto il movimento per l'acqua è con lui.
Sa che può contare sulla solidarietà di tante donne e tanti uomini in lotta per l'acqua e per i beni comuni.
Ma Luciano D'Antonio chiede di farlo sapere anche alla sua azienda.
Perchè sappia che l'uso dell'autorità è solo segno di debolezza.
Perché sappia che un altro mondo è possibile.
Per questo vi chiede di scrivere un messaggio di solidarietà ai seguenti indirizzi:
presidente.cecchi@publiacqua.itinfo@publiacqua.it
e, per conoscenza sua, a tommifir@gmail.com
Riempiamoli di messaggi.
Un abbraccio.
Articolo originale http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=5631
MegaChip
Luciano D'Antonio è un lavoratore di Pubbliacqua, società mista (parte privata Acea) che gestisce il servizio idrico dell'Ato fiorentino. Luciano D'Antonio è stato tra i promotori e infaticabile organizzatore della raccolta firme per la legge regionale d'iniziativa popolare per l'acqua in Toscana. Luciano D'Antonio è stato soggetto attivo della raccolta firme per la legge d'iniziativa popolare per l'acqua promossa dal Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua.
Luciano D'Antonio è soggetto attivo della mobilitazione dei lavoratori di Pubbliacqua, che con lui hanno partecipato alla manifestazione nazionale per l'acqua del 1 dicembre scorso.
Luciano D'Antonio è un compagno fraterno e generoso.
Da diverso tempo, Pubbliacqua lo ha preso nel mirino.
Da diverso tempo, subisce continui provvedimenti in ambito lavorativo.
Sono provvedimenti che non possono appellarsi alla sua professionalità di operatore pubblico, dunque si appellano ad “esigenze di servizio”.
Così Luciano ha subito diversi e repentini trasferimenti della sede di lavoro.
Ed ora ha subito un declassamento del mansionario.
Luciano D'Antonio non è preoccupato.
Sa che tutto il movimento per l'acqua è con lui.
Sa che può contare sulla solidarietà di tante donne e tanti uomini in lotta per l'acqua e per i beni comuni.
Ma Luciano D'Antonio chiede di farlo sapere anche alla sua azienda.
Perchè sappia che l'uso dell'autorità è solo segno di debolezza.
Perché sappia che un altro mondo è possibile.
Per questo vi chiede di scrivere un messaggio di solidarietà ai seguenti indirizzi:
presidente.cecchi@publiacqua.itinfo@publiacqua.it
e, per conoscenza sua, a tommifir@gmail.com
Riempiamoli di messaggi.
Un abbraccio.
Articolo originale http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=5631
lunedì 14 gennaio 2008
(*) Osama bin Laden è stato ammazzato.
di Giulietto Chiesa
Megachip
*Dovrei mettere il punto interrogativo, per prudenza. Io non l'ho visto, non ho le prove. Ma chi lo dice è stata ammazzata e non era l'ultima arrivata sulla scena pachistana. E la sua morte, molto recente, mi pare come una conferma indiretta della validità della sua rivelazione. Per questo non metto il punto interrogativo. Lo mettano i maestri del giornalismo - italiano e mondiale - che hanno taciuto, insieme alle mille verità dell'11 settembre, anche questa notizia. Per oltre due mesi. Esattamente per due mesi e 11 giorni. Perchè questa notizia, con la "N" maiuscola, risale al 2 novembre 2007.
L'autrice si chiamava Benazir Bhutto. Il luogo della rivelazione il programma in lingua inglese di Al Jazeera "Over the World" condotto da David Frost, che appunto commenta con Benazir l'attentato dell'ottobre precedente che aveva fatto 158 morti, al suo primo ritorno in patria (clicca sulla foto per vedere il video).Benazir dice, testualmente che "the man who murdered Osama bin Laden" è Omar Sheikh. Ho controllato (e molti prima di me): le labbra dicono proprio così. Qualcuno ricorderà che Omar Sheikh è quell'agente del servizio segreto militare pakistano ISI che trasferì 100 mila dollari a Mohammed Atta il giorno prima l'attentato dell'11/9. Qui finisce la notizia e comincia lo scandalo, anzi una matrioshka infinita di scandali, uno dentro l'altro.
Il primo è sbalorditivo. Al Jazeera ha la notizia in diretta. Il suo conduttore, David Frost, uomo esperto, sembra non accorgersene. Non interrompe Benazir, non chiede chiarimenti.Il secondo scandalo è il silenzio di tutti i media occidentali (e ovviamente italiani). Anche se Benazir Bhutto avesse detto il falso la sua dichiarazione sarebbe stata una bomba atomica nel panorama mondiale. Se non altro per essere smentita. Invece nulla. Silenzio. Non se ne sono accorti?
Guardo sul contatore di You Tube, questa sera, 13 gennaio 2008, e vedo che 292.364 persone hanno visto quel video. Tutti meno i direttori di tutti i giornali e di tutte le tv dell'occidente. Altre decine di file tv, su You Tube, su Wikipedia, altrove, analizzano, commentano, da due mesi, e nessuno scrive una riga, nessuno dei media del "mainstream" dedica una riga, un 'immagine all'esplosione di interrogativi contenuta in quelle parole."L'Economist", illustre paravento quant'altri mai, ha appena dedicato una copertina del suo penultimo numero al Pakistan, definendolo "il luogo più pericoloso del mondo", ma non ha dedicato nemmeno una mezza riga a questa notizia.E noi siamo tutti impegnati nella lotta mondiale contro il terrorismo, ma nessun governo, nemmeno il governo americano, nemmeno la Cia, nemmeno l'Fbi, si accorgono che colui che ci hanno additato come capo del terrorismo mondiale è stato ammazzato, o potrebbe essere stato ammazzato.
Il presidente George Bush continua a ripetere le sue giaculatorie sul terrorismo e le sue minacce all'Iran e nessuno gli ha detto niente. Nemmeno quel dio sulla spalla del quale, quando è di cattivo umore, piange la mattina, dopo averlo pregato di scendere a fargli compagnia.Non chiedono nemmeno di sapere quando, eventualmente, sarebbe stato ammazzato. Forse perchè qualcuno teme di avere mandato in onda una sua dichiarazione in video post mortem senza saperlo. Chissà se adesso Umberto Eco andrà a rivedere i suoi commenti sulla mancanza della "gola profonda" per l'11 settembre. Certo la povera Benazir Bhutto non era, finchè fu viva, una gola profonda. Lei non c'entrava con l'11 settembre. Ma adesso a me risulta più chiaro perchè l'hanno ammazzata. Sapeva troppe cose e una di queste l'ha detta. Ed è bastata.Il resto ci riguarda. Come possiamo tollerare ancora di essere costretti a lasciare nelle mani di bugiardi e cialtroni l'informazione nel nostro paese?
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=5605
Megachip
*Dovrei mettere il punto interrogativo, per prudenza. Io non l'ho visto, non ho le prove. Ma chi lo dice è stata ammazzata e non era l'ultima arrivata sulla scena pachistana. E la sua morte, molto recente, mi pare come una conferma indiretta della validità della sua rivelazione. Per questo non metto il punto interrogativo. Lo mettano i maestri del giornalismo - italiano e mondiale - che hanno taciuto, insieme alle mille verità dell'11 settembre, anche questa notizia. Per oltre due mesi. Esattamente per due mesi e 11 giorni. Perchè questa notizia, con la "N" maiuscola, risale al 2 novembre 2007.
L'autrice si chiamava Benazir Bhutto. Il luogo della rivelazione il programma in lingua inglese di Al Jazeera "Over the World" condotto da David Frost, che appunto commenta con Benazir l'attentato dell'ottobre precedente che aveva fatto 158 morti, al suo primo ritorno in patria (clicca sulla foto per vedere il video).Benazir dice, testualmente che "the man who murdered Osama bin Laden" è Omar Sheikh. Ho controllato (e molti prima di me): le labbra dicono proprio così. Qualcuno ricorderà che Omar Sheikh è quell'agente del servizio segreto militare pakistano ISI che trasferì 100 mila dollari a Mohammed Atta il giorno prima l'attentato dell'11/9. Qui finisce la notizia e comincia lo scandalo, anzi una matrioshka infinita di scandali, uno dentro l'altro.
Il primo è sbalorditivo. Al Jazeera ha la notizia in diretta. Il suo conduttore, David Frost, uomo esperto, sembra non accorgersene. Non interrompe Benazir, non chiede chiarimenti.Il secondo scandalo è il silenzio di tutti i media occidentali (e ovviamente italiani). Anche se Benazir Bhutto avesse detto il falso la sua dichiarazione sarebbe stata una bomba atomica nel panorama mondiale. Se non altro per essere smentita. Invece nulla. Silenzio. Non se ne sono accorti?
Guardo sul contatore di You Tube, questa sera, 13 gennaio 2008, e vedo che 292.364 persone hanno visto quel video. Tutti meno i direttori di tutti i giornali e di tutte le tv dell'occidente. Altre decine di file tv, su You Tube, su Wikipedia, altrove, analizzano, commentano, da due mesi, e nessuno scrive una riga, nessuno dei media del "mainstream" dedica una riga, un 'immagine all'esplosione di interrogativi contenuta in quelle parole."L'Economist", illustre paravento quant'altri mai, ha appena dedicato una copertina del suo penultimo numero al Pakistan, definendolo "il luogo più pericoloso del mondo", ma non ha dedicato nemmeno una mezza riga a questa notizia.E noi siamo tutti impegnati nella lotta mondiale contro il terrorismo, ma nessun governo, nemmeno il governo americano, nemmeno la Cia, nemmeno l'Fbi, si accorgono che colui che ci hanno additato come capo del terrorismo mondiale è stato ammazzato, o potrebbe essere stato ammazzato.
Il presidente George Bush continua a ripetere le sue giaculatorie sul terrorismo e le sue minacce all'Iran e nessuno gli ha detto niente. Nemmeno quel dio sulla spalla del quale, quando è di cattivo umore, piange la mattina, dopo averlo pregato di scendere a fargli compagnia.Non chiedono nemmeno di sapere quando, eventualmente, sarebbe stato ammazzato. Forse perchè qualcuno teme di avere mandato in onda una sua dichiarazione in video post mortem senza saperlo. Chissà se adesso Umberto Eco andrà a rivedere i suoi commenti sulla mancanza della "gola profonda" per l'11 settembre. Certo la povera Benazir Bhutto non era, finchè fu viva, una gola profonda. Lei non c'entrava con l'11 settembre. Ma adesso a me risulta più chiaro perchè l'hanno ammazzata. Sapeva troppe cose e una di queste l'ha detta. Ed è bastata.Il resto ci riguarda. Come possiamo tollerare ancora di essere costretti a lasciare nelle mani di bugiardi e cialtroni l'informazione nel nostro paese?
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=5605
venerdì 11 gennaio 2008
Monnezza/4 SPARATECI COSI’ FATE PRIMA
DI BIFO
Rekombinant
Che il governo di centrosinistra nato dalle elezioni del 2006 fosse finito nella poubelle de l'histoire molti lo sospettavano da tempo. Ma gli eventi napoletani degli ultimi giorni stanno trasformando la metafora in una descrizione realistica. Sprofondano nell'immondizia. La decisione di risolvere il problema della devastazione ambientale con l'invio di un uomo come De Gennaro fa impressione. Vien da pensare che il governo Prodi sia nel panico e non abbia più la capacità di riflettere, di rendersi conto di quello che fa.
De Gennaro sarà certamente una degnissima persona, ma qual è la sua professione, in cosa si è distinto nella vita? Questa è la sua professione: manganellare la gente. Cosa ti viene in mente quando dici De Gennaro? A me viene in mente la mattanza di Genova. E' questo il messaggio che il governo Prodi vuole mandare alle popolazioni meridionali? Mandare De Gennaro a Pianura è una scelta idiota o una scelta consapevolmente criminale. In questo modo si consegna alla camorra la possibilità di moltiplicare la sua base sociale, di trasformarsi in esercito popolare. "Sparateci così fate prima" ho visto scritto su un lenzuolo esposto su un balcone di Pianura. Il governo di centrosinistra ha deciso di mostrare la faccia torva oggi a Pianura domani a Vicenza dopodomani in Val di Susa? E' questo quello che sanno fare? La scelta di spedire De Gennaro a Pianura trasforma il governo dell'impotenza in un governo di polizia.
Il ministro Damiano dichiara che gli unici aumenti salariali che gli operai possono aspettarsi sono quelli che derivano dalla detassazione del cottimo e dello straordinario. Piangono lacrime finte per sei operai cremati nei forni della ThyssenKrupp, ma sono loro, i ministri e i deputati del centrosinistra, che hanno votato una legge assassina che premia lo straordinario, che obbliga allo straordinario, che restaura il cottimo come forma generalizzata di rapporto tra capitale e lavoro.
Oggi mandano l'esercito a Pianura per sottomettere le popolazioni costrette a vivere nella spazzatura, domani lo manderanno a Vicenza per sottomettere le popolazioni destinate a vivere in una caserma americana. E' ancora possibile chiedervi di ragionare, uomini e donne del centrosinistra, deputati di Rifondazione comunista, del partito verde e così via? E' ancora possibile chiedervi di ripensarci finché siete in tempo? E' possibile chiedervi di andarvene, prima di diventare degli assassini?
http://groups.google.com/group/rekombinant/msg/01128a7ecb741c50
Rekombinant
Che il governo di centrosinistra nato dalle elezioni del 2006 fosse finito nella poubelle de l'histoire molti lo sospettavano da tempo. Ma gli eventi napoletani degli ultimi giorni stanno trasformando la metafora in una descrizione realistica. Sprofondano nell'immondizia. La decisione di risolvere il problema della devastazione ambientale con l'invio di un uomo come De Gennaro fa impressione. Vien da pensare che il governo Prodi sia nel panico e non abbia più la capacità di riflettere, di rendersi conto di quello che fa.
De Gennaro sarà certamente una degnissima persona, ma qual è la sua professione, in cosa si è distinto nella vita? Questa è la sua professione: manganellare la gente. Cosa ti viene in mente quando dici De Gennaro? A me viene in mente la mattanza di Genova. E' questo il messaggio che il governo Prodi vuole mandare alle popolazioni meridionali? Mandare De Gennaro a Pianura è una scelta idiota o una scelta consapevolmente criminale. In questo modo si consegna alla camorra la possibilità di moltiplicare la sua base sociale, di trasformarsi in esercito popolare. "Sparateci così fate prima" ho visto scritto su un lenzuolo esposto su un balcone di Pianura. Il governo di centrosinistra ha deciso di mostrare la faccia torva oggi a Pianura domani a Vicenza dopodomani in Val di Susa? E' questo quello che sanno fare? La scelta di spedire De Gennaro a Pianura trasforma il governo dell'impotenza in un governo di polizia.
Il ministro Damiano dichiara che gli unici aumenti salariali che gli operai possono aspettarsi sono quelli che derivano dalla detassazione del cottimo e dello straordinario. Piangono lacrime finte per sei operai cremati nei forni della ThyssenKrupp, ma sono loro, i ministri e i deputati del centrosinistra, che hanno votato una legge assassina che premia lo straordinario, che obbliga allo straordinario, che restaura il cottimo come forma generalizzata di rapporto tra capitale e lavoro.
Oggi mandano l'esercito a Pianura per sottomettere le popolazioni costrette a vivere nella spazzatura, domani lo manderanno a Vicenza per sottomettere le popolazioni destinate a vivere in una caserma americana. E' ancora possibile chiedervi di ragionare, uomini e donne del centrosinistra, deputati di Rifondazione comunista, del partito verde e così via? E' ancora possibile chiedervi di ripensarci finché siete in tempo? E' possibile chiedervi di andarvene, prima di diventare degli assassini?
http://groups.google.com/group/rekombinant/msg/01128a7ecb741c50
Monnezza/3 Nel paese dei monnezzari
di Carlo Bertani
da Disinformazione
“Bande di teppisti senza una strategia complessiva”, ecco come un Ministro dell’Interno ex socialista, e nominato da un governo di centro-sinistra, definisce il malessere degli abitanti del napoletano. E, questo, dopo aver “sentito” il Capo della Polizia Manganelli (basta il nome…) ed aver nominato De Gennaro (Genova 2001?) Commissario Straordinario per la Monnezza.
L’Italia è un “paese fotocopia”. Ogni anno che passa, potremmo “riciclare” le notizie di quello precedente: come nel 2007, 2006, 2005…anche quest’anno è scoppiata “l’emergenza rifiuti”. Anche le notizie fanno monnezza. Come andrà a finire? Come tutte le “emergenze” italiane: dapprima si criminalizza chi protesta per il sacrosanto diritto alla propria salute (le cifre sull’incidenza dei tumori riportate da Saviano parlano chiaro), poi partirà una strategia formata da promesse (tante), soldi (a chi di dovere), tanto per rientrare in quell’ordinaria “normalità” che, a Napoli, significa non avere la monnezza che arriva al primo piano. Poi, spegneranno i riflettori delle TV, e tutto tornerà “normale”. Fino alla prossima emergenza.
Intanto, montagne di rifiuti s’accumulano nelle strade, mentre colonne di camion cariche di spazzatura s’avventurano – scortate dalla Polizia – fra paesi in guerra e popolazioni al limite della sopportazione. Dove vanno? Tentano di raggiungere l’ennesima discarica “temporanea”, nell’attesa che si trovi l’ennesimo “sito” per l’interramento definitivo: ovviamente, nell’attesa che sia definito dove e se costruire un inceneritore, un termovalorizzatore o comunque lo si voglia chiamare. Intervistati dai solerti TG nazionali, sudaticci funzionari affermano di “lottare contro il tempo”, “contro gli immobilismi”, “contro le eco-mafie”, contro…insomma, un’emergenza apocalittica! Ora, “un’emergenza” deriva – per definizione – da un evento straordinario ed imprevisto: nessuno prevedeva che, anche quest’anno, avremmo gettato nella spazzatura le bucce dei mandarini e i cartocci del latte?
Continua al link http://www.disinformazione.it/paese_dei_monnezzari.htm
da Disinformazione
“Bande di teppisti senza una strategia complessiva”, ecco come un Ministro dell’Interno ex socialista, e nominato da un governo di centro-sinistra, definisce il malessere degli abitanti del napoletano. E, questo, dopo aver “sentito” il Capo della Polizia Manganelli (basta il nome…) ed aver nominato De Gennaro (Genova 2001?) Commissario Straordinario per la Monnezza.
L’Italia è un “paese fotocopia”. Ogni anno che passa, potremmo “riciclare” le notizie di quello precedente: come nel 2007, 2006, 2005…anche quest’anno è scoppiata “l’emergenza rifiuti”. Anche le notizie fanno monnezza. Come andrà a finire? Come tutte le “emergenze” italiane: dapprima si criminalizza chi protesta per il sacrosanto diritto alla propria salute (le cifre sull’incidenza dei tumori riportate da Saviano parlano chiaro), poi partirà una strategia formata da promesse (tante), soldi (a chi di dovere), tanto per rientrare in quell’ordinaria “normalità” che, a Napoli, significa non avere la monnezza che arriva al primo piano. Poi, spegneranno i riflettori delle TV, e tutto tornerà “normale”. Fino alla prossima emergenza.
Intanto, montagne di rifiuti s’accumulano nelle strade, mentre colonne di camion cariche di spazzatura s’avventurano – scortate dalla Polizia – fra paesi in guerra e popolazioni al limite della sopportazione. Dove vanno? Tentano di raggiungere l’ennesima discarica “temporanea”, nell’attesa che si trovi l’ennesimo “sito” per l’interramento definitivo: ovviamente, nell’attesa che sia definito dove e se costruire un inceneritore, un termovalorizzatore o comunque lo si voglia chiamare. Intervistati dai solerti TG nazionali, sudaticci funzionari affermano di “lottare contro il tempo”, “contro gli immobilismi”, “contro le eco-mafie”, contro…insomma, un’emergenza apocalittica! Ora, “un’emergenza” deriva – per definizione – da un evento straordinario ed imprevisto: nessuno prevedeva che, anche quest’anno, avremmo gettato nella spazzatura le bucce dei mandarini e i cartocci del latte?
Continua al link http://www.disinformazione.it/paese_dei_monnezzari.htm
giovedì 10 gennaio 2008
Monnezza/2 Campania: la non-emergenza
di Giorgia Boca – Megachip
Il problema dei rifiuti in Campania, come ogni problema mai risolto alla radice, periodicamente ritorna di attualità, occupando prepotentemente le prime pagine dei giornali. Le immagini che ci vengono proposte sono da qualche tempo sempre più esasperate e drammatiche: piramidi di spazzatura per le strade delle città, proteste che raggiungono livelli di tensione molto alta, scontri, vertici istituzionali di vario genere che si concludono in annunci di risoluzioni puntualmente rivelatesi fallimentari.
E' una questione che rappresenta “un concentrato di tutte le crisi del nostro paese: crisi culturale, politica, amministrativa, economica, occupazionale, ambientale, urbana, sanitaria, securitaria: insomma una bancarotta della democrazia” [1]. Negli anni novanta viene approvato un piano regionale dei rifiuti che prevede la realizzazione di due termovalorizzatori e sette impianti per la produzione di combustibile da rifiuti (Cdr), le cosiddette ecoballe.
Chi vince l'appalto per la gestione dell'intero ciclo dei rifiuti decide dove costruire gli impianti: vince la Fibe, società di Impregilo, e per i termovalorizzatori vengono prescelte Acerra e Santa Maria La Scala. La prima, in particolare, è già uno dei siti più inquinati d'Italia, dove il tasso di mortalità per tumori è uno dei più alti. E infatti le proteste non tardano ad arrivare: i lavori partono, ma, come spesso accade in Italia, i tempi – e i costi – iniziano a dilatarsi. Prima si parla del 2007, poi del 2008, ma adesso è chiaro che prima del 2009 nessuno vedrà operativa quella struttura. E la cosa più sconcertante è pensare che una scelta così delicata per il territorio e la salute dei cittadini, due ambiti in cui lo Stato non può permettersi deleghe, sia stata fatta interamente dai privati.
Altro sintomo conclamato di questa sindrome da responsabilità è la gestione commissariale. Può l'emergenza giustificare una così prolungata delega dei poteri da parte dello Stato? Non c'è solo il problema dei rifiuti: c'è quello idrogeologico, quello del sottosuolo, quello delle bonifiche. Di fronte alla necessità di scelte cruciali e di rilievo, lo Stato fa un passo indietro e l'emergenza non è più sintomo di un problema ma giustificazione per non decidere o, peggio, per nascondere le proprie inefficienze: “è al concetto di stato di eccezione , più che a quello di emergenza, che si deve ormai ricorrere per giustificare in Campania l'esistenza dei commissariati di governo di lungo corso, cui si è demandata pressoché per intero la gestione di settori ambientali cruciali” [2].
Cosa dire poi del fatto che per ben due volte è stato nominato commissario addirittura un presidente di Regione? Lo stato di emergenza esprime il fallimento degli amministratori democraticamente eletti, ma sono poi gli amministratori stessi che vengono chiamati a correggere i loro errori. E così la catena continua. ..
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=5576
Il problema dei rifiuti in Campania, come ogni problema mai risolto alla radice, periodicamente ritorna di attualità, occupando prepotentemente le prime pagine dei giornali. Le immagini che ci vengono proposte sono da qualche tempo sempre più esasperate e drammatiche: piramidi di spazzatura per le strade delle città, proteste che raggiungono livelli di tensione molto alta, scontri, vertici istituzionali di vario genere che si concludono in annunci di risoluzioni puntualmente rivelatesi fallimentari.
E' una questione che rappresenta “un concentrato di tutte le crisi del nostro paese: crisi culturale, politica, amministrativa, economica, occupazionale, ambientale, urbana, sanitaria, securitaria: insomma una bancarotta della democrazia” [1]. Negli anni novanta viene approvato un piano regionale dei rifiuti che prevede la realizzazione di due termovalorizzatori e sette impianti per la produzione di combustibile da rifiuti (Cdr), le cosiddette ecoballe.
Chi vince l'appalto per la gestione dell'intero ciclo dei rifiuti decide dove costruire gli impianti: vince la Fibe, società di Impregilo, e per i termovalorizzatori vengono prescelte Acerra e Santa Maria La Scala. La prima, in particolare, è già uno dei siti più inquinati d'Italia, dove il tasso di mortalità per tumori è uno dei più alti. E infatti le proteste non tardano ad arrivare: i lavori partono, ma, come spesso accade in Italia, i tempi – e i costi – iniziano a dilatarsi. Prima si parla del 2007, poi del 2008, ma adesso è chiaro che prima del 2009 nessuno vedrà operativa quella struttura. E la cosa più sconcertante è pensare che una scelta così delicata per il territorio e la salute dei cittadini, due ambiti in cui lo Stato non può permettersi deleghe, sia stata fatta interamente dai privati.
Altro sintomo conclamato di questa sindrome da responsabilità è la gestione commissariale. Può l'emergenza giustificare una così prolungata delega dei poteri da parte dello Stato? Non c'è solo il problema dei rifiuti: c'è quello idrogeologico, quello del sottosuolo, quello delle bonifiche. Di fronte alla necessità di scelte cruciali e di rilievo, lo Stato fa un passo indietro e l'emergenza non è più sintomo di un problema ma giustificazione per non decidere o, peggio, per nascondere le proprie inefficienze: “è al concetto di stato di eccezione , più che a quello di emergenza, che si deve ormai ricorrere per giustificare in Campania l'esistenza dei commissariati di governo di lungo corso, cui si è demandata pressoché per intero la gestione di settori ambientali cruciali” [2].
Cosa dire poi del fatto che per ben due volte è stato nominato commissario addirittura un presidente di Regione? Lo stato di emergenza esprime il fallimento degli amministratori democraticamente eletti, ma sono poi gli amministratori stessi che vengono chiamati a correggere i loro errori. E così la catena continua. ..
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=5576
mercoledì 9 gennaio 2008
Incenerire è un po' morire
di Guido Viale - da il Manifesto
Fonte: MegaChip
Ancora una volta, parole chiare sulla questione dei rifiuti. Continueranno a chiudere le orecchie?L'inceneritore è una macchina due volte tossica. In primo luogo è tossica perché rilascia scorie pericolose che vanno sotterrate in discariche ad hoc, mentre il resto (quattro quinti) se ne va in fumo. Non sparisce, ma si disperde nell'aria e poi ricade sui nostri polmoni, sulle cose che mangiamo, sul terreno dove passeggiamo o giochiamo.
È vero che un inceneritore ben gestito produce meno inquinanti di uno svincolo autostradale o di un ingorgo automobilistico. Ma i rifiuti sono un materiale poco omogeneo, con grandi variazioni di potere calorifico: basta uno sbalzo di temperatura e l'abbattimento degli inquinanti va in tilt. Sempre nella speranza che nel materiale conferito non siano state nascoste sostanze tossiche, cosa ormai verificata per le «ecoballe» della Campania.
Affidereste voi il funzionamento di una macchina così pericolosa a chi ha gestito i rifiuti campani negli ultimi decenni? Ma l'inceneritore è tossico soprattutto perché inquina il cervello di molti amministratori locali e governanti nazionali, che aspettano da quella macchina, e non dalla riorganizzazione del ciclo dei rifiuti attraverso la partecipazione e il coinvolgimento diretto dei cittadini - cioè di coloro che i rifiuti li producono - una miracolosa soluzione del problema. Dal Presidente della Repubblica a quello della Giunta regionale, dai nove commissari straordinari che si sono succeduti in quattordici anni al posto di comando dei rifiuti campani agli opinionisti di tutti gli organi di informazione, fino ai politici che intasano i tg, è tutto un sol coro: il problema si risolverà quando entrerà in funzione il cosiddetto «termovalorizzatore», cioè l'inceneritore. Come si fa nei paesi «moderni». Per il momento beccatevi la munnezza e guai a chi, dimostrando incompetenza e mancanza di spirito civico, protesta...
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=5566
Fonte: MegaChip
Ancora una volta, parole chiare sulla questione dei rifiuti. Continueranno a chiudere le orecchie?L'inceneritore è una macchina due volte tossica. In primo luogo è tossica perché rilascia scorie pericolose che vanno sotterrate in discariche ad hoc, mentre il resto (quattro quinti) se ne va in fumo. Non sparisce, ma si disperde nell'aria e poi ricade sui nostri polmoni, sulle cose che mangiamo, sul terreno dove passeggiamo o giochiamo.
È vero che un inceneritore ben gestito produce meno inquinanti di uno svincolo autostradale o di un ingorgo automobilistico. Ma i rifiuti sono un materiale poco omogeneo, con grandi variazioni di potere calorifico: basta uno sbalzo di temperatura e l'abbattimento degli inquinanti va in tilt. Sempre nella speranza che nel materiale conferito non siano state nascoste sostanze tossiche, cosa ormai verificata per le «ecoballe» della Campania.
Affidereste voi il funzionamento di una macchina così pericolosa a chi ha gestito i rifiuti campani negli ultimi decenni? Ma l'inceneritore è tossico soprattutto perché inquina il cervello di molti amministratori locali e governanti nazionali, che aspettano da quella macchina, e non dalla riorganizzazione del ciclo dei rifiuti attraverso la partecipazione e il coinvolgimento diretto dei cittadini - cioè di coloro che i rifiuti li producono - una miracolosa soluzione del problema. Dal Presidente della Repubblica a quello della Giunta regionale, dai nove commissari straordinari che si sono succeduti in quattordici anni al posto di comando dei rifiuti campani agli opinionisti di tutti gli organi di informazione, fino ai politici che intasano i tg, è tutto un sol coro: il problema si risolverà quando entrerà in funzione il cosiddetto «termovalorizzatore», cioè l'inceneritore. Come si fa nei paesi «moderni». Per il momento beccatevi la munnezza e guai a chi, dimostrando incompetenza e mancanza di spirito civico, protesta...
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=5566
martedì 8 gennaio 2008
Giuliano Ferrara condannato in Francia per violazione del diritto d'autore
di Marco Travaglio - da l'Unità
Con tutte le baggianate che dice, sempre comunque accreditate di grande intelligenza, vien da chiedersi che ne sarebbe di Giuliano Ferrara in un paese serio, cioè diverso dall'Italia. Una risposta giunge dalla Francia, dove il Molto Intelligente è stato appena condannato in appello (e dunque in via definitiva) dal Tribunal de Grande Instance di Parigi per contraffazione di opera d'ingegno e violazione del diritto d'autore ai danni di Antonio Tabucchi.
Il fatto risale all'ottobre 2003, quando Tabucchi inviò un articolo a Le Monde, ma se lo vide pubblicato, in anteprima e senz'autorizzazione, sul Foglio (un correttore di bozze del quotidiano parigino l'aveva inviato per amicizia a Ferrara, senza prevedere che questi l'avrebbe fregato e messo in pagina).
Ora Ferrara dovrà sborsare 34mila euro in tutto: 10mila di multa allo Stato francese, più 3mila per aver appellato temerariamente la condanna di primo grado; 12mila di danni a Tabucchi; 9mila per finanziare la pubblicazione della sentenza su Le Monde, Le Figaro e Libération. Naturalmente, se Ferrara avesse vinto la causa, la notizia sarebbe uscita su tutti i giornali. Invece l'ha persa, dunque silenzio di tomba.
Ma l'aspetto più interessante del processo non è la sentenza. È l'incredulità dei francesi - giudici, avvocati e giornalisti - di fronte a quel che dice Ferrara. Anzi, di fronte a Ferrara tout court, che al di là del Monginevro è visto come un fenomeno da baraccone. Il suo interrogatorio in tribunale è uno spettacolo da far pagare il biglietto.
Nell'articolo rubato, Tabucchi ricordava i trascorsi di Ferrara come informatore prezzolato della Cia. Il giudice domanda all'interessato se la cosa sia vera. Ferrara risponde che sì, fu lui stesso a rivelarlo sul Foglio. Ma era una balla, che lui chiama «provocazione»: tant'è che ¬ aggiunge ¬ non ci sono le prove. La nuova frontiera del giornalismo da lui inaugurata - spiega - prescinde dalla verità. Figurarsi la faccia dei giudici parigini dinanzi a questo «giornalista» ed ex ministro italiano che si vanta di raccontare frottole sulla propria vita e aggiunge: trovate le prove di quel che scrivo, se ne siete capaci.
Lo condannano su due piedi. Lui ricorre in appello, eccependo fra l'altro sulla competenza territoriale del Tribunale parigino, manco fosse Previti o Berlusconi al Tribunale di Milano. Eccezione respinta con perdite. Quanto al merito, ricordano i giudici di seconda istanza, il Molto Intelligente è colpevole per definizione: «Il 4 novembre 2006 Ferrara veniva interrogato e sosteneva che in Italia è usanza giornalistica pubblicare documenti senza autorizzazione per rispondere a essi senza che la cosa comporti una contraffazione».
Dopo aver finito di ridere, i giudici ribattono che pubblicare sul Foglio un articolo destinato a Le Monde «senza il consenso dell'autore né di Le Monde costituisce a pieno titolo contraffazione» e «non è seriamente sostenibile che un delitto di contraffazione sia legittimato da una sorta di diritto di replica preventivo rispetto alla pubblicazione».
Ferrara, se voleva replicare a Tabucchi, doveva attendere che l'articolo uscisse su Le Monde. Il Tribunale aggiunge sarcastico che una diversa «eventuale usanza italiana, ammesso che esista, non si applicherebbe comunque al diritto francese». E conclude sottolineando «la piena consapevolezza che l'imputato (Ferrara, ndr) aveva del suo delitto e del cinismo con cui l'ha commesso», ergo «va dichiarato colpevole dei fatti a lui addebitati». Insomma: certi sofismi, furbate e corbellerie Ferrara li vada a raccontare agli italiani, che hanno smarrito il senso del pudore, della decenza e della vergogna.
In Francia non attaccano. Infatti, riportando la sentenza, il Nouvel Observateur descrive Ferrara come nemmeno un giornale di estrema sinistra oserebbe dipingerlo. Cioè per quello che è: «maschera della tv trash», «specializzato nella denigrazione di chi si oppone a Berlusconi» e nel «servilismo giornalistico» che gli è valso la direzione di Panorama e del Foglio, sempre «indipendente come si può essere quando l'editore è la moglie di Berlusconi».
Nessun accenno alla sua grande intelligenza. In controtendenza con la fuga dei cervelli dall'Italia, quello di Ferrara all'estero non lo nota nessuno. Non pervenuto.
Con tutte le baggianate che dice, sempre comunque accreditate di grande intelligenza, vien da chiedersi che ne sarebbe di Giuliano Ferrara in un paese serio, cioè diverso dall'Italia. Una risposta giunge dalla Francia, dove il Molto Intelligente è stato appena condannato in appello (e dunque in via definitiva) dal Tribunal de Grande Instance di Parigi per contraffazione di opera d'ingegno e violazione del diritto d'autore ai danni di Antonio Tabucchi.
Il fatto risale all'ottobre 2003, quando Tabucchi inviò un articolo a Le Monde, ma se lo vide pubblicato, in anteprima e senz'autorizzazione, sul Foglio (un correttore di bozze del quotidiano parigino l'aveva inviato per amicizia a Ferrara, senza prevedere che questi l'avrebbe fregato e messo in pagina).
Ora Ferrara dovrà sborsare 34mila euro in tutto: 10mila di multa allo Stato francese, più 3mila per aver appellato temerariamente la condanna di primo grado; 12mila di danni a Tabucchi; 9mila per finanziare la pubblicazione della sentenza su Le Monde, Le Figaro e Libération. Naturalmente, se Ferrara avesse vinto la causa, la notizia sarebbe uscita su tutti i giornali. Invece l'ha persa, dunque silenzio di tomba.
Ma l'aspetto più interessante del processo non è la sentenza. È l'incredulità dei francesi - giudici, avvocati e giornalisti - di fronte a quel che dice Ferrara. Anzi, di fronte a Ferrara tout court, che al di là del Monginevro è visto come un fenomeno da baraccone. Il suo interrogatorio in tribunale è uno spettacolo da far pagare il biglietto.
Nell'articolo rubato, Tabucchi ricordava i trascorsi di Ferrara come informatore prezzolato della Cia. Il giudice domanda all'interessato se la cosa sia vera. Ferrara risponde che sì, fu lui stesso a rivelarlo sul Foglio. Ma era una balla, che lui chiama «provocazione»: tant'è che ¬ aggiunge ¬ non ci sono le prove. La nuova frontiera del giornalismo da lui inaugurata - spiega - prescinde dalla verità. Figurarsi la faccia dei giudici parigini dinanzi a questo «giornalista» ed ex ministro italiano che si vanta di raccontare frottole sulla propria vita e aggiunge: trovate le prove di quel che scrivo, se ne siete capaci.
Lo condannano su due piedi. Lui ricorre in appello, eccependo fra l'altro sulla competenza territoriale del Tribunale parigino, manco fosse Previti o Berlusconi al Tribunale di Milano. Eccezione respinta con perdite. Quanto al merito, ricordano i giudici di seconda istanza, il Molto Intelligente è colpevole per definizione: «Il 4 novembre 2006 Ferrara veniva interrogato e sosteneva che in Italia è usanza giornalistica pubblicare documenti senza autorizzazione per rispondere a essi senza che la cosa comporti una contraffazione».
Dopo aver finito di ridere, i giudici ribattono che pubblicare sul Foglio un articolo destinato a Le Monde «senza il consenso dell'autore né di Le Monde costituisce a pieno titolo contraffazione» e «non è seriamente sostenibile che un delitto di contraffazione sia legittimato da una sorta di diritto di replica preventivo rispetto alla pubblicazione».
Ferrara, se voleva replicare a Tabucchi, doveva attendere che l'articolo uscisse su Le Monde. Il Tribunale aggiunge sarcastico che una diversa «eventuale usanza italiana, ammesso che esista, non si applicherebbe comunque al diritto francese». E conclude sottolineando «la piena consapevolezza che l'imputato (Ferrara, ndr) aveva del suo delitto e del cinismo con cui l'ha commesso», ergo «va dichiarato colpevole dei fatti a lui addebitati». Insomma: certi sofismi, furbate e corbellerie Ferrara li vada a raccontare agli italiani, che hanno smarrito il senso del pudore, della decenza e della vergogna.
In Francia non attaccano. Infatti, riportando la sentenza, il Nouvel Observateur descrive Ferrara come nemmeno un giornale di estrema sinistra oserebbe dipingerlo. Cioè per quello che è: «maschera della tv trash», «specializzato nella denigrazione di chi si oppone a Berlusconi» e nel «servilismo giornalistico» che gli è valso la direzione di Panorama e del Foglio, sempre «indipendente come si può essere quando l'editore è la moglie di Berlusconi».
Nessun accenno alla sua grande intelligenza. In controtendenza con la fuga dei cervelli dall'Italia, quello di Ferrara all'estero non lo nota nessuno. Non pervenuto.
lunedì 7 gennaio 2008
la Chiesa e la "difesa della vita"
di Ignacio Solares
da Carmilla
[Ignacio Solares è uno dei maggiori scrittori messicani contemporanei, di forte impronta cristiana. Il presente articolo è tratto dal settimanale Proceso n. 1590, 22 aprile 2007. La traduzione è di V.E.]
Per San Tommaso d’Aquino, ogni atto sessuale deve essere atto coniugale, e ogni atto coniugale deve essere atto procreativo. Qualsiasi trasgressione contro i comandamenti sessuali è per lui la lesione di un bene “divino”, poiché nel seme maschile è contenuta tutta la potenzialità della persona umana. Ne consegue che “dopo il peccato di omicidio occupa il secondo posto il peccato di impedire, in qualsiasi maniera, la procreazione” (Summa contra gent., III, 122).
Senza dubbio, il problema più grave che affronta oggi la Chiesa cattolica è che non può cambiare – non può muoversi – di fronte all’infallibilità dei suoi papi (e dei suoi santi, è chiaro) per quanto aberranti siano state le loro pronunce. L’eredità si trasforma in una zavorra fatale per la Chiesa.
I papi ereditano tutti i peccati dei loro predecessori – a partire da San Pietro – perché “non possono sbagliare”. Quale altro peccato di superbia potrebbe essere paragonato a questo? Così, per esempio, c’è una linea diretta di pensiero da San Tommaso (metà del secolo XIII) a Paolo VI (metà del secolo XX), che nella sua enciclica contro la pillola afferma che la contraccezione è “tanto condannabile” quanto l’aborto. Con ciò, di un buon numero di aborti deve essere fatto carico ai papi, dato che costoro, nell’equiparare contraccezione e aborto, finiscono con l’asserire la banalità dell’aborto. Se, secondo Paolo VI, la contraccezione ha un peso pari a quello dell’aborto, se ne deve concludere che l’aborto ha tanto poco peso quanto la contraccezione. Può una qualsiasi donna sana di mente equiparare l’atto di abortire con quello di prendere una pillola, o di chiedere a suo marito di mettere un preservativo?Una sola identica Chiesa, dal Medioevo a oggi.
Basta ricordare una famosa udienza generale che tenne Giovanni Paolo II a Roma nel 1980, nella quale parlò dell’adulterio che “si perpetra in umbito coniugale con la propria moglie”, sulla stessa linea dell’agostinismo, tomismo, stoicismo, filonismo – vale a dire, dalla prospettiva dell’ostilità nei confronti del piacere...
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http://www.carmillaonline.com/archives/2008/01/002502.html
da Carmilla
[Ignacio Solares è uno dei maggiori scrittori messicani contemporanei, di forte impronta cristiana. Il presente articolo è tratto dal settimanale Proceso n. 1590, 22 aprile 2007. La traduzione è di V.E.]
Per San Tommaso d’Aquino, ogni atto sessuale deve essere atto coniugale, e ogni atto coniugale deve essere atto procreativo. Qualsiasi trasgressione contro i comandamenti sessuali è per lui la lesione di un bene “divino”, poiché nel seme maschile è contenuta tutta la potenzialità della persona umana. Ne consegue che “dopo il peccato di omicidio occupa il secondo posto il peccato di impedire, in qualsiasi maniera, la procreazione” (Summa contra gent., III, 122).
Senza dubbio, il problema più grave che affronta oggi la Chiesa cattolica è che non può cambiare – non può muoversi – di fronte all’infallibilità dei suoi papi (e dei suoi santi, è chiaro) per quanto aberranti siano state le loro pronunce. L’eredità si trasforma in una zavorra fatale per la Chiesa.
I papi ereditano tutti i peccati dei loro predecessori – a partire da San Pietro – perché “non possono sbagliare”. Quale altro peccato di superbia potrebbe essere paragonato a questo? Così, per esempio, c’è una linea diretta di pensiero da San Tommaso (metà del secolo XIII) a Paolo VI (metà del secolo XX), che nella sua enciclica contro la pillola afferma che la contraccezione è “tanto condannabile” quanto l’aborto. Con ciò, di un buon numero di aborti deve essere fatto carico ai papi, dato che costoro, nell’equiparare contraccezione e aborto, finiscono con l’asserire la banalità dell’aborto. Se, secondo Paolo VI, la contraccezione ha un peso pari a quello dell’aborto, se ne deve concludere che l’aborto ha tanto poco peso quanto la contraccezione. Può una qualsiasi donna sana di mente equiparare l’atto di abortire con quello di prendere una pillola, o di chiedere a suo marito di mettere un preservativo?Una sola identica Chiesa, dal Medioevo a oggi.
Basta ricordare una famosa udienza generale che tenne Giovanni Paolo II a Roma nel 1980, nella quale parlò dell’adulterio che “si perpetra in umbito coniugale con la propria moglie”, sulla stessa linea dell’agostinismo, tomismo, stoicismo, filonismo – vale a dire, dalla prospettiva dell’ostilità nei confronti del piacere...
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domenica 6 gennaio 2008
Io sono leggenda
Io sono Leggenda (I am Legend - R. Matheson, 1954)
Cristina "Anjiin" Ristori
Terre di Confine
Robert Neville ha imparato a vivere con metodica monotonia le sue giornate dopo la fine del mondo. Si alza all’alba e torna al tramonto, chiudendo scrupolosamente la porta tra sé e il buio; controlla le assi inchiodate alle finestre, le collane d’aglio appese ai battenti, le croci e gli specchi. Poi, tra un whisky e un po’ di musica, chiude gli occhi e si appresta a sopravvivere alla notte.
Le giornate sono terribilmente lunghe e solitarie, le strade deserte, e delle abitazioni attorno rimangono solo resti anneriti: le ha bruciate lui, tempo prima, per evitare che loro le usassero per arrivare al suo tetto. Le notti, al contrario, sono piene di gemiti e urla, invocazioni e imprecazioni che si condensano attorno alla sua casa perché, in un mondo popolato di vampiri, Robert Neville è l’ultimo uomo rimasto sulla Terra. E non può far altro che affilare i suoi paletti, approfittare della luce del sole per scovare i nemici nelle loro tane, e ucciderli.
Pochi flashback ci illuminano su quello che è stato il preludio al disastro: una guerra batteriologica, una pandemia senza controllo, tempeste di polvere che la diffondono. Scene quasi manzoniane, se non fosse per l’essenzialità brutale con cui vengono narrate: la figlia gettata nei roghi comuni come una novella Cecilia da un monatto del futuro, la moglie seppellita amorevolmente, che dopo due giorni, però, ritorna… E la consapevolezza, da parte del protagonista, di essere assurdamente immune all’ecatombe che lo circonda, che lo voglia o meno.
Quello che ci appare è un mondo del “giorno dopo” profondamente mutato nella sua realtà, in cui il tema tradizionale del vampiro viene spogliato del soprannaturale e rivestito di un’aliena quotidianità: ciò che sembrava essere la materializzazione di una leggenda horror, si rivela invece l’imprevedibile opera di un batterio ematofago, responsabile di una malattia letale molto simile al vampirismo. E dagli sconcertanti effetti post mortem...
http://www.terrediconfine.eu/Default.aspx?tabid=106
Cristina "Anjiin" Ristori
Terre di Confine
Robert Neville ha imparato a vivere con metodica monotonia le sue giornate dopo la fine del mondo. Si alza all’alba e torna al tramonto, chiudendo scrupolosamente la porta tra sé e il buio; controlla le assi inchiodate alle finestre, le collane d’aglio appese ai battenti, le croci e gli specchi. Poi, tra un whisky e un po’ di musica, chiude gli occhi e si appresta a sopravvivere alla notte.
Le giornate sono terribilmente lunghe e solitarie, le strade deserte, e delle abitazioni attorno rimangono solo resti anneriti: le ha bruciate lui, tempo prima, per evitare che loro le usassero per arrivare al suo tetto. Le notti, al contrario, sono piene di gemiti e urla, invocazioni e imprecazioni che si condensano attorno alla sua casa perché, in un mondo popolato di vampiri, Robert Neville è l’ultimo uomo rimasto sulla Terra. E non può far altro che affilare i suoi paletti, approfittare della luce del sole per scovare i nemici nelle loro tane, e ucciderli.
Pochi flashback ci illuminano su quello che è stato il preludio al disastro: una guerra batteriologica, una pandemia senza controllo, tempeste di polvere che la diffondono. Scene quasi manzoniane, se non fosse per l’essenzialità brutale con cui vengono narrate: la figlia gettata nei roghi comuni come una novella Cecilia da un monatto del futuro, la moglie seppellita amorevolmente, che dopo due giorni, però, ritorna… E la consapevolezza, da parte del protagonista, di essere assurdamente immune all’ecatombe che lo circonda, che lo voglia o meno.
Quello che ci appare è un mondo del “giorno dopo” profondamente mutato nella sua realtà, in cui il tema tradizionale del vampiro viene spogliato del soprannaturale e rivestito di un’aliena quotidianità: ciò che sembrava essere la materializzazione di una leggenda horror, si rivela invece l’imprevedibile opera di un batterio ematofago, responsabile di una malattia letale molto simile al vampirismo. E dagli sconcertanti effetti post mortem...
http://www.terrediconfine.eu/Default.aspx?tabid=106
Richieste ravvicinate del terzo tipo
Gianni Biondillo
Nazione Indiana
[richieste raccolte da amici librai (Deanna, Debora, Giorgia, Giovanna, Ilary, Itria, Monica e Marco) a Modena e Forlimpopoli e da me prontamente rigirate all’inclito pubblico di NI. G.B.]
- La crescenza di Piacenza di Stendhal.
- I Poveretti di V. Hugo.
- Dove posso trovare Le mele di notte?
- Sodoma di Saviano.- Avete Sodoma e Camorra di Savino?
- Il sentiero dei nidi di rondine.
- Il conte mascherato di Calvino.
- L’ultimo libro di Erri Porter.
- Il corano da Vinci.
- Ritratto di una seppia di I. Allende...
Continua al link
http://www.nazioneindiana.com/2008/01/04/richieste-ravvicinate-del-terzo-tipo/
Nazione Indiana
[richieste raccolte da amici librai (Deanna, Debora, Giorgia, Giovanna, Ilary, Itria, Monica e Marco) a Modena e Forlimpopoli e da me prontamente rigirate all’inclito pubblico di NI. G.B.]
- La crescenza di Piacenza di Stendhal.
- I Poveretti di V. Hugo.
- Dove posso trovare Le mele di notte?
- Sodoma di Saviano.- Avete Sodoma e Camorra di Savino?
- Il sentiero dei nidi di rondine.
- Il conte mascherato di Calvino.
- L’ultimo libro di Erri Porter.
- Il corano da Vinci.
- Ritratto di una seppia di I. Allende...
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sabato 5 gennaio 2008
Imprese, politici e camorra
di Roberto Saviano
da Repubblica
UN territorio che non esce dalla notte. E che non troverà soluzione. Quello che sta accadendo è grave, perché divengono straordinari i diritti più semplici: avere una strada accessibile, respirare aria non marcia, vivere con speranze di vita nella media di un paese europeo. Vivere senza dovere avere l'ossessione di emigrare o di arruolarsi.
E' una notte cupa quella che cala su queste terre, perché morire divorati dal cancro diviene qualcosa che somiglia ad un destino condiviso e inevitabile come il nascere e il morire, perché chi amministra continua a parlare di cultura e democrazia elettorale, comete più vane delle discussioni bizantine e chi è all'opposizione sembra divorato dal terrore di non partecipare agli affari piuttosto che interessato a modificarne i meccanismi.
Si muore di una peste silenziosa che ti nasce in corpo dove vivi e ti porta a finire nei reparti oncologici di mezza Italia. Gli ultimi dati pubblicati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano che la situazione campana è incredibile, parlano di un aumento vertiginoso delle patologie di cancro. Pancreas, polmoni, dotti biliari più del 12% rispetto alla media nazionale.
La rivista medica The Lancet Oncology già nel settembre 2004 parlava di un aumento del 24% dei tumori al fegato nei territori delle discariche e le donne sono le più colpite. Val la pena ricordare che il dato nelle zone più a rischio del nord Italia è un aumento del 14%. ..
http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/cronaca/rifiuti-campania/roberto-saviano/roberto-saviano.html
da Repubblica
UN territorio che non esce dalla notte. E che non troverà soluzione. Quello che sta accadendo è grave, perché divengono straordinari i diritti più semplici: avere una strada accessibile, respirare aria non marcia, vivere con speranze di vita nella media di un paese europeo. Vivere senza dovere avere l'ossessione di emigrare o di arruolarsi.
E' una notte cupa quella che cala su queste terre, perché morire divorati dal cancro diviene qualcosa che somiglia ad un destino condiviso e inevitabile come il nascere e il morire, perché chi amministra continua a parlare di cultura e democrazia elettorale, comete più vane delle discussioni bizantine e chi è all'opposizione sembra divorato dal terrore di non partecipare agli affari piuttosto che interessato a modificarne i meccanismi.
Si muore di una peste silenziosa che ti nasce in corpo dove vivi e ti porta a finire nei reparti oncologici di mezza Italia. Gli ultimi dati pubblicati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano che la situazione campana è incredibile, parlano di un aumento vertiginoso delle patologie di cancro. Pancreas, polmoni, dotti biliari più del 12% rispetto alla media nazionale.
La rivista medica The Lancet Oncology già nel settembre 2004 parlava di un aumento del 24% dei tumori al fegato nei territori delle discariche e le donne sono le più colpite. Val la pena ricordare che il dato nelle zone più a rischio del nord Italia è un aumento del 14%. ..
http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/cronaca/rifiuti-campania/roberto-saviano/roberto-saviano.html
martedì 1 gennaio 2008
Comedil: cronaca e riflessioni su una lotta contro la precarietà
Cusano Milanino (MI)
Il 21 dicembre scorso uno sciopero spontaneo, con blocco delle merci, ha bloccato per tutto il giorno la Comedil, azienda che produce gru per cantieri. La motivazione: la mancata assunzione di 5 lavoratori "interinali". I circa 60 operai che hanno incrociato le braccia per difendere i loro 5 compagni licenziati sono stati un significativo messaggio di solidarietà di classe e di compattezza che va anche in parziale controtendenza con il contesto dominante, dove spesso le aziende utilizzano personale somministrato, o in appalto, o immigrato, non solo per incassare maggiori profitti, ma anche per dividere il fronte operaio.
In queste righe vogliamo brevemente ricostruire quella bella giornata di lotta e fare qualche riflessione.
Premessa La Comedil è una società del gruppo statunitense Terex, con sede a Westport, nel Connecticut. Società quotata alla borsa di New York, la Terex è in continua ascesa: una azione vale oggi circa 66 euro e sono continue le acquisizioni internazionali (l'ultima in India). In Italia gli stabilimenti sono due: oltre quello di Cusano, l'altro, che funge anche da sede centrale è quello di Fontanafredda (Pordenone).
Attraverso la Terex Financial Services, la multinazionale USA si occupa anche di finanziamenti e di leasing per l'acquisto delle gru e dei macchinari prodotti. Insomma un vero gigante del capitalismo finanziario e produttivo. Eppure questo gigante pare non possa permettersi di assumere 5 operai dello stabilimento di Cusano.
Peccato che all'inizio le promesse erano d'altro tipo: i 5 operai sono stati assunti in momenti diversi: il primo lavorava dalla fine di marzo, altri due dal 28 di agosto e gli ultimi 2 da ottobre. Alcuni di loro si sono licenziati da contratti a tempo indeterminato in altre aziende (magari più lontane da case e che offrivano, apparentemente, minori garanzie), a tutti il responsabile del personale, Marchetto, aveva fatto le stesse promesse: un mese di prova iniziale da interinali, poi altri 6 mesi con l'agenzia (Adecco) e 6 a tempo determinato; alla fine, assunzione a tempo indeterminato. Anche le mansioni erano diverse: un operaio era alla verniciatura, un altro mulettista, un cablatore della parte elettrica delle gru e due alla linea di produzione.
Qualche piccola avvisaglia gli operai l'avevano avuta quando, dopo il periodo di prova, erano stati rinnovati come interinali per 3 o 2 mesi, ma il "bello" doveva ancora venire...
http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o10720
Il 21 dicembre scorso uno sciopero spontaneo, con blocco delle merci, ha bloccato per tutto il giorno la Comedil, azienda che produce gru per cantieri. La motivazione: la mancata assunzione di 5 lavoratori "interinali". I circa 60 operai che hanno incrociato le braccia per difendere i loro 5 compagni licenziati sono stati un significativo messaggio di solidarietà di classe e di compattezza che va anche in parziale controtendenza con il contesto dominante, dove spesso le aziende utilizzano personale somministrato, o in appalto, o immigrato, non solo per incassare maggiori profitti, ma anche per dividere il fronte operaio.
In queste righe vogliamo brevemente ricostruire quella bella giornata di lotta e fare qualche riflessione.
Premessa La Comedil è una società del gruppo statunitense Terex, con sede a Westport, nel Connecticut. Società quotata alla borsa di New York, la Terex è in continua ascesa: una azione vale oggi circa 66 euro e sono continue le acquisizioni internazionali (l'ultima in India). In Italia gli stabilimenti sono due: oltre quello di Cusano, l'altro, che funge anche da sede centrale è quello di Fontanafredda (Pordenone).
Attraverso la Terex Financial Services, la multinazionale USA si occupa anche di finanziamenti e di leasing per l'acquisto delle gru e dei macchinari prodotti. Insomma un vero gigante del capitalismo finanziario e produttivo. Eppure questo gigante pare non possa permettersi di assumere 5 operai dello stabilimento di Cusano.
Peccato che all'inizio le promesse erano d'altro tipo: i 5 operai sono stati assunti in momenti diversi: il primo lavorava dalla fine di marzo, altri due dal 28 di agosto e gli ultimi 2 da ottobre. Alcuni di loro si sono licenziati da contratti a tempo indeterminato in altre aziende (magari più lontane da case e che offrivano, apparentemente, minori garanzie), a tutti il responsabile del personale, Marchetto, aveva fatto le stesse promesse: un mese di prova iniziale da interinali, poi altri 6 mesi con l'agenzia (Adecco) e 6 a tempo determinato; alla fine, assunzione a tempo indeterminato. Anche le mansioni erano diverse: un operaio era alla verniciatura, un altro mulettista, un cablatore della parte elettrica delle gru e due alla linea di produzione.
Qualche piccola avvisaglia gli operai l'avevano avuta quando, dopo il periodo di prova, erano stati rinnovati come interinali per 3 o 2 mesi, ma il "bello" doveva ancora venire...
http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o10720
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