mercoledì 31 agosto 2011

Spremiamo i deboli, ancora, perchè no?

Un bell' articolo di Marco della Luna


LA MANOVRA CHE INSEGNA AD EMIGRARE

Il rifacimento 30.08.11 della manovra-bis di risanamento dei conti pubblici conferma il mio già più volte enunciato teorema, secondo cui la classe politica italiana non può tagliare, nemmeno in situazioni di emergenza, nemmeno per rilanciare l’economia in recessione, la spesa improduttiva (inutile, parassitaria, clientelare), perché è quella da cui dipende per arricchirsi e ancor prima mantenere il potere, e ne dipende tanto più rigidamente, quanto peggio amministra – perché quanto peggio amministra, tanto meno riceve sostegno fisiologico, e tanto più deve procurarselo in via clientelare e ladresca.

Il caso Penati non è un’eccezione, ma la regola: ciò di cui lo si accusa è semplicemente ciò per cui e con cui operano i partiti. E’ la regola, non l’eccezione criminale. E’ lo strumento della produzione del consenso, quindi della legittimazione politica, anche se per la legge formale è illecito. Il rifacimento della manovra era stato, per l’appunto, imposto dalle esigenze degli apparati dei partiti, i quali non possono rinunciare alla spesa degli enti locali perché da essa mangiano e traggono le risorse per ottenere i voti e le sponsorizzazioni. La nuova e stravolta versione della manovra è stato un rifacimento per salvare la greppia della casta. Per la medesima ragione i partiti non possono rinunciare alle 25.000 poltrone di consiglieri di amministrazione di enti misti, dove mangiano ancora di più. Non è possibile, per la nostra classe politica e burocratica cessare queste pratiche, perché da esse dipende la sua stessa esistenza. Non è possibile che essa si metta ad amministrare bene, perché l’unica cosa per cui si è selezionata e formata è quella pratica, quindi manca delle necessarie competenze tecniche per fare buona amministrazione. Infatti, non sa nemmeno far quadrare i conti sulla carta. Davanti al mondo si comporta in un modo grottescamente contraddittorio, convulso, indecoroso. Accecata e indementita dalla sua avidità, angosciata dal rischio di perdere le sue posizioni, è completamente appiattita sulla divorante esigenza di assicurare a se stessa i soldi e le risorse pubbliche con cui preservarsi nell’immediato, e a tal fine spreme il paese con ulteriore pressione fiscale, a costo di precipitarlo nella recessione. Del rilancio economico e del medio-lungo termine neanche si dà pensiero. E ciò non vale solo per il centro-destra, ma pure per il centro-sinistra, la cui contro-proposta arrivava a 1/10 della copertura e, come quella del centro-destra, non aveva reali strumenti per il rilancio economico.

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L'orto urbano di Berlino

Marina Zenobio

Il Manifesto


E' soprattutto a partire dagli anni '60 che il quartiere berlinese di Kreuzberg ha iniziato a ospitare migranti provenienti da più parti del mondo - dalla conca del Mediterraneo ai Balcani, da Africa, Asia e America latina -, diventando un crogiolo dove sono venute a contatto, amalgamandosi e contaminandosi, le culture più diverse. E anche le colture. E' infatti situato nel cuore di Kreuzberg, nella Moritzplatz, uno dei primi progetti berlinesi di agricoltura urbana; è qui che si coltivano pomodori i cui semi provengono da India, Turchia e Marocco, prezzemolo da Italia, Grecia e Giappone, patate da Africa e Perù, menta, hierbabuena e piante aromatiche provenienti da ogni angolo della terra.

L'idea però non è venuta da esperti agricoltori, tutt'altro. Robert Shaw, documentarista cinematografico di professione, e il fotografo Marco Clausen hanno iniziato a progettare l'orto nell'inverno del 2009, dopo un viaggio a Cuba da cui tornarono affascinati dagli orti urbani coltivati a L'Avana. Presero possesso di un terreno comunale di 6 mila metri quadrati abbandonato da decenni, con l'aiuto di amici lo ripulirono da tonnellate di immondizia cumulate da anni di incuria e iniziarono a coltivarlo.

Oggi questa proprietà non privata è in grado di produrre 15 varietà di patate, altrettante di pomodori, 10 di carote e zucchine, diversi tipi di cavoli, verze, bietole e tante piante aromatiche come prezzemolo, menta, basilico, santoreggia e coriandolo: una piccola ma preziosissima banca di germoplasma in situ a disposizione della comunità locale.

La maggior parte dei semi viene portata e regalata dagli abitanti del quartiere di ritorno da viaggi nei loro paesi d'origine, ma quando serve li comprano e li coltivano in quello che è stato battezzato «Il giardino delle principesse» (dal nome della strada dov'è situato, la Prinzessinnenstrasse), un progetto comunale a cui tutti gli abitanti del quartiere possono partecipare. Una gestione collettiva che permette, a chi disponibile a lavorare sul campo, di avere in cambio ortaggi e verdure a prezzi notevolmente inferiori a quelli offerti dal mercato. Al Prinzessinnengarten non si utilizzano concimi chimici né pesticidi e, dato che ciò che si produce si consuma localmente, non esistono costi aggiuntivi di trasporto e non si inquina.

Durante il rigido inverno berlinese, a coltivazioni ferme, il Prinzessinnengarten riprende la forma di un antico mercato coperto, ristrutturato di recente e utilizzato come centro comunitario e d'incontro, con un bar e un piccolo ristorante dove si cucinano zuppe ed altri piatti, unicamente a base di ortaggi ivi coltivati.

L'orto urbano di Shaw, Clausen e il loro ormai numeroso gruppo di lavoro, ha avuto un tale successo che sono stati chiamati a cooperare a simili progetti sia in altre città tedesche che all'estero (come Amsterdam e Parigi), tengono seminari con università e offrono consulenze. Si parte dalla chiara premessa che «tutti possono imparare di tutto» , ha dichiarato all'agenzia Tierramerica Robert Shaw, documentarista prestato all'agricoltura che ha ereditato l'amore per l'orticoltura dalla nonna, ossessionata dall'autosufficienza alimentare dopo aver conosciuto la fame in tempo di guerra.

Così, partendo dal Prinzessinnengarten di Berlino, le esperienze di agricoltura urbana cominciano ad affermarsi anche in altre grandi città europee. Forse stimolati da una sempre più crescente coscienza ambientalista, forse per i costi sempre più alti degli alimenti, e forse anche per il timore di restare senza cibo, paura interiorizzata nei periodi di benessere ma pur sempre presente nell'inconscio collettivo dei popoli.

Marina Zenobio
Fonte: www.ilmanifesto.it

giovedì 25 agosto 2011

Siamo in guerra?

--da LiberoPensiero, sulla situazione economica mondiale-Da leggere assolutamente.

Si chiama Christina Romer, è una economista importante. E' la punta di diamante della pattuglia di post keynesiani che sta al fronte per fermare i tecnocrati e i bancari del neo-liberismo selvaggio e criminale.


di Sergio Di Cori Modigliani

“L’uomo attraversa il presente con gli occhi bendati. Può al massimo immaginare e tentare di indovinare ciò che sta vivendo. Solo più tardi gli viene tolto il fazzoletto dagli occhi e lui, gettato uno sguardo al passato, si accorge di “che cosa” ha realmente vissuto e ne capisce il senso”
Milan Kundera da “Amori ridicoli”. Praga. 1968.


Questa citazione tratta da un romanzo, si riferisce all’approccio individualista esistenziale, e fa riferimento al rapporto che ciascuno di noi ha con l’assoluto nel tentativo di trovare un Senso Ultimo alla vita.
La Storia, che si occupa, invece, dei grandi disegni collettivi e non soltanto di quelli individuali, funziona però nello stesso identico modo. Tant’è che per comprendere una società, un popolo, un evento, è necessario leggere e studiare entrambi: i romanzieri dai quali apprendiamo gli umori, le sensazioni, le fantasie, le aspirazioni, i desideri dei singoli esseri umani; e gli storici, i quali, grazie al lungo studio dei documenti d’epoca, dell’analisi degli archivi e dei risultati ottenuti segnati dall’implacabile peso del Tempo trascorso, ci spiegano le ragioni e i motivi per cui c’è stata la rivoluzione francese, perché è crollato l’impero romano, perché è nato il protestantesimo, ecc.
Fintantochè si è immersi in quello che Joyce chiamava “il teatro quotidiano dell’incubo assurdo” è piuttosto arduo comprendere con esattezza i meccanismi che determinano la realtà e ciò che stiamo vivendo. Proprio perchè lo stiamo vivendo, ed essendo parte in causa, non abbiamo quell necessario distacco (che ha ogni storico di professione che si rispetti) per comprendere la realtà.
Esiste però una modalità di approccio, che io definisco l’approccio etico-eroico, che contraddistingue la becera passività dell’individuo-massa (condannato per definizione a bersi tutto ciò che viene comminato) e quella invece opposta, perché soggettiva e individualista, manifestata in un’aperta dichiarazione di schieramento. A questa appartengono gli artisti nella loro modalità apocalittico-visionaria-immaginifica (vedono come stanno le cose non si sa come) e i cosiddetti spiriti illuminati: individui che si assumono la responsabilità di “guidare la Storia” per far prevalere il bene comune, il progresso, il miglioramento della condizione esistenziale collettiva, contro coloro –invece- che vogliono far prevalere un egoismo personale, di casta, di censo, di ghetto, di clan, di tribù, imponendo con la violenza e la sopraffazione la propria volontà di parte sull’esercizio della volontà collettiva. Una scelta, quella di chi si schiera apertamente, rischiosa. Anzi. Rischiosissima. Perchè non esiste la rassicurante coperta della Storia (il senno del poi, dato che gli storici cominciano a rmboccarsi le maniche e mettersi al lavoro soltanto quando gli eventi si sono già verificati), non c’è nessuna garanzia sul fatto di aver ragione e tantomeno sul fatto che la propria Ragione, per quanto nobile possa essere riesca ad avere successo con beneficio di tutti.
Sarà soltanto la Storia a deciderlo.
Perchè lo si può sapere soltanto dopo.
E’ necessario, pertanto, nei momenti in cui la Storia ci chiama, crederci. Credere, con forza, vigore, argomentazioni. Senza una grande convinzione autentica non vi sarà mai espressione e manifestazione di una volontà di azione.
Questa era una premessa.
Grazie per l’attenzione (nel caso non vi siate già stancati e seguitiate a leggere).
Veniamo adesso al punto.
E il punto è molto semplice: siamo in guerra.
Esattamente come era in Spagna nel 1936 e lo slogan no pasaràn (non ce le faranno) era allo stesso tempo un monito per tutta l’Europa che tradotto suonava pressappoco così: “se il generale Franco vince in Spagna, l’Europa finirà in vacca e in una mostruosa guerra che la distruggerà” (evento puntualmente verificatosi di lì a quattro anni).
Esattamente com’era nel 1789 in Francia dove lo slogan libertè egalitè fraternità equivaleva a dire “se l’aristocrazia riprende e impone la propria logica di privilegi di casta contro l’idea di democrazia popolare, l’Europa si fermerà, si spegnerà e non progredirà”.
Oggi, 24 agosto 2011, non c’è nessuna possibilità matematica di sapere se siamo alla vigilia di una gigantesca rivoluzione planetaria, progressista e progressiva, come fu senz’alcun dubbio quella francese, oppure siamo alla vigilia di una immane catastrofe che produrrà soltanto fame, distruzione, e una estensione di povertà in Occidente quale non si verificava da almeno 500 anni. Lo sapremo soltanto dopo.
Nel frattempo, però, è bene schierarsi con convinzione e fare la propria puntata.
E’ ciò che stanno facendo, con dichiarata e aperta consapevolezza, diversi (per nostra fortuna sempre di più) economisti statunitensi, francesi, sudamericani, di grande livello, dotati di enorme competenza tecnica, di svariati successi alle spalle, ma soprattutto consapevoli che si è in guerra.
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LiberoPensiero