venerdì 25 dicembre 2009

Coperte e panini

Come nella migliore tradizione delle feste in Burkina Faso, i viaggiatori sono invitati a mettere in valigia coperte e panini, in caso i treni si fermassero per eventi eccezionali e imprevedibili: gelo e neve, così rari in dicembre alle nostre latitudini.
Il nostro AD (Amministratore Delegato eh, per gli ignoranti) da quando è diventato Manager non saluta più nessuno. Al prossimo sorteggio della pagliuzza potrebbe non essere più così fortunato. In questo caso, tornerebbe al suo vecchio lavoro di pastore di caprette.

E noi, al prossimo AD (quello che tira la pagliuzza più corta, perchè è così che li scegliamo) glielo spieghiamo che magari per fare il Manager serve saper contare fino a dieci prima di dire una cazzata.Non è difficile eh. Dai coraggio.Ripeti i numeri. Senza guardare il quaderno!
Buon disfacimento a tutti.

Qui un gran bel post sull'argomento. Compresa una nota dei ferrovieri.

sabato 19 dicembre 2009

SE IL CLIMA FOSSE UNA BANCA, L’AVREBBERO GIA’ SALVATO

Il discorso del presidente venezuelano al vertice climatico di Copenhagen

DI HUGO CHAVEZ
da ComeDonChisciotte

Signor Presidente, signori, signore, amici e amiche, prometto che non parlerò più di quanto sia già stato fatto questo pomeriggio, ma permettetemi un commento iniziale che avrei voluto facesse parte del punto precedente discusso da Brasile, Cina, India e Bolivia. Chiedevamo la parola, ma non è stato possibile prenderla.

Ha parlato la rappresentante della Bolivia, e porgo un saluto al compagno Presidente Evo Morales qui presente, Presidente della Bolivia.

Tra varie cose ha detto, ho preso nota: il testo che è stato presentato non è democratico, non è rappresentativo di tutti i paesi. Ero appena arrivato e mentre ci sedevamo abbiamo sentito il Presidente della sessione precedente, la signora Ministra, dire che c’era un documento da queste parti, che però nessuno conosce: ho chiesto il documento, ancora non l’abbiamo. Credo che nessuno sappia di questo documento top secret.

Certo, la collega boliviana l’ha detto, non è democratico, non è rappresentativo, ma signori e signore: siamo forse in un mondo democratico? Per caso il sistema mondiale è rappresentativo? Possiamo aspettarci qualcosa di democratico e rappresentativo nel sistema mondiale attuale? Su questo pianeta stiamo vivendo una dittatura imperiale e lo denunciamo ancora da questa tribuna: abbasso la dittatura imperiale! E che su questo pianeta vivano i popoli, la democrazia e l'uguaglianza!

Continua su ComeDonChisciotte (e vale la pena)

sabato 14 novembre 2009

martedì 10 novembre 2009

La protesta dei lavoratori di Agile (ex Eutelia)

Dal 4 Novembre 2009 le nostre principali sedi ROMA-TORINO-MILANO-BARI-IVREA sono PRESIDIATE con assemblee permanenti. E’ iniziato il licenziamento dei primi 1200 lavoratori di OLIVETTI-GETRONICS-BULL-EUTELIA-NOICOM-EDISONTEL TUTTI CONFLUITI IN: AGILE s.r.l. ora Gruppo Omega. Agile [ex Eutelia] è stata consegnata a professionisti del FALLIMENTO. Agile [ex Eutelia] è stata svuotata di ogni bene mobile ed immobile. Agile [ex Eutelia] è stata condotta con maestria alla perdita di commesse e clienti.

Il gruppo Omega continua la sua opera di killer di aziende in crisi, l’ultima è Phonemedia - 6600 dipendenti - che subirà a breve la stessa sorte di Agile. In tutto, siamo una realtà di quasi 10.000 dipendenti e, considerando che ognuno di noi ha una famiglia, le persone coinvolte in questa CRISI sono circa 40.000! Eppure nessuno parla di noi.

Per mantenere il LAVORO abbiamo bisogno di visibilità mediatica. Abbiamo manifestato nelle maggiori città italiane (Roma - Siena: Monte dei Paschi – Milano – Torino – Ivrea – Bari – Napoli - Arezzo), siamo SALITI sui TETTI, ci siamo l'INCATENATI a Roma in Piazza Barberini, abbiamo occupato le SEDI, Roma per prima. Nonostante ciò NON siamo mai stati nominati in nessun TELEGIORNALE NAZIONALE perchè la parola d’ordine è che se non siamo visibili all’opinione pubblica il PROBLEMA NON ESISTE.

Se sei solidale con noi INOLTRA QUESTA MAIL ad almeno 10 amici nei prossimi 30 minuti, non ti costa nulla, ma avrai il ringraziamento di tutti i Lavoratori e le Lavoratrici di Agile [ex Eutelia] che da mesi sono senza stipendio e che lottano per il DIRITTO AL LAVORO, primo Diritto Fondamentale della nostra Costituzione. Non lasciar morire questa azienda!

Fonte: www.italiopoli.it
Link: http://www.italiopoli.it/?r=81145

martedì 3 novembre 2009

Vaccino. Squalene, thimerosal e altre piacevolezze

Da Crisis?What crisis?

Diana Blefari Melazzi

Dalla famiglia nobile alla lotta armata la vita in fuga della compagna Maria

di ALBERTO CUSTODERO
da Repubblica


È morta suicida come la madre baronessa, Diana Blefari Melazzi, la donna che fece il salto da una famiglia di buona borghesia dei Parioli - una zia ambasciatrice d'Italia in Romania - alla lotta armata. Aveva 40 anni. L'ex "compagna Maria" fu definita "una dura", "una rivoluzionaria prigioniera" dagli agenti della Digos che l'ammanettarono a tre giorni dal Natale del 2003. "Datemi gli occhiali", apostrofò Diana Blefari Melazzi i poliziotti che, pistole spianate, fecero irruzione nel residence Triangolo di Santa Marinella dove, in precipitosa fuga, s'era rifugiata. "Faccio parte del Partito comunista combattente", fu l'unica ammissione della custode del covo-deposito di via Montecuccoli. Quella donna di 34 anni che prima di finire in prigione per l'omicidio Biagi (ma partecipò anche a quello D'Antona), vestiva maschio stile centri sociali, e si recava al lavoro - un'edicola della capitale - a cavalcioni di una moto enduro rossa 350 di cilindrata, ha retto per alcuni mesi all'isolamento del 41 bis. Poi, nel 2005, durante il processo di primo grado che la condannò all'ergastolo, è crollata. Da quel momento Diana Blefari Melazzi, pur "in assenza di qualsiasi resipiscenza", come hanno scritto i giudici dell'Assise d'appello, è diventata l'ex "compagna Maria". E s'è trasformata in un'altra persona. L'ombra di se stessa.

Le numerose perizie psichiatriche cui è stata sottoposta nel corso dei tre processi (il primo grado fu annullato dalla Cassazione e rifatto solo per lei proprio perché non fu valutato il suo stato di prostrazione), le diagnosticarono la patologia che colpisce chi subisce un incidente, o affronta un lutto. "Disturbo post traumatico da stress". Dove il trauma che devastò la mente della detenuta sottoposta per tre volte al carcere duro del 41 bis era la condanna in primo grado all'ergastolo. Per questo si può dire dunque che è stata uccisa dalla depressione post ergastolo.

Debole, depressa, sofferente, dal mondo violento delle Br a poco a poco si è rintanata in un nuovo universo fatto di solitudine e di rifiuto della vita ai limiti dell'autismo. Da quell'isolamento Diana Blefari Melazzi uscì con uno scatto di rabbia nel 2008, quando, in un momento di delirio, aggredì gli agenti della polizia penitenziaria, meritandosi un altro processo. A quel dormiveglia esistenziale alternava comportamenti che gli psichiatri definivano "paranoici". I suoi lunghi silenzi, ad esempio, erano interrotti solo da frasi di paura, veri attacchi di panico che le facevano apparire ovunque complotti. Temeva che il cibo fosse avvelenato e che intorno a lei si aggirassero, come fantasmi, sicari incaricati da Massimo D'Alema di ucciderla. Era uscita dal carcere duro e stava fra le detenute comuni, ma in una cella singola dalla quale usciva solo quando gli specialisti le prescrivevano un trattamento sanitario obbligatorio e la trasferivano, per cure, a Sollicciano. Ora che se n'è andata strangolandosi con un lenzuolo, si parla di suicidio annunciato, ma per anni i suoi avvocati hanno denunciato fino quasi a gridarlo che quella brigatista stava rischiando la vita, lasciandosi lentamente morire. Come quando rifiutò il cibo, in un'occasione, addirittura per 28 giorni.

L'allarme più inquietante non arrivò dai suoi legali, ma dal Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. Fu lui, il 10 novembre di due anni fa, a denunciare che alla ex brigatista era stato inflitto "per la terza volta il 41 bis senza tenere in considerazione la sua malattia: schizofrenica e inabile psichicamente, figlia di una madre anche lei con una malattia depressiva morta suicida". Ma tutti questi allarmi sono stati vani. La giustizia ha seguito inesorabile il suo percorso. Nonostante, secondo i familiari, non avesse mai avuto "alcun rapporto coi difensori che ha sempre rifiutato di incontrare, non avesse mai letto un atto giudiziario, non fosse mai comparsa in aula e non si rendesse conto neppure dello stato delle sue vicende giudiziarie", prigioniera del suo stato depressivo, i giudici l'hanno sempre giudicata "in grado di stare in giudizio e di rapportarsi al processo". I giudici avevano ammesso "l'indubbio stato di sofferenza della Blefari", ma quella sofferenza "derivava - a loro parere - dallo stato di consapevolezza del processo". La perizia di appello stabilì che i suoi "atteggiamenti apparentemente paranoici, come il rifiuto del cibo, erano una reazione coerente al suo modo di porsi e conseguenza di un forte impatto dell'ideologia Br sulla sua personalità".

martedì 27 ottobre 2009

Reintegrato De Angelis

da Repubblica

Licenziamento annullato, immediato ordine di reintegrazione e risarcimento di tutte le retribuzioni perdute. E' la sentenza del giudice del lavoro di Roma Dario Conte sulla vicenda del licenziamento del ferroviere Dante De Angelis. Macchinista del deposito locomotive di Roma-San Lorenzo, De Angelis fu sollevato dall'incarico dopo che le Ferrovie gli contestarono di aver reso dichiarazioni contrarie alla verità sulle cause e sugli effetti di un episodio risalente al 14 luglio 2008, quando, a Milano, un Etr senza passeggeri si "spezzò" mentre veniva trasferito dall'officina della Martesana alla stazione centrale. Per il macchinista licenziato, e adesso reintegrato, lo "spezzamento" era stato un incidente potenzialmente molto pericoloso in quanto era anche un campanello d'allarme che poneva all'attenzione la questione della manutenzione, della progettazione e dei controlli sugli Etr. Il giudice del lavoro ha condannato Ferrovie a pagare le spese di giudizio. Tra 60 giorni le motivazioni della sentenza.

"Sono sereno perché resto convinto di aver fatto il mio dovere nell'interesse della sicurezza di tutti, ferrovieri, pendolari e tutti i cittadini". E' il commento a caldo di Dante De Angelis, che è anche rappresentante lavoratori per la sicurezza. De Angelis era stato accolto da un centinaio di suoi sostenitori arrivati da ogni parte d'Italia, in attesa della decisione del giudice davanti agli uffici di viale Giulio Cesare, che lo hanno salutato con scroscianti applausi. C'erano anche componenti dei comitati sorti dopo la strage di Viareggio del 29 giugno scorso, quello di via Ponchielli, luogo del disastro, e dell'Associazione 29 giugno. A loro il macchinista ha assicurato che continuerà "a fare il suo lavoro, e se i compagni di lavoro lo vorranno, ad occuparmi di sicurezza".

"Quando è giunta la notizia del reintegro al lavoro di De Angelis c'è stato un urlo di gioia - ha riferito l'assessore provinciale di Lucca alla protezione civile, Emiliano Favilla - da parte delle persone presenti che da sempre gli sono stati vicine. De Angelis anche in occasione della strage di Viareggio è venuto in città più di una volta a manifestare insieme ai cittadini viareggini per chiedere che venga fatta giustizia e che vengano alla luce i responsabili".

"E' una sentenza molto importante - hanno commentato i legali di De Angelis, gli avvocati Piergiovanni Alleva e Pierluigi Panici - perché restaura il diritto di espressione e critica da parte dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e respinge la pretesa dell'azienda che voleva limitare questa libertà con l'idea che un eventuale, e in questo caso non esistente, errore nell'esercizio di un importante incarico possa comparare il licenziamento".

http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/macchinista-reintegrato/macchinista-reintegrato/macchinista-reintegrato.html

Concordo su tutto..

..una bella lucida analisi sullo stato deprimente dell' informazione in Italia, di Gennaro Carotenuto da Giornalismo partecipativo

sabato 3 ottobre 2009

Una cosuccia da tenere a mente..

..la prossima volta , se capiterà, che qualcuno di questi signori ci chiederà il suo voto.

Scudo fiscale: Voto finale alla Camera, dichiarazione di Fabio Mussi

E’ severo il giudizio di Fabio Mussi, di Sinistra e Libertà, sul voto al decreto sullo scudo fiscale alla Camera e sulle assenze dell’opposizione.Ho fatto il deputato - afferma Mussi - poi il Presidente di un Gruppo Parlamentare importante, infine il Vice Presidente della Camera dei Deputati.Conosco sia la vita di routine del Parlamento, quando le presenze vanno e vengono senza particolare scandalo, sia gli obblighi morali e politici nelle occasioni nelle quali è in gioco il destino della Repubblica. Lì non si manca.Le assenze – soprattutto quando divengono decisive – corrispondono ad un tradimento di fondamentali doveri democratici e costituzionali.Di fronte alle norme chiamate “Scudo Fiscale”, che metterebbero in imbarazzo financo il Cartello di Medellin, passate per 20 voti di differenza, il fatto che ne mancassero 30 dell’opposizione lascia senza parole.Del gruppo PD, assenti 23 oltre a 2 in missione.Per ora – conclude Mussi – la nascita e il congresso del PD hanno prodotto il partito unico di Berlusconi, del quale il Partito Democratico fa innocuo ed impotente spettatore.

Lo rende noto l’ Ufficio Stampa di Sinistra e Libertà

http://www.sinistra-democratica.it/scudo-fiscale-voto-finale-alla-camera-dichiarazione-di-fabio-mussi

venerdì 25 settembre 2009

I CADUTI IN AFGHANISTAN E IL CUOCO DI GIULIO CESARE

Un bellissimo articolo di Franco Cardini da Come Don Chisciotte

martedì 22 settembre 2009

SMEMORATI DI SINISTRA

di Daniele Luttazzi
da l'Unità

Nel marzo 2001 conducevo con successo (7 milioni e mezzo di spettatori) un mio talk-show satirico notturno su Rai2 intitolato Satyricon. In una puntata intervistai un giornalista allora sconosciuto che aveva pubblicato da un mese un libro di cui nessuno parlava.

Il libro s'intitolava L'odore dei soldi e riguardava le origini misteriose dell'impero economico di Berlusconi. Parlammo dei fatti emersi nel processo a Marcello Dell'Utri, braccio destro di Berlusconi, fondatore di Forza Italia (il partito di Berlusconi) ed ex-capo di Publitalia (la concessionaria di pubblicità di Berlusconi). Berlusconi fece causa per diffamazione a me, a Travaglio, alla Rai e al direttore di Rai2 Carlo Freccero che con coraggio aveva mandato in onda l'intervista. Da me Berlusconi voleva 20 miliardi di lire.

Quattro anni dopo quell'intervista, Marcello Dell'Utri è stato condannato in primo grado a nove anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel 2005 ho vinto la causa e Berlusconi è stato condannato a pagare 100mila euro di spese legali. Insieme con Berlusconi, mi fecero causa anche Mediaset (5 miliardi di lire), Fininvest (5 miliardi di lire) e Forza Italia (11 miliardi di lire).

Ho vinto tutti i processi. Quell'intervista non diffamava nessuno. Informava in modo corretto. Nel giugno 2001, Berlusconi vinse le elezioni politiche diventando capo del governo.

Nel 2002, durante una visita di Stato in Bulgaria, Berlusconi pronunciò il famigerato «editto bulgaro»: disse alla stampa che Enzo Biagi, Michele Santoro e «quell'altro» avevamo fatto un «uso criminoso» della tv di Stato, pertanto lui si augurava che questo non si ripetesse. Sentire adesso Franceschini che, dopo i recenti attacchi di Berlusconi alla stampa, dice «Non vorrei che si passasse ad attaccare i singoli giornalisti» mi fa quasi tenerezza.

Qualcuno avverta Franceschini che è tutto già successo. Biagi, Santoro e io venimmo cancellati dai palinsesti: i dirigenti Rai (nominati dalla maggioranza politica berlusconiana) decisero «autonomamente» di non riconfermare i nostri programmi tv. Giustificarono la cosa come «scelta editoriale». Il problema è politico.

La satira dà fastidio perché esprime un giudizio sui fatti, addossando responsabilità. Colpisce Berlusconi ma anche la religione organizzata e l'opposizione inesistente del Pd. La libertà della satira in tv è libertà della democrazia. Neppure Rai3, i cui dirigenti sono di sinistra, mi ha mai chiesto di tornare in tv, in questi anni.Il potere, in Italia, è suddiviso fra clan di destra e di sinistra. Scandali recenti hanno mostrato come questi clan si mettono spesso d'accordo sulla gestione della cosa pubblica, a livello locale e a livello nazionale. Lo stesso tipo di accordo precede le nomine dei dirigenti Rai. Il risultato è che la democrazia sostanziale è corrotta. La Rai attuale è piena di dirigenti che vengono da Mediaset, vere quinte colonne.

Un anno fa, le intercettazioni telefoniche hanno mostrato come questi dirigenti si fossero accordati con quelli di Mediaset per una programmazione che favorisse Berlusconi in occasione dei funerali di Woytila e delle concomitanti elezioni. Berlusconi nel frattempo ha fatto una legge che proibisce la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche! Se questa legge fosse stata fatta dieci anni fa, nessuno conoscerebbe gli scandali politici, economici e sportivi più gravi della storia italiana recente. Nel ventennio fascista l'unica agenzia di stampa era quella del regime, l'Agenzia Stefani: i giornali si attenevano a quello che scriveva l'Agenzia Stefani.

I giornali liberi venivano chiusi e gli oppositori al regime perdevano il posto di lavoro, erano mandati al confino o peggio. Oggi non uccidono fisicamente gli oppositori, ma ti mandano al «confino mediatico»: ti tolgono gli spazi di espressione che avevi e che ti eri conquistato col tuo lavoro. Un esempio recente: a Berlusconi non piacciono Mieli e Anselmi? Mieli e Anselmi perdono il posto e nessuno fiata. Questa è la minaccia sempre presente.

Tutto origina dall'enorme conflitto di interessi di Berlusconi. È un capo di governo che ha aziende tv, imprese mediatiche, di assicurazione, di distribuzione pubblicitaria e cinematografica. Questo inquina la libertà del mercato. Un'inchiesta recente ha dimostrato che, da quando è al governo Berlusconi, molte aziende hanno tolto pubblicità dalle reti Rai per spostarle su quelle Mediaset. Berlusconi inoltre controlla la politica economica e i servizi segreti. La sua influenza si estende su OGNI settore della vita italiana. È un potere di ricatto enorme.

Uno dei pochi giornali di opposizione vera, questo che state leggendo, stenta a sopravvivere perché le aziende italiane non comprano spazi pubblicitari. Ecco un altro tipo di strozzatura. Non stupisce allora che i passi della quasi totalità della stampa e della tv italiana siano felpati. Il caso recente Lario/Noemi/D'Addario ha dimostrato una volta per tutte l'esistenza di una sorta di Agenzia Stefani contemporanea, prontissima a ubbidire alle esigenze del Capo e a massacrare la vittima di turno. Fra giornalisti e testate, la lista dell'inquinamento berlusconiano è lunga. L'Italia è un Paese in cui vige un «fascismo light» che non mi piace per niente. L'Italia è un incubo da cui mi auguro gli italiani si sveglino presto. L'Italia è il Paese che amo.

venerdì 11 settembre 2009

stop alla vivisezione

Enrico Moriconi - dirigente medico-ospedaliero presso il Centro Psicosociale di Vimercate - Milano

da Liberazione


Sabato 19 settembre si svolgerà a Friburgo, in Svizzera, con inizio alle ore 10 in Place Georges-Python, la manifestazione Zugetive "Insieme contro la vivisezione". L'iniziativa nasce per cercare d'informare e sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della ricerca sugli animali, ma soprattutto per cercare di convincere le autorità competenti svizzere a sospendere i finanziamenti al professor Rouiller che, da un quarto di secolo, compie esperimenti presso l'Università di Friburgo su roditori, gatti e scimmie.

A prescindere dalle argomentazioni scientifiche che dimostrano come nel 2009 sia inaccettabile continuare ad utilizzare animali per la ricerca che riguarda le malattie umane, la storia stessa del professor Rouiller è quantomeno originale. Questo ricercatore dal 1985 compie esperimenti sugli animali, anche scimmie e gatti, pubblicando sulle riviste scientifiche (tali si definiscono) molti articoli basati su studi che differiscono pochissimo l'uno dall'altro, se non per il cambio della specie utilizzata. In tutto questo periodo, nessuna di queste ricerche si è dimostrata di alcuna utilità per il progresso scientifico e per il miglioramento della salute umana.

Grazie alle molte pubblicazioni, il professor Rouiller, che attualmente lavora presso la Unit of Psysiology and Program in Neurosciences della facoltà di Scienze dell'Università di Friburgo, diventa membro sia della Commissione di controllo cantonale, sia del Comitato scientifico del Fondo nazionale svizzero - ossia entra a fare parte sia del Fondo che finanzia la vivisezione, sia della commissione che deve controllare gli esperimenti. In altre parole, il controllato diventa anche controllore e il finanziato diventa anche finanziatore. Gli aspetti più discutibili del caso Rouiller consistono però nella mancanza di un progetto coerente e comprensibile per quanto riguarda gli studi del professore, nonché in alcune sue dichiarazioni. Ad esempio, nel 2003 pubblica 5 lavori.

Nel primo continua a sperimentazione sui macachi, nel secondo e nel terzo utilizza colture di tessuto, ma nonostante siano già state accettate dalla comunità scientifica e disponibili banche di tessuti umani, continua ad utilizzare tessuti animali che impongono l'uccisione di cavie; nel quarto continua ad utilizzare gatti e nel quinto articolo afferma che «nei soggetti umani i sostanziali avanzamenti in questo campo sono stati resi possibili dallo spettacolare sviluppo di tecniche non invasive di visualizzazione e stimolazione del cervello». Quindi lo stesso Rouiller afferma in una sua pubblicazione che le scoperte non avvengono grazie agli esperimenti sugli animali, ma al progresso tecnologico.

Peraltro, la necessità di utilizzare specie ad alto sviluppo cognitivo, quindi più vicine a noi da un punto di vista evolutivo, è stata esclusa da una ricerca del 2007 che ha analizzato tutti gli studi sugli scimpanzé dal 1994 al 2004: gli autori concludono affermando che «lungi dal contribuire alla ricerca medica, la sperimentazione sugli scimpanzé è stata largamente incidentale, periferica, confusa, irrilevante e inaffidabile ed ha utilizzato fondi considerevoli che avrebbero potuto essere meglio indirizzati altrove».

La manifestazione di Friburgo, non si preannuncia solo come iniziativa di protesta, ma anche d'informazione: nel tendone principale verrà allestita una mostra sugli esperimenti effettuati sulle scimmie a Zurigo e a Friburgo. Conferenze, proiezioni di filmati e stand completeranno l'offerta informativa sulla vivisezione in generale e sui metodi scientifici, attualmente a disposizione, che permettono di sostituirla (modelli cellulari, tissutali, bioinformatica, ecc.). Maggiori informazioni si possono trovare sui siti www.zugetive.ch e www.atra.info. La partecipazione di manifestanti anche dall'Italia potrebbe risultare determinante per convincere le autorità competenti svizzere a sospendere i finanziamenti per ricerche che provocano sdegno anche fuori dai confini elvetici.

lunedì 7 settembre 2009

La vera ricerca dà fastidio

Stefano Montanari

Biolcalenda
settembre 2009

Ad un lettore frettoloso potrebbe sembrare che quanto mi accingo a scrivere siano fatti miei e basta. Ahimé, non è così. Per ragioni che non descriverà di nuovo, essendo state già oggetto di numerosi articoli e perfino di un libro, qualche anno fa noi - mia moglie, la dottoressa Antonietta Gatti, ed io, intendo - fummo privati dello strumento principe che ci permetteva di condurre ricerche intorno ad una scoperta scientifica molto importante di mia moglie, vale a dire certe interazioni delle polveri sottili ed ultrasottili con l'organismo.

Essendo in corso un progetto europeo che Antonietta dirigeva, restare senza microscopio elettronico, ché quello era lo strumento, avrebbe significato il fallimento di anni di lavoro e l'annullamento di un utilissimo progresso scientifico.

Fu così che Beppe Grillo propose di dare pubblicità alla cosa e d'iniziare una raccolta popolare di fondi per acquistare un nuovo microscopio. 378.000 Euro erano la cifra necessaria, e 378.000 Euro furono raccolti nel giro di un anno giusto. lo partecipavo agli spettacoli di Grillo nel corso dei quali raccontavo qualcosa delle ricerche e, sempre pagandomi le spese, per oltre 200 volte in 12 mesi tenni conferenze pubbliche al termine delle quali mendicavo quattrini. Quattrini che arrivavano ad una onlus di Reggio Emilia resasi disponibile e la cui unica cura era quella d'incassare denaro.

E qui sta tutta la mia imperdonabile ingenuità: per evitare che qualcuno pensasse male, cosa che poi accadde lo stesso, io feci intestare l'apparecchio proprio alla onlus che ne diventò legalmente proprietaria. A questo punto, stando a quanto la presidentessa di quel l'associazione, tale Marina Bortolani, affermava, era necessario che il microscopio passasse burocraticamente attraverso un ente pubblico il quale, poi, lo avrebbe girato a noi. Allora, dopo qualche mese di ricerca, io trovai il Centro di Geobiologia dell'Università di Urbino il cui direttore, prof. Rodolfo Coccioni, si prestò alla bisogna. Tutto bene fino a che, il 30 giugno scorso, mi arriva una raccomandata della onlus in cui questa mi comunica che, un paio di settimane prima, aveva "donato" il microscopio all'Università di Urbino. Questo dopo avermi tenuto all'oscuro di trattative lunghissime e, scrive la raccomandata, con il piacet di Grillo.

Qualcuno potrebbe chiedersi quale voce in capitolo abbia Beppe Grillo e che cosa mai c'entri in una bizzarria dei genere. Qualcuno potrebbe pure chiedersi per quale motivo al mondo Grillo avrebbe avuto piacere che il microscopio ci venisse tolto dopo che, con una chiarezza cristallina, lui stesso aveva affermato innumerevoli volte nei suoi spettacoli e aveva assicurato per almeno un paio d'anni sul suo blog che quei soldi erano raccolti esclusivamente perché noi - mia moglie ed io - potessimo avere quell'apparecchio.

Addirittura il sito Internet della onlus Carlo Bortolani contiene un lungo post datato aprile 2007 in cui si conferma che solo noi siamo i destinatari dei microscopio e che solo mia moglie può decidere come e dove usarlo. In aggiunta, tutto questo è riportato pari pari nel documento originale di accordo tra la onlus e il Centro di Geobiologia di Urbino. Se si vuole un esempio di stravagante ipocrisia, poi, si legga la condizione con cui il nostro microscopio finirà in un'università dove non esiste la minima esperienza riguardo la ricerca per la quale tutto quel denaro è stato raggranellato: noi potremo usare l'apparecchio "almeno una volta la settimana".

Lasciando da parte il fatto che tra casa nostra ed Urbino ci sono più o meno 3 ore di viaggio, per prima cosa, la nostra ricerca richiede almeno 8 ore al giorno d'impiego dell'apparecchio per almeno 5 giorni la settimana e, non di rado, il suo uso notturno in una modalità automatica (che ci appartiene e che non daremo certo ad Urbino).
Poi ci vogliono ambienti particolari e apparecchiature a contorno che laggiù non esistono. Poi occorrono tecnici che sappiano preparare i campioni da osservare e, ancora una volta, ad Urbino non c'è quel tipo di personale.
E il denaro? Mantenere un aggeggio dei genere è quanto mai costoso e, notoriamente, nelle università non c'è una lira. Perché, allora? La manovra è fin troppo ovvia: come si era già fatto quando ci si tolse la disponibilità dei primo microscopio, la nostra ricerca deve essere "imbavagliata".

Imbavagliata è il termine che usava a suo tempo Grillo quando, forse, chi ne cura gli'interessi non si era reso conto di che cosa significasse davvero darci una mano. Le evidenze che noi mostriamo in modo tanto impietoso quanto incontestabile danno fastidio, e tanto, a chi lucra sull'incenerimento dei rifiuti vendendosi la nostra salute, a chi vuole costellare la Penisola di demenziali impianti "a biomasse", a chi ficca le ceneri da immondizia nel cemento, a chi infila particelle inorganiche nei vaccini, a chi particelle analoghe aggiunge agli alimenti industriali, e così via. Ora, poi, che i nostri risultati sono arrivati molto in alto e minacciano di arrivare ancora più su, il fastidio diventa pericolo.

Insomma, a scanso di guai, meglio toglierci dai piedi e farlo in fretta. Ciò cui la onlus Bortolani non aveva pensato è che qualcuno avrebbe reagito. Ora un avvocato sta ricevendo centinaia di messaggi da persone che hanno donato quattrini per noi e che si vedono beffate, e quell'avvocato, forte dei mandati ricevuti dai donatori, procederà contro onlus ed Università di Urbino. Tantissimi messaggi indignati arrivano all'Università ed alla onlus la quale, magari un po' ingenuamente perché spesso di quei messaggi io ricevo copia, risponde a tutti che le proteste si limitano a 13 (!) lettere. Ecco: questi non sono fatti miei e basta.

Con quel microscopio noi abbiamo ottenuto risultati di eccellenza assoluta, abbiamo ricerche delicatissime in corso, mia moglie è a capo di un progetto europeo che vede coinvolti 10 centri di ricerca su 6 paesi diversi, siamo riusciti a far passare una legge che riconosce le patologie da "uranio impoverito e nanoparticelle" cosicché i ragazzi che tornano malati dalle missioni "di pace" non saranno più lasciati morire come cani, stiamo ostacolando lo scempio che si fa costruendo inceneritori ovunque, stiamo lavorando su di un sistema per disinquinare l'aria cittadina, e così via. Tanto business non proprio pulito è messo a rischio.

Più di qualcuno consiglia a mia moglie e a me di andarcene da questo squallido paese. Ma noi resteremo: andarcene significherebbe riconoscere che la mascalzonaggine è imbattibile. E noi siamo abituati a vincere.

venerdì 21 agosto 2009

La precarietà come freno alla crescita

Guglielmo Forges Davanzati
Economia e Politica

La crisi del pensiero liberista si manifesta, al momento, come riconoscimento della necessità di un maggior intervento pubblico in economia, quanto più possibile temporaneo, e preferibilmente limitato alla sola regolamentazione dei mercati finanziari.

Nulla si dice sulla deregolamentazione del mercato del lavoro, ben poco se ne dibatte, e si stenta a riconoscere che, nella gran parte dei casi, si è trattato di un clamoroso fallimento per gli obiettivi espliciti che si proponeva: così che la ‘flessibilità’ del lavoro resta, anche in regime di crisi, un totem.

E’ opportuno premettere che, ad oggi, in Italia, non si dispone di una stima esatta del numero di lavoratori precari: il che, in larga misura, riflette le numerose tipologie contrattuali previste dalla legge 30, alcune delle quali censibili come forme di lavoro autonomo. L’Istat individua 3 milioni e 400 mila posizioni di lavoro precarie, a fronte dei 4 milioni di lavoratori precari censiti dall’Isfol[1].
Gli apologeti della flessibilità prevedevano, già dagli anni ottanta, che la rimozione dei vincoli posti alle imprese dallo Statuto dei lavoratori in ordine alla libertà di assunzione e licenziamento avrebbe accresciuto l’occupazione, e dato impulso a una maggiore mobilità sociale, tale da portare anche alla crescita delle retribuzioni medie.
Dal 2003, anno di entrata in vigore della legge 30 (la cosiddetta Legge Biagi), che ha impresso la più significativa accelerazione alla destrutturazione del mercato del lavoro in Italia, il tasso di occupazione in Italia non è aumentato, e nei tempi più recenti è aumentata semmai la disoccupazione, anche al netto della crisi in atto.
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martedì 11 agosto 2009

SE VOI FOSTE PERSONE NORMALI

di Moni Ovadia

da l'Unità

Se foste un rom, quella di Salvini non vi apparirebbe come la sortita delirante di un imbecille da ridicolizzare.
Se foste un musulmano, o un africano, o comunque un uomo dalla pelle scura, il pacchetto sicurezza non lo prendereste solo come l’ennesima sortita di un governo populista e conservatore, eccessiva ma tutto sommato veniale.
Se foste un lavoratore che guadagna il pane per sé e per i suoi figli su un’impalcatura, l’annacquamento delle leggi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro non lo dimentichereste il giorno dopo per occuparvi di altro.
Se foste migrante, il rinvio verso la condanna a morte, la fame o la schiavitù, non provocherebbe solo il sussulto di un’indignazione passeggera.
Se foste ebreo sul serio, un politico xenofobo razzista e malvagio fino alla ferocia non vi sembrerebbe qualcuno da lusingare solo perché si dichiara amico di Israele.
Se foste un politico che ritiene il proprio impegno un servizio ai cittadini, fareste un’opposizione senza quartiere ad un governo autoritario, xenofobo, razzista, vigliacco e malvagio.
Se foste un uomo di sinistra, di qualsiasi sinistra, non vi balocchereste con questioni di lana caprina od orgogli identitari di natura narcisistica e vi dedichereste anima e corpo a combattere le ingiustizie.
Se foste veri cristiani, rifiutereste di vedere rappresentati i valori della famiglia da notori puttanieri pluridivorziati ingozzati e corrotti dalla peggior ipocrisia.
Se foste italiani decenti, rifiutereste di vedere il vostro bel paese avvitarsi intorno al priapismo mentale impotente di un omino ridicolo gasato da un ego ipertrofico.
Se foste padri, madri, nonne e nonni che hanno cura per la vita dei loro figli e nipoti, non vendereste il loro futuro in cambio dei trenta denari di promesse virtuali.
Se foste esseri umani, esseri umani degni di questo nome, avreste vergogna di tutto questo schifo.

lunedì 10 agosto 2009

Heaven





Billionaire, vermentino e champagne

Sandro Roggio

da EddyBurg

La società di Flavio Briatore “Billionaire” ottiene - pare in modo lecito - la concessione demaniale per piazzare numerosi gazebo in un'area recintata e riservata ai passatempi balneari dei frequentatori di “Billionaire Rubacuori” (un nome elegantissimo!) .

Siamo nella Sardegna Smeralda dei ricchissimi, esattamente nei pressi della spiaggia di Capriccioli in un tratto da sempre meta degli abitanti, quelli che - secondo la Convenzione del paesaggio- si prendono cura dei luoghi, eccetera. Le proteste numerose e reiterate nei mesi scorsi, culminano in una manifestazione capeggiata da un operaio (sì, un operaio, carpentiere: ci sono anche gli operai a Arzachena). Si rivendica la possibilità di usare semplicemente quel luogo, come da sempre fanno gli indigeni che si mescolano felicemente con gli istranzos tra il cisto e il mirto.

I contestatori lamentano - pure - che la macchia mediterranea è stata un po' troppo sfoltita per fare spazio ai cafoni attrezzi ombreggianti e per per renderla “la cornice perfetta di aperitivi esclusivi, parties, e iniziative personalizzate sull’identità di ogni sponsor”.

Vai ! La società di Briatore non gradisce e cita in giudizio l'operaio (si chiama Fabrizio Pirina) ,chiedendogli un risarcimento per danni all'immagine di “Billionaire Rubacuori”: 380mila euro, nientemeno. L'immagine offesa, per chi volesse capire meglio, è quella che si ricava dando una occhiata al sito www.billionairelife.com- musica stile circo equestre e voci suadenti come nelle reclame di profumi irresistibili).

Sponsor ufficiale lo champagne Perrier Jouet - Cuvée Belle Epoque. “La location vedrà il presidio costante delle Ragazze Billionaire che svolgeranno, per tutto il periodo estivo, un’intensa attività di pubbliche relazioni”. Suggerisce qualcosa questa ammiccante annotazione?

Lo sventurato operaio non si aspettava la dura reazione al suo gesto. Secondo gli organi di informazione ha soprattutto contrariato Briatore e i suoi quella mossa un po' dadaista di approntare un pic-nic per terra ( più disordinato del Dejuner sur l' herbe di Manet), agliata di polpi, melanzane fritte e polpette ( bombi, bombas - si dice in Sardegna); sponsor ufficiale il vermentino di Gallura 2008 delle cantine di Tempio e Monti. S

iamo grati a Fabrizio Pirina (e a Irs, il movimento indipendentista sardo) per il bel gesto. Ci ricorda, fatte le proporzioni, la sfida in poesia di Melchiorre Murenu, nello sfondo la ribellione per le terre chiuse dispoticamente in altra epoca, altre storie.

Tancas serradas a muru/ fattas a s'afferra afferra/ chi su chelu fid in terra/ l'haiant serradu puru.

(Terre chiuse con muri / realizzate arraffando/ se fosse in terra/ lo avrebbero recintato anche il cielo).

Dalla Sardegna per lungo tempo si è preso, portato via gratis, senza mettere nulla. Non serviva molto per trasferire legname o corallo o selvaggina; qualche impianto indispensabile (per la pesca del tonno o l'estrazione di minerali) non ha impoverito le imprese che poi hanno lasciato tutto lì.

Poca roba. Da mezzo secolo la Sardegna si usa lasciandoci il segno, pesantemente. Si possono fare buoni affari con la terra sarda . Gli scarichi a mare di fabbriche in disarmo sono oggi lì a testimoniare che non ce la dicevano giusta. Non hanno portato ricchezza durevole. Come la deformazione - la espropriazione- dei luoghi per divertire i turisti billionaire.

Non c'è proporzione tra quello che hanno preso ( e si prendono) e quello che hanno restituito. In bellezza nulla, proprio nulla. Le dune e i graniti, la macchia mediterranea, sono il massimo come basamenti di case e cose varie, basta aggiungere Perrier Jouet.
Al fantastico Pirina questa cosa non va giù. Evviva.

lunedì 3 agosto 2009

D’Addario: risposte preconfezionate per l’elettore di centrodestra in difficoltà

di Alessandro D'Amato (Gregorj)

da Gionalettismo


Da qui: “Le risposte dei destri al gossip della sinistra sulla D’Addario sono state qui riunite per vostra comodità di lettura:
1. E’ un Gòssip
2. Non si capisce se è veramente la sua voce
3. E’ opera del fotosciòp
4. Le farsi sono decontestualizzate, in realtà Silvio mostrava la sua collezione di pardripii
5. Quello che silvio fa nella vita privata sono affari suoi
6. E’ il minimo, visto che la moglie gli ha fatto le corna per secoli con più uomini al giorno e anche con qualche donna
7. Tu sei come Sircana
8. Agli italiani non frega niente
9. Anche D’Alema ciaveva l’amante, in barca a vela
10. Comunista!
11. E’ solo l’utilizzatore finale
12. Lei è manovrata da complottatori internazionali, non può aver fatto tutto da sola
13. E’ invidia perché lui può farsi tutte le donne che vuole e i sinistri rosicano
14. Tanto all’estero non gliene frega niente della politica interna italiana
15. Aveva detto di non voler mettere le mani nelle tasche degli italiani, nel programma non si parlava di vagine
16. Quelli del G8 gli han fatto i complimenti: pure la Merkel si sarebbe voluta trombare la D’Addario
17. E’ stato frainteso
18. Sarebbe stato meglio avere un capo del governo frocio?
19. Tanto poi il residence mica glielo ha dato…
20. Sinistri bacchettoni!
21. Mavalà, mavalààààààààà…
22. ricordatevi che ha ripulito la spazzatura da Napoli, rivitalizzato Alitalia e ha assicurato la massima assistenza ai terremotati d’Abruzzo
23. non ha mai conosciuto la D’Addario, e, anche se fosse, non l’ha mai pagata. Con tutti i soldi che ha figurati se ha bisogno di pagare una donna
24. Poveretto, che deve fare se la moglie non gliela dà più ?
25. E’ una congiura di Murdocch
26. Il 75% degli Italiani è con lui (al che si spiega il perché del quantitativo industriale di mignotte)
27. La sinistra è ormai alla frutta e visto ,che non riesce a contrastare il governo sul modo efficientissimo di governare il Paese, ricorre a questi mezzucci insulsi.
28. Ho qui le carte, ho qui le carte che lo smentiscono !!! (ciaf !ciaf!ciaf!)”.

In effetti non ne vengono in mente molte altre.

Radioactive Zombie Orgy

Da Carmilla. Complimenti all'autrice

di Alessandra Daniele

da Carmilla

E' stato scoperto di recente un inedito dell'impareggiabile Ed Wood. Il film risale agli anni '70, e mescola porno, splatter e sf con sgangherata visionaria follia in anticipo sui suoi tempi. Gli effetti speciali sono tecnicamente miserrimi, e gli interpreti, specialmente il protagonista, cialtroni ben oltre il ridicolo, ma ciò che fa ascendere questo film alla più alta vetta del trash è soprattutto la trama. Un vecchio porco miliardario, spocchioso satrapo di uno staterello immaginario, decide di farsi costruire un'enorme villa dove organizzare le sue orge, alle quali partecipano altri vecchi porci miliardari, politici corrotti, generali golpisti, e puttane di carriera, e di leva.
Durante i lavori si scopre però che luogo scelto per la villa ospita nel sottosuolo una necropoli fenicia zeppa di mummie dal sonno leggero. Ignorando gli avvertimenti delle tre zie suore, il maiale fa ultimare ugualmente la costruzione della magione, e ci fa trasportare anche la sua personale collezione di frammenti di meteorite. L'avvocato del porco (un Bela Lugosi ricavato dal riciclaggio di un vecchio spezzone) si occupa di far sparire ogni traccia dagli archivi, e la villa si riempie di ospiti ignari. Durante l'orgia inaugurale però, la radioattività presente nelle rocce aliene risveglia le mummie, che irrompono nella villa, aggredendo gli ospiti per sbranarli vivi, e trasformando in zombies le vittime del loro morso. Le escort presenti cominciano così ad affondare i denti in quello che stavano succhiando, staccandolo a morsi fra urla belluine, e getti di sangue degni di un idrante. La villa si trasforma in un inferno di mutilati ululanti, in agonia, o appena rianimati che danno la caccia ai pochi superstiti per spartirsene le frattaglie.Terrorizzato, il padrone di casa si rifugia nella cripta antiatomica, ma lo attende una pessima sorpresa: anche il cadavere della moglie, da lui assassinata e nascosta, s'è appena rianimato, e la sua vendetta sarà terrificante. Com'è facile intuire, ''Radioactive Zombie Orgy'' è un autentico gioiello del cinema di serie Z. La cosa più esilarante del film risulta però la dicitura standard al termine dei titoli di coda: ''ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale'', come se qualcuno di tali grotteschi personaggi in così demenziali situazioni potesse mai davvero esistere nella realtà.

Wall Street a caccia dei campi africani. “Il cibo, l’oro del futuro”

Autore:

fonte:Eddyburg

Il mondo dei ricchi trasforma i loro beni in merci, se ne appropria, li caccia dalle loro terre, e quando vengono qui li ricaccia indietro. Usque tandem?

I fondi d’investimento cercano appezzamenti a prezzi ridicoli. Tra i compratori anche molti Paesi con poca terra coltivabile Ogni crisi ha i suoi vincitori. Alcuni di loro sono seduti nella sala Stuyvesant dell’Hotel Marriott a New York. Gli uomini sono agricoltori di mais, proprietari terrieri, manager di fondi provenienti dall’Iowa, da San Paolo, da Sydney. Ognuno di loro ha pagato 1995 dollari per partecipare alla prima conferenza sul commercio mondiale di terreni coltivabili: la Global AgInvesting 2009. Il primo a intervenire è un rappresentante dell’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico. Sui suoi grafici in Powerpoint ci sono delle curve che schizzano su e giù. Alcune si piegano tanto più verso il basso quanto più si avvicinano all’anno 2050: si tratta dei terreni agricoli che andranno persi a causa dei cambiamenti climatici, del degrado del suolo, dell’urbanizzazione e della carenza d’acqua. Le altre linee, invece, puntano decisamente verso l’alto: rappresentano la domanda di carne e biocarburanti, il prezzo del cibo e l’incremento demografico. Tra le curve si apre un divario che diventa sempre più grande. Quel divario è la fame.

Ma per gli uomini e le poche donne raccolti nella sala Stuyvesant si tratta di buone notizie, l’atmosfera è allegra. La combinazione «più uomini-meno terra» rende il cibo un investimento sicuro, con rendite annuali del 20 o 30%. Susan Payne, una inglese dai capelli rossi, è direttrice del più grande fondo terriero dell’Africa meridionale, che si estende per 150.000 ettari, principalmente in Sud Africa, Zambia e Mozambico. Payne, che vuole raccogliere dagli investitori mezzo miliardo di euro, parla di lotta alla fame, ma le slide della sua presentazione in Powerpoint, abbellite da foto di campi di soia al tramonto, hanno dei titoli come «Africa - the last frontier for finding alpha». Alpha è un investimento il cui ritorno supera i rischi. L’Africa è la terra-Alpha: su quel continente impoverito la terra costa poco. Il fondo della Payne paga tra 350 e 500 dollari per ettaro nello Zambia; in Argentina o negli Usa per la stessa superficie dovrebbe sborsare dieci volte tanto. Si tratta di condizioni perfette per chi investe. La società d’investimento statunitense Blackrock ha creato un fondo agricolo da 200 milioni di dollari. La russa Investor Renaissance Capital ha acquistato oltre 100.000 ettari in Ucraina. Deutsche Bank e la banca statunitense Goldman Sachs hanno investito in aziende che allevano suini e pollame in Cina. Il cibo sta diventando il nuovo petrolio. La novità di questo colonialismo sta nel fatto che i Paesi si lasciano conquistare volentieri. Il premier etiope ha affermato che il suo governo «arde» dalla voglia di mettere a disposizione centinaia di migliaia di ettari di terreni coltivabili. Il tutto è legato a due speranze: la speranza degli Stati poveri di poter sviluppare e modernizzare la loro agricoltura a pezzi e la speranza del resto del mondo che gli investitori stranieri possano produrre in Asia e Africa cibo sufficiente per i 9,1 miliardi di persone che popoleranno presto la Terra; che possano portare con loro tutto quello che adesso manca: tecnologie, capitali, conoscenze, sementi moderne e fertilizzanti. Ma l’accaparramento moderno delle terre, il cosiddetto «land grabbing», è una questione politicamente delicata.

Nessuno sa di preciso quanta terra in tutto sia in gioco. L’Istituto internazionale di ricerca sulle politiche alimentari parla di 30 milioni di ettari. Klaus Deininger, un economista della Banca mondiale specializzato in politiche agricole, stima che simili trattative di accaparramento della terra potrebbero riguardare dal 10 al 30% dei terreni coltivabili disponibili. Governi in prima linea Gli affari più spettacolari però non li fanno i privati, bensì i governi. Il governo sudanese ha ceduto per 99 anni agli Stati del Golfo Persico, all’Egitto e alla Corea del Sud 1,5 milioni di ettari di terra coltivabile della migliore qualità. Il paradosso: il Sudan è il Paese che riceve i maggiori aiuti al mondo e la sopravvivenza di 5,6 milioni di sudanesi dipende dagli aiuti alimentari. Il Kuwait ha preso in affitto 130.000 ettari di risaie in Cambogia. L’Egitto vuole coltivare grano e mais su una superficie di 840.000 ettari in Uganda. Il presidente della Repubblica democratica del Congo ha offerto in affitto 10 milioni di ettari al Sud Africa. Il Pakistan vuole mettere a disposizione degli Stati del Golfo Persico un milione di ettari di terreni coltivabili, le Filippine attirano gli investitori con oltre 1,2 milioni di ettari. L’Arabia Saudita è uno dei più grandi e aggressivi tra i Paesi che fanno incetta di terra. In primavera il re ha partecipato alle celebrazioni per l’arrivo del primo raccolto di riso estero, coltivato per il regno saudita in Etiopia, un Paese tormentato dalla fame. Gli Stati ricchi scambiano soldi, petrolio e infrastrutture con cibo, acqua e foraggio. Tuttavia molti degli Stati in cui si verifica l’accaparramento dei terreni soffrono di scarsità d’acqua, come ad esempio il Kazakistan o il Pakistan. L’Africa subsahariana ha riserve idriche naturali a sufficienza, eppure soltanto il Sud Africa riesce a realizzare un surplus alimentare. Olivier De Schutter, il relatore speciale dell’Onu per il diritto al cibo, avverte: «Siccome in Africa gli Stati sono in concorrenza tra loro per accaparrarsi gli investitori, si superano l’un l’altro offrendo prezzi più bassi».

Alcuni contratti sono lunghi appena tre pagine. Alcuni promettono di costruire delle scuole o di asfaltare delle strade, ma, anche quando gli investitori rispettano queste promesse, i vantaggi per lo Stato e i contadini locali sono spesso di breve durata. Questo perché i grossi proprietari terrieri stranieri praticano l’agricoltura su scala industriale, altrimenti sarebbe impossibile aumentare i raccolti in modo da raggiungere rendite annuali del 20% e anche più. E se dopo un paio d’anni la terra è ormai impoverita, gli investitori si trasferiscono semplicemente altrove. Guerra tra poveri «Quando il cibo scarseggia - spiega l’imprenditore americano Philippe Heilberg - gli investitori hanno bisogno di uno Stato debole che non imponga loro nessuna regola». Uno Stato che, nonostante la carestia all’interno dei propri confini, consente l’esportazione di cereali, perché è piegato dalla corruzione o è iperindebitato. ù

Heilberg ha trovato uno Stato così: il Sud del Sudan. Un pre-Stato, autonomo, ma non indipendente. Il quarantaquattrenne americano, figlio di un commerciante di caffè e fondatore della società d’investimenti Jarch Capital, è il più grande affittuario di terra nel Sud del Sudan, con 400.000 ettari. Nella parte occidentale del Kenya l’appropriazione dei terreni è più avanzata. Lì vive il trentatreenne Erastas Dildo, il tipo di persona che gli investitori di New York definirebbero un «fattore di rischio»: Erastas è un piccolo agricoltore che possiede tre ettari di terra. Terra fertile, su cui il mais cresce, verdissimo, fino a due metri d’altezza, in cui i bovini sono grassi come ippopotami e le piante di pomodori si piegano sotto il loro stesso peso. Erastas raccoglie il mais due volte l’anno. Un ettaro gli frutta 3.600 euro all’anno, molto, per gli standard kenioti. Multinazionali contro contadini Ora però alla porta di Erastas ha bussato la Dominion Farms, un’azienda agricola statunitense che ha costruito lungo il delta dello Yala una propria colonia, affittando per 45 anni 3600 ettari di terra per un prezzo irrisorio: 12.000 euro all’anno. Sui terreni dovrebbero crescere riso, verdure e mais. E Dominion vorrebbe volentieri anche i tre ettari di Erastas Dildo. Gli inviati della Dominion gli hanno offerto un indennizzo di circa dieci centesimi al metro quadro. Erastas ha rifiutato e ora quelli di Dominion gli rendono la vita difficile. La loro arma più potente è lo sbarramento idrico che hanno costruito. Quando lo scorso anno Erastas ha provato a raccogliere il suo mais l’ha ritrovato inondato. «E se questo non basta - racconta - mandano bulldozer, squadre di picchiatori». Dominion aveva promesso per contratto il risanamento di «almeno una scuola e un ospedale» in ognuno dei due distretti locali. «Invece hanno cacciato 400 famiglie», afferma Gondi Olima dell’associazione «Amici della palude dello Yala». Dominion Farms respinge le accuse e fa notare che ha fatto costruire otto classi, concesso borse di studio a 16 bambini e dotato una struttura ospedaliera di letti ed elettricità.

In Africa, stima la Banca mondiale, esistono diritti formali di possesso o affitto soltanto per una percentuale di terra compresa tra il 2 e il 10%, e ciò riguarda per lo più le città. Una famiglia può anche vivere da decenni su un pezzo di terra o possederlo, ma spesso non può dimostrarlo. Inutilizzata, comunque, la terra non lo è quasi mai. Soprattutto i più poveri vivono grazie a essa, raccogliendo frutta, erbe o legna da ardere o facendovi pascolare il bestiame. Così l’acquisto di grossi terreni può anche trasformarsi in un disastro, visto che oltre il 50% degli africani sono piccoli contadini. La Banca mondiale e altre organizzazioni stanno ora preparando un codice di condotta per gli investitori. Al vertice del G8 dell’Aquila di luglio era prevista la firma di una dichiarazione di intenti, ma i capi di Stato non sono riusciti a trovare un’intesa su standard vincolanti. E così la caccia prosegue. E nella sala Stuyvesant a New York uno degli oratori chiarisce il ritmo di crescita del genere umano: 154 persone al minuto, 9240 all’ora, 221.760 al giorno. E tutte vogliono mangiare.

Copyright Der Spiegel

martedì 28 luglio 2009

Ow Feng Min

di Matteo Bordone
da Freddy Nietzsche

Comparso nei dintorni di Prato, in un giorno non meglio precisato dei primi anni Quaranta, Ow Feng Min è una delle figure più enigmatiche della storia recente e dell’immaginario popolare italiano. Di origine apparentemente cinese, Feng ha lavorato per alcuni anni come magazziniere in un piccolo negozio di ferramenta a Pistoia.

Taciturno e gran lavoratore, era conosciuto da tutti come “il Cinese”. Prima della fine del decennio lasciò il lavoro da un momento all’altro e scomparve. Secondo quanto ricostruito a posteriori dagli inquirenti, Feng passò i successivi trent’anni in una baita in legno sull’appennino tosco-emiliano. In questi anni incontrò in totale venticinque persone, che uccise con oggetti contundenti di vario genere e seppellì nei dintorni della baita. L’ultimo aggredito, un appassionato naturalista di Firenze di nome Italo Antichi, riuscì a colpirlo con il cavalletto della macchina fotografica, prima di fuggire, ferito, e chiamare aiuto.

Durante il processo (al termine del quale fu condannato al carcere a vita), Feng proferì solo la parole “Non sono molto socievole” prima delle sentenza. Da allora, quando qualcuno usa un’espressione del genere, si dice che parla “alla Ow Feng Min”, che ha usato un Ow-Feng-Min-smo, diventato poi, nel corso degli anni, per semplificazioni successive, un eufemismo.

Tra gli esempi celebri di eufemismi abbiamo “Dopo un po’ la verdura mi stufa” di Jean-Bédel Bokassa, “Non è piccolo” di Ilona Staller dopo il primo incontro con John Holmes, e “Non sono un santo” del Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana Silvio Berlusconi.

http://www.freddynietzsche.com/2009/07/23/ow-feng-min/

martedì 7 luglio 2009

Timeo Danone et dona ferentes

Adriano Cattaneo
Salute internazionale

I due attuali giganti dell’industria degli alimenti per l’infanzia, Danone e Nestlè, si combattono a colpi di “health and nutritional claims” e di indecorose alleanze con operatori sanitari e rispettive associazioni per accaparrarsi fette di mercato. Ma le prospettive nei paesi ad alto reddito, dove nascono pochi bambini, non sono rosee. Naturale che si buttino sui mercati emergenti e popolosi dell’Asia, con strategie di marketing aggressive che contribuiscono a deprivare le donne del più antico dei beni comuni: il latte materno. Siamo corresponsabili di questa espropriazione?
Continua su Salute internazionale

lunedì 29 giugno 2009

Archivio Genchi: La giustizia dei capi di Gabinetto

di Monica Centofante -
Antimafia 2000

Qualche tempo fa, quando il gip Maria Teresa Belmonte aveva archiviato alcune indagini sull’allora pubblico ministero Luigi de Magistris, si era gridato allo scandalo. Perché per ragioni di opportunità quel giudice, che era nientepopodimenoche la moglie del fratello di Michele Santoro (colpevole di essersi occupato di de Magistris nel corso di alcune puntate di Annozero), avrebbe dovuto astenersi dall’incarico poiché per qualche imprecisato motivo non avrebbe potuto prendere una decisione serena e imparziale.

Giovedì e venerdì scorsi la Corte di Cassazione si è espressa su due ricorsi presentati dalla Procura di Roma contro la decisione del Tribunale del Riesame che l’8 aprile aveva ordinato di restituire l’archivio sottratto dalla stessa procura a Gioacchino Genchi, già consulente di de Magistris. Con accuse anche fantasiose, come quella di violazione del segreto di Stato nell’acquisizione dei dati di traffico di utenze in uso a 007: reato che nel codice non esiste, quindi inventato.

Nel primo giorno di udienza la quinta sezione della Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità in radice del ricorso, il che avrebbe dovuto avere, come naturale conseguenza, quella di vedere confermato il dissequestro anche nel corso dell’udienza di venerdì.

Ma le cose sono andate diversamente.Perché il procuratore generale si è sorprendentemente dichiarato in disaccordo con l’orientamento assunto dal suo stesso ufficio il giorno precedente e ha chiesto alla Corte di dare ragione ai pubblici ministeri di Roma Achille Toro e Nello Rossi. Che sono quelli che avevano eseguito il sequestro, ma sono anche quelli che appaiono in atti di indagini per le quali il dottor Genchi aveva ricevuto incarichi dall’Autorità Giudiziaria. In parole povere: anche loro parte di quell’archivio.

Nello specifico, ci aveva spiegato l’avvocato Fabio Repici, legale del consulente, vi sarebbero tra l’altro conversazioni del dottor Toro che nel “maggio 2006 concordava con altra persona, con insospettabili capacità profetiche, gli incarichi al ministero della Giustizia presso l’appena nominato ministro Mastella e presso altri ministeri, riferendo anche gli incarichi graditi da altri magistrati romani, ivi compreso il dr. Nello Rossi”.In quello stesso periodo – mentre era in corso l’indagine Why Not - Toro diventava capo di Gabinetto del Ministro Bianchi nel governo Prodi, mentre il ministro Ferrero, nello stesso governo, sceglieva per quell’incarico il dott. Franco Ippolito. Che, guarda il destino, ritroviamo venerdì come relatore all’udienza che si è tenuta davanti alla sesta sezione penale della Cassazione. La quale era chiamata a decidere proprio sulla parte del ricorso che riguardava i tabulati di utenze telefoniche riferite, tra gli altri, a Clemente Mastella e Romano Prodi perché entrambi indagati in Why Not (il primo ora archiviato).

Alla fine la Suprema Corte decide di confermare il dissequestro di copia dell’archivio riguardante i tabulati che si riferiscono a utenze dei servizi segreti. Ma dà ragione alla Procura capitolina nella parte del ricorso con il quale si chiedeva il ripristino del sequestro di copia dell’archivio con riferimento ai tabulati delle utenze telefoniche di parlamentari: e quindi proprio a Romano Prodi, Clemente Mastella e altri, per i quali annulla senza rinvio, chiudendo definitivamente la questione.Nella sicura soddisfazione di indagati ed ex indagati nonché di Achille Toro e Nello Rossi. Quest’ultimo, tra l’altro, fino a due anni fa impiegato proprio alla sesta sezione penale della Corte di Cassazione, quindi un ex-collega.Lo scenario lascia spazio a qualche dubbio o perplessità, ma nessuno, questa volta, ha pensato di gridare allo scandalo. Così come non era accaduto neppure quando la Procura di Roma, nonostante la decisione del Tribunale del Riesame, si era arbitrariamente e illegalmente rifiutata di restituire l’archivio al suo legittimo proprietario.In quell’occasione l’avv. Repici si era chiesto: “Cosa assicura ai magistrati romani l’impunità davanti al Csm ed al ministro della giustizia?”.
La risposta, forse, è arrivata oggi.

Link :http://www.antimafiaduemila.com/content/view/17342/78/

sabato 6 giugno 2009

Tempo di erezioni..

Nella villa del presidente del consiglio,in Sardegna, è stato fotografato un uomo con una vistosa erezione. Pare si tratti di Topolanek, ex premier ceco, che smentisce oggi su Repubblica: si tratta di un complotto delle sinistre.Non smentisce la sua presenza, ma l' erezione: è un volgare fotomontaggio a scopo di screditarlo.

Secondo il Giornale Topolanek si trovava in visita a villa Certosa assieme a tutta la famiglia.

Rimaniamo in attesa della testimonianza di chi, tra tutti, e con cognizione di causa, può chiarire definitivamente i misteri di questa intricata vicenda. La moglie di Topolanek, Minnilanek.

...

venerdì 8 maggio 2009

mercoledì 22 aprile 2009

Vera arte (di regime)




(dal Corriere.it)
SAVONA - Una ritrae, quasi senza veli, il premier Silvio Berlusconi e il ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna. L'altra ha come soggetto la moglie del presidente del Consiglio, Veronica Lario, a seno nudo e con due ali d'angelo: sono le due opere dell'artista palermitano Filippo Panseca, che hanno suscitato non poche polemiche a Savona, dove sono state esposte in nell'ambito della mostra «Art & Savonnerie», inaugurata al Priamar.



SCENOGRAFO CRAXIANO - A Savona cinque artisti interpretano il sapone attraverso l'arte, in occasione dei 125 anni del marchio l'Amande della Gavarry di Albisola Superiore, uno dei più antichi saponifici del mondo.


Come riporta il Secolo XIX, le opere di Panseca fanno parte di questa esposizione. «Autore delle opere è Filippo Panseca, l'architetto e artista palermitano diventato famoso negli anni Ottanta per le sfarzose scenografie dei congressi del Partito Socialista. Suo è anche il logo del garofano», sottolinea il giornale, secondo cui a Savona «molti gridano già allo scandalo». «Ho voluto rendere omaggio al presidente del Consiglio - sottolinea Panseca, secondo quanto riferisce il quotidiano -. Per l'opera sono partito da una foto che avevo visto su Internet. Il corpo della Carfagna è preso in prestito da un artista dell'Ottocento».

martedì 14 aprile 2009

L'allarme alla città andava dato

di MASSIMO GALLUCCI*
da Repubblica

"Da gennaio, quasi settimanalmente si faceva sentire. Ma, un po' come nel film X-men 2, il verme divoratore era sotto controllo. Così ci era stato detto più e più volte dalla stampa e dalle televisioni locali. E così parcheggio, senza particolari precauzioni, nel piazzale alberato a 100 metri da casa. Casa: una palazzina cielo-terra di 3 piani e piccolo attico, di stesura settecentesca, manipolata più volte in seguito, e da noi restaurata 12 anni fa.

Per strada, davanti il mio ingresso, gli studenti che alloggiano in affitto negli appartamenti di fronte in cemento armato. Sono una decina, in strada. Una ragazza piange: "non ne posso più, ho paura voglio andare via". Un ragazzo l'abbraccia protettivo. Stai tranquilla. Sono scosse di assestamento. Ormai ci siamo abituati. Così ci prepariamo, come ogni sera quasi tranquilli. A letto. Io, mia moglie e mia figlia. Un letto d'epoca, veneziano, con una spalliera piuttosto alta, che avrà un ruolo in questa storia. Stranamente essenziale e per questo bellissimo. Lascio la luce dell'abat-jour accesa. All'una circa sono svegliato da un'altra scossa. O l'ho sognata? Resto sveglio. Dopo un po' ne arriva un'altra. Alle 3 e mezzo il letto salta, si muove. Non c'è più luce elettrica, polvere dovunque, si fa fatica a respirare tra la polvere e l'odore acre, inconfondibile del gas di città, e il ballo continua, accelera, è forsennato, sale il rumore, quel borborigmo che diventa un ululato rotto dagli allarmi delle auto e da grida, grida, grida attorno. Virginia chiama. Mi butto su di lei per ripararla dalla pioggia di calcinacci e urlo: "Non preoccuparti, è finito, è finito!" Ripeto istericamente quella frase per 22 secondi. E' finito! Grido finalmente per l'ultima volta e "ordino" a mia moglie e mia figlia di seguirmi, di scappare via, subito. Scendo dal letto. Macerie sul pavimento. Polvere e odore di gas. Urla da fuori. Non si vede nulla. Cerco a tentoni la porta, ma non riconosco la camera da letto: la stanza è cambiata. O almeno il letto è in un'altra posizione. La trovo. Si apre. A tentoni raggiungo la rampa delle scale con la sensazione di non trovare le pareti al posto giusto. La rampa non c'è: è un cumulo di macerie.

A piedi nudi su quei sassi, poi sui vetri e i resti dei quadri dell'ingresso. Voglio vedere se si apre la porta. Sembra di no, poi qualche spallata e ci riesco e un po' di luce delle stelle penetra la nebbia e lenisce l'angoscia. Grazie a Dio non siamo prigionieri. Corro di nuovo su. Prendo Virginia e chiamo Lucilla. E approccio di nuovo la discesa. Ma stavolta perdo l'equilibrio e cado di schiena, assieme a Virginia, violentemente sul pavimento dell'ingresso. Un bel volo, forse di un metro e mezzo - due? Per un paio di secondi ho fosfeni. "Virginia, Lucilla, uscite! Uscite, sto bene!" Intanto verifico che muovo le gambe e le mani. Ho un dolore terribile nell'intero tratto lombare. Sicuramente mi sono fratturato. Mi faccio forza ed esco quasi carponi, poi mi metto in piedi e vedo l'orrore che mai avrei creduto o pensato. Il palazzo di fronte: 5 piani di cemento armato accartocciati, stratificati come carte da gioco. Non sarà più alto di 3-4 metri, ora. Non viene una voce da lì dentro. Un silenzio feroce. Mani nei capelli, piango, Daniela amica cara e i bimbi Davide e Matteo; Maria Pia e i figli e quell'anomalo pitbull buono, l'avvocato Fioravanti e la moglie, così dolci e pacati. Che gentiluomo, con la sua piccola collezione di auto d'epoca e il sorriso nonostante la leucemia, e gli altri e gli studenti, quelli che piangevano e si consolavano.Travi di cemento armato di vari metri schiacciano i resti di quella casa. Senza una gru è impossibile fare qualunque cosa. A piedi nudi, sui sassi della città atterrati per terra, come tre zombi facciamo i 50 metri che ci separano da via XX Settembre dove altri zombi seminudi si aggirano senza meta, con gli occhi sbarrati, senza saper dire una parola, guardandosi attorno e piangendo, alcuni.

Attraversiamo il parco alberato nel cui piazzale ho parcheggiato e raggiungiamo la macchina. E' coperta di detriti e polvere, ma agibile. Con lucidità sia io che Lucilla avevamo preso le chiavi della macchina dal portaoggetti sul tavolo dell'ingresso fortunatamente in piedi. In auto passiamo qualche ora, mentre la folla aumenta nel piazzale, assieme al dolore lombare. Continuano le scosse. Sento un ragazzo chiamare Maria, Mariaaaa da sopra le macerie: "c'è mia sorella lì sotto, Mariaaaa!" Alcuni hanno piccole torce elettriche e scavano con le mani. Il termometro della mia auto indica 3 gradi. Chiedo a mia figlia di avvolgermi una pezza da vetri attorno ai piedi congelati. Passano amici e volti noti. Non vedo traccia di isteria. Uno stupore silenzioso e controllato. Tutti si chiedono tra le lacrime: ha bisogno di qualcosa? Sapendo di aver poco o nulla da offrire. Aspettiamo, come bombardati, le luci dell'alba. Per capire. Ma da capire c'è poco.

Mia moglie torna a casa. Entra per qualche secondo. "Casa non c'è più. Abbiamo perso tutto. Sai a chi dobbiamo la vita? Alla spalliera del letto che ci ha riparato dai massi della casa a fianco, accasciata come un vecchio sulla nostra. I massi hanno forzato, curvato su di noi la spalliera spingendo il letto contro l'altra parete. Senza di essa, ci sarebbero venuti addosso, sulle teste". Deo gratias. Una serie di coincidenze ci ha salvato la vita. Il resto non conta. Il resto si rifarà. Sono indeciso ora. Andiamo in ospedale a L'Aquila, dove troverò certamente il caos dei feriti ammassati, o direttamente fuori. Ma chissà cosa ha combinato il terremoto da quelle parti? Chissà le strade? Pensieri contorti che trovano soluzione presto: "Portami in ospedale a L'Aquila. Sto per svenire dal dolore". Sono quasi le otto. Passiamo per una circonvallazione fuori città evitando scientemente il centro con l'auto, e ai nostri occhi si offre anche qui lo scenario di guerra che immaginavamo. Arriviamo e troviamo un'apocalisse ben oltre le previsioni: l'accesso al pronto soccorso bloccato da un crollo e il magnifico costosissimo-ma-solido ospedale è provato, inginocchiato, macilento. Dico a mia moglie di andare direttamente nel mio reparto. Inutile intasare il Pronto Soccorso. E qui trovo gente che dalle 4 del mattino lavora indefessa e già sconvolta dai primi orrori. Riesco a essere studiato. Sento l'affetto di chi mi sta intorno. Sono su una barella, finalmente, con un toradol in vena, e il dolore si lenisce. Ho eseguito RM e TC mentre le scosse continuavano impetuose ed impietose. Ho una diagnosi di frattura vertebrale somatica di L2 e varie contusioni. Non ho notizie di mia madre, mio fratello, mia sorella, i nipoti: non ho potuto prendere il cellulare, sepolto dentro casa. Quanto siamo stati viziati dalla tecnologia! Col mio cellulare ho perso la rubrica telefonica e quindi tutti i contatti col mondo. In tarda mattinata l'ospedale è dichiarato inagibile ed evacuato. Mi cerco un ricovero altrove con la difficoltà di non conoscere più i numeri di telefono di nessuno e approdo in qualche ora al Policlinico Umberto I a Roma.

E' già tempo di leccarsi le ferite e proporre rapide soluzioni. E' vero. E' anche vero che se il dolore non deve alimentare né rendere faziosa la rabbia, non deve neanche occultare le legittime domande del caso. Non ho velleità polemiche, e la gratitudine a tutti coloro che si sono adoperati per la mia città è infinita. Non posso, nel nome di quei morti, tacere, però, in merito alla disorganizzazione preventiva e all'informazione fuorviante. Da quasi 4 mesi erano state registrate quasi 200 scosse con epicentro a L'Aquila e dintorni. Non poteva essere un evento che rientra nei limiti del normale, come si è sentito dire. Nelle ultime settimane erano incrementate di numero ed intensità. Eppure le voci ufficiali erano rassicuranti. "Non creiamo allarmismi". Ma perché essere preoccupati di dare un allarme consapevole? Noi medici siamo obbligati da anni al consenso informato. Quando io intervengo su un aneurisma cerebrale sono COSTRETTO giustamente a dire e quantificare il rischio percentuale di mortalità. E i Pazienti lo accettano. Non fanno gesti inconsulti.

Questo è il mio principale rammarico. Nessuno ha offerto istruzioni calme, rassicuranti, civili, informate. La mia piccola storia assieme alle centinaia di storie di amici, mi ha insegnato che se avessi avuto una torcia elettrica sul comodino non mi sarei fratturato la colonna vertebrale, se avessi avuto un cellulare a portata di mano avrei chiesto aiuto per me e per il palazzo accanto, se molti avessero parcheggiato almeno un'auto fuori dal garage ora l'avrebbero a disposizione, se in quell'auto avessero (e io avessi) messo una borsa con una tuta, uno spazzolino da denti e una bottiglia d'acqua, si sarebbero tollerati meglio i disagi. Se si fosse tenuta una bottiglia d'acqua sul comodino, se si fosse evitato di chiudere a chiave i portoni di casa, se si fosse detto di studiare una strategia di fuga.... Pensate a chi è rimasto incarcerato per ore senza poter comunicare con l'esterno perché aveva il cellulare in un'altra stanza, o perché non trovava al buio le chiavi di casa, come le ragazze di un palazzo a fianco a me già semi sventrato: 6 ore sotto un letto, con la terra che continuava a tremare, perché la porta era chiusa a chiave, senza una torcia elettrica e senza cellulare per chiedere aiuto! E inoltre, se invece di una decina di vigili del fuoco in servizio ci fosse stata una maggiore disponibilità di forze con mezzi già sul posto, piuttosto che aspettarli da altrove, quegli eroi del quotidiano che sono i nostri vigili del fuoco e i volontari della Protezione Civile avrebbero potuto lavorare in condizioni migliori. Piccole cose. A costo irrisorio. Spero che i nostri figli possano fare affidamento su una società più civile".

* L'autore è professore e direttore Uoc di Neuroradiologia Università-Asl dell'Aquila
articolo originale http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/sisma-aquila-5/sisma-lettera/sisma-lettera.html

domenica 12 aprile 2009

Il blog di Anna dall'Aquila

Il Blog di Anna alias Miss Kappa, dolcissima agguerrita e coraggiosa aquilana.

sabato 11 aprile 2009

L'Aquila non c'è più

dal Giornalismo partecipativo
http://www.gennarocarotenuto.it/7001-scrive-anna-laquila-non-c-pi/#more-7001

Ci sarà mai giustizia per i passeggeri della Moby Prince?

10 aprile 1991.Il traghetto passeggeri Moby Prince diretto a Olbia dal porto di Livorno si schianta contro la petroliera Agip Abruzzo appena fuori dal porto. Perdono la vita 140 passeggeri. Dopo quasi vent'anni le cause della collisione, e il ritardo nei soccorsi non hanno trovato una spiegazione soddisfacente.
I familiari delle vittime hanno costituito l'associazione 10 aprile , e chiedono da quasi vent' anni verità e giustizia.
Per approfondire, e testimoniare solidarietà http://www.mobyprince.it/

mercoledì 8 aprile 2009

Economia sostenibile e design

Una bella riflessione di Gianluca Bifolchi dal suo blog

martedì 7 aprile 2009

Il bombardamento de L'Aquila

M. Bucciantini e R. Rossi
Unità

Il bombardamento dell’Aquila è stato preparato con cura da Madre Natura. Con duecento colpi di cannone, da dicembre fino all’affondo mortale, domenica notte, alle 3 e 32 e per venticinque secondi: 6.3 gradi della scala Ricther (8/9 di quella Mercalli). Imprevedibile, si dice dei terremoti. Tragedie troppo enormi sulle nostre coscienze per lasciare anche colpevoli. Spesso le frasi fatte sono un rifugio, un alibi: qualcuno l’aveva detto, e non era solo il sismologo che girava con il suo megafono, inascoltato e deriso. Madre Natura aveva sussurrato piano e urlato forte: duecento scosse in tre mesi e mezzo, dunque. In questi paesi non si parlava d’altro.

Le locandine sopravvissute - quelle dei giornali in edicola domenica – scrivono le preoccupazioni per il brontolare perpetuo della terra. Duecento scosse e nemmeno un breve servizio nei telegiornali nazionali. I grandi media hanno ignorato questo pezzo d’Italia silenzioso, questo popolo oscuro e colpevole di saper soffrire più di quanto merita.Una settimana di allarmiI ragazzi avevano telefonato otto giorni fa, spaventati dall’aria che tremava. Erano in 140 nella casa dello studente e dopo quell’avvertimento - «si sentivano scricchiolare i muri» - più della metà aveva deciso di rientrare dai genitori, anticipando le vacanze pasquali. Chi era rimasto, aveva preso un’agghiacciante abitudine: «Ci incontravamo in piazza del Duomo, senza darci appuntamento: ogni scossa, fuggivamo dalle stanze per trovarci là». Giulia Yakihchuk, «ucraina ormai abruzzese», racconta le sere in piazza a far passare la paura. Telefonando ai vigili del fuoco, cercando informazioni e qualcuno che spiegasse quest’inverno inquieto. «Non ci hanno mai risposto». Esperti, ragazzi, Madre Natura, giornali locali: ecco chi aveva avvisato. Poi la terra è diventata infame e feroce, 150 morti per adesso - chissà quanti altri – e i feriti dieci volte tanto, e 100 mila sfollati. «La più grande tragedia di questo millennio», fa Bertolaso, ancora una volta l’uomo dell’emergenza.

In questo rimediare, si può essere fieri: lo spendersi di forze dell’ordine, volontari, gente comune è enorme e commovente. L’Italia che reagisce è sempre alta, nobile, «concorde» come la vuole oggi Berlusconi. PolemichePoi, quando le strade saranno lavate, si dovranno ascoltare i pompieri come Sante, in servizio da diciotto anni, venuto con la squadra di Roma: «Ma che cemento è? Che cemento di merda è?» e indica le crepe sulle fiancate della Casa dello studente. Il luogo simbolico della tragedia, del paese che divora i suoi figli. La provincia dell’Aquila è classificata al massimo grado di allerta per il pericolo sismico. E si raggiunge da poche e non semplici strade. Montagne e valli da presenziare costantemente. Invece tocca raccattare bare e tende e per metà giornata i morti restano stesi in fila nel campo della disgraziata Onna. Ma adesso tocca a loro, a Maurizio, un quarantenne veneto di Valdobbiadene. Lavora con gli elicotteri del 118. Un alpinista scavato in viso. Sta salendo verso piazza Duomo. Alle otto di mattina ha già tirato fuori cinque persone dalla macerie. Tutte vive tranne l’ultima: una bambina di 10 anni. «Per quattro ore ho scavato a mani nude - dice - tra le i detriti di un palazzo in via XX settembre». Ne sono crollati tre. «I vigili del fuoco sono arrivati dopo un ora e mezza. Erano in quattro, non avevano un piccone, una scala, luci di emergenza. Non erano preparati».

Nonostante le continue denunce. Annarita Tartaglia, insegnante, aveva scritto pochi giorni fa: «Il Convitto nazionale di corso Principe Umberto non è sicuro. L’avevo fatto presente al comune». La struttura adesso è sventrata. Alcuni studenti sono riusciti a uscire in tempo. Altri sono rimasti feriti senza che nessuno li soccorresse. Sono arrivati prima alcuni genitori da Pescara che le ambulanze dall’ospedale. Forse perché anche quello non c’è più. Era stato costruito nel 2002. Con quanto e quale cemento lo stabilirà la magistratura: si è sgretolato come fosse sabbia. Come l’Hotel Duca d’Abruzzo, poco distante dal centro. Si è accartocciato su se stesso. Come i paesi intorno alla città. Da lontano l’Aquila sembra una città in guerra, fumante e colpita al cuore, vinta, i muri bacati, e poi sventrati su su fino alla cupola abbattuta della vecchia chiesa. Le strade segnate: I volti persi di chi lotta a mani nude contro le bombe: «Sto scavando, sotto c’è mia madre». E sopra di lei almeno dieci metri di detriti. Sulla casa dei ragazzi ci sono gli occhi fissi di Luigi Alfonsi, 23 anni, che guarda quel cemento “armato” , e lo guarda ancora, crepato, “disarmato”, e quei fili di ferro piegati come fossero giunchi, e promette, lui che studia Ingegneria civile, che è ancora vivo e ha gli occhi piccoli e verdi arrossiti dalla polvere e bruciati dal pianto: «Una casa così non la farò mai, credetemi». Dobbiamo crederci.

http://www.unita.it/news/83760/il_bombardamento_de_laquila

Il made in Italy della terra

di Carlo Petrini
Repubblica

L'ITALIA agricola è un "Paese per vecchi". Abbiamo un contadino giovane, sotto i 35 anni, ogni 12,5 agricoltori con più di 65 anni. Niente di paragonabile a Francia e Germania dove lo stesso rapporto scende rispettivamente a 1,5 e 0,8. Verrebbe quasi spontaneo lanciare un appello ai giovani: "Uscite dai call center, andate nei campi!". Fatevi il favore di un lavoro meno precario, più creativo, più gratificante, dove siete i padroni di voi stessi, per ritrovare un sano rapporto con il mondo. Bisognerebbe pensare e parlare non solo di crisi dell'agricoltura, ma di agricoltura come una delle possibili vie d'uscita dalla crisi. La formula purtroppo però non è così scontata, perché evidentemente in Italia tornare alla terra o continuare il lavoro di padri agricoltori non è facile: il Paese, preso dall'ansia di rilanciare i consumi, l'industria e l'edilizia, un'opzione del genere neanche se la immagina. O se la immagina male.

I commenti di alcuni politici, in questo periodo, ricordano la vecchia pubblicità di un'azienda di pennelli. L'ingenuo manovale diceva: "Per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande" e quasi stramazzava sotto il peso di un arnese così gigantesco da non essere funzionale. È la logica che guida quanti oggi si precipitano a spiegare che la crisi è "globale" e tali devono essere le soluzioni: grande scala, impatto internazionale, industria, potenziamento dell'export... Al contrario, si arriva addirittura a dileggiare le soluzioni che individuano percorsi locali, cicli brevi, potenziamento delle filiere corte, delle reti e delle economie locali: soluzioni leggere, rapide, partecipate ed immediatamente efficaci. In questo modo ci si dimentica che le nostre campagne si stanno spopolando come non mai e nemmeno si aiutano i giovani con i giusti incentivi o lo snellimento di pratiche burocratiche sempre più vessatorie.

L'agricoltura in Italia determina la formazione del 15% del Pil relativo all'agroalimentare, dà lavoro al 4% della popolazione occupata. Gli addetti sono in costante calo: 901mila nel 2008, 924mila del 2007 e 982mila nel 2006. I giovani sono il 2,9% del totale, anche qui, di lunga molti meno che in Francia e Germania (7,5% circa in entrambi i Paesi).

Sono dati che dovrebbero calamitare l'attenzione non solo di chi governa, ma in generale di chi vuole comprendere e analizzare le pieghe dell'attuale crisi e, allontanandosi dagli slogan, provare a capire come sta funzionando il Paese in questo periodo, come si stanno comportando le persone, le aziende, i consumi, le vite reali. Invece un malinteso senso della modernità e del business porta ormai molti politici ad allontanarsi sempre più dalla considerazione dei territori e delle loro peculiarità ed esigenze, per riferirsi esclusivamente ai mercati per lo meno nazionali, ma preferibilmente internazionali. Il che significa filiere lunghissime, trasporti, monocolture, grande distribuzione, necessità di input chimici per le coltivazioni, apertura agli Ogm. Significa, sostanzialmente, ulteriore industrializzazione del modello agricolo: grandi quantità, uniformità, concentrazione e priorità alle esigenze di chi vende piuttosto che a quelle di chi coltiva e consuma. La parola magica è "competitività", e quindi "export", ovviamente riferito al "made in Italy". Propongo di guardarlo in faccia il "made in Italy" del cibo, e di guardargli anche le mani, le scarpe, le rughe, le aziende.

Guardiamo anche gli estimatori del made in Italy. Non ci sono solo quelli che lo apprezzano da casa, acquistando i prodotti italiani o che presumono essere tali. Ci sono anche, e sono tanti, quelli che vengono in Italia non per ammirare le autostrade, le ferrovie, i porti grazie ai quali esportiamo il made in Italy, ma per sentirsi accolti da una cultura legata a prodotti, sapienze e gesti che hanno dato vita a paesaggi, comunità e solide economie. Vengono per stupirsi, ogni volta, della straordinaria varietà che il nostro mondo rurale e gastronomico può offrire. Possibile che tutto questo non conti niente? Possibile che tra i tanti incentivi e appoggi finanziari, o per lo meno facilitazioni, non ce ne possano essere anche per chi è attirato da questo mestiere, certo faticosissimo, ma di grande futuro? Invece no, si dice che il settore non è competitivo, che le nostre aziende, sempre più vecchie, sono troppo frammentate, che ci vorrebbe maggiore concentrazione: più agricoltura industriale di grande scala, meno persone nelle campagne. E poi si porta ad esempio, per esaltare il made in Italy, il settore del vino. Ma è proprio sulla frammentazione, sulla diversità dei territori e di tante piccole aziende creative e innovative, tutte concentrate sulla più alta qualità, che il vino italiano ha costruito i suoi successi.

La stessa cosa dovrebbe avvenire, essere promossa e finanziata, per tutti gli altri settori agricoli, per tutte le produzioni che possono fare della diversità e del radicamento sul territorio il loro punto di forza: ciò che non a caso ha reso fino ad oggi grande la nostra agricoltura e la nostra gastronomia, ciò che ha generato quell'appeal che si chiama anche "made in Italy". Non è solo sulle esportazioni che bisogna puntare: è sulla capacità dei nostri territori rurali di essere al servizio del Paese, a condizione che anche il Paese si metta al loro servizio. Disoccupazione? Il Ministro dell'agricoltura giapponese ha finanziato per 800 persone che hanno perso il lavoro uno stage di 10 giorni per imparare a produrre e vendere ortaggi e frutta. Dopo il corso formativo i disoccupati lavoreranno per un anno in villaggi agricoli. Dall'altra parte del Pacifico, il dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti ha annunciato l'apertura di circa 300mila nuove aziende agricole negli ultimi anni. Una tendenza favorita dal programma per l'agricoltura definito dal nuovo presidente degli Stati Uniti: incoraggiare tramite detassazioni e finanziamenti agevolati i giovani a diventare agricoltori, incentivare l'agricoltura locale, sostenibile e biologica, promuovere le energie rinnovabili, assicurare la copertura della banda larga nelle aree rurali, migliorare le infrastrutture nelle campagne ed estendere l'obbligo di indicare l'origine degli alimenti in etichetta per consentire di distinguere il proprio prodotto da quello importato.

Noi invece vogliamo più cemento, più villette, più aziende agricole concentrate nelle mani di imprenditori sempre più vecchi, che rifiutano addirittura di farsi chiamare "contadini" e che diventano campioni di un sempre più anonimo export. Se dal 4% di occupati in agricoltura si provasse a passare anche solo al 5% o al 6%, come cambierebbe questo paese? Perché nessuno scommette sul settore, perché non si potenziano i mille rivoli di economia e produzione virtuosa che l'agricoltura di piccola e media scala consente?

L'agricoltura italiana di qualità non può, non deve e soprattutto non vuole diventare "un paese per vecchi": occorre dare valore all'entusiasmo che oggi tanti giovani potrebbero mostrare per l'attività, considerando seriamente il comparto come uno dei più sani e potenti mezzi per reagire alla crisi. Anche così il made in Italy eviterà di diventare un'etichetta inutile e vuota, e sarà sempre meno facile imitarlo.

link originale http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/economia/tesoro-nei-campi/tesoro-nei-campi/tesoro-nei-campi.html

giovedì 26 marzo 2009

La bozza di Disegno di Legge del senatore Franco Orsi: una lista di vergogne senza fine

Il Disegno di legge del senatore Franco Orsi: una lista di orrori senza fine.
Dal Senato della Repubblica parte in questi giorni uno dei più gravi attacchi alla Natura, agli animali selvatici, ai parchi, alla nostra stessa sicurezza: un disegno di legge di totale liberalizzazione della caccia. E’ firmato dal senatore Franco Orsi.
Animali usati come zimbelli, caccia nei parchi, riduzione delle aree protette, abbattimenti di orsi, lupi, cani e gatti vaganti e tante altre nefandezze.
La legge 157/1992, l’unica legge che tutela direttamente la fauna selvatica nel nostro Paese, sta per essere fatta a pezzi.
Fermiamoli!!!
Ecco la lista degli orrori.
Sparisce l’interesse della comunità nazionale e internazionale per la tutela della fauna.L’Italia ha un patrimonio indisponibile, che è quello degli animali selvatici, alla cui tutela non è più interessato!
Scompare la definizione di specie superprotette.Animali come il Lupo, l’Orso, le aquile, i fenicotteri, i cigni, le cicogne e tanti altri, in Italia non godranno più delle particolari protezioni previste dalla normativa comunitaria e internazionale.
Si apre la caccia lungo le rotte di migrazione.Un fatto che arrecherà grande disturbo e incentiverà il bracconaggio, in aree molto importanti per il delicatissimo viaggio e la sosta degli uccelli migratori.
Totale liberalizzazione dei richiami vivi!Sapete cosa sono i richiami vivi? Gli uccelli tenuti “prigionieri” in piccolissime gabbie per attirarne altri. Già oggi questa pessima pratica è consentita, seppure con limitazioni. Ma il senatore Orsi vuole liberalizzarla totalmente
Sarà possibile detenerne e utilizzarne un numero illimitato.Spariranno gli anelli di riconoscimento per i richiami vivi. Sarà sufficiente un certificato. Uno per tutti!!!Tutte le specie di uccelli, cacciabili o non cacciabili, potranno essere usate come richiami vivi. Anche le peppole, i fringuelli, i pettirossi…
700 mila imbalsamatoriI cacciatori diventeranno automaticamente tassidermisti, senza dover rispettare alcuna procedura. Animali uccisi e imbalsamati senza regole. Quanti bracconieri entreranno in azione per catturare illegalmente animali selvatici e imbalsamarli?
Mortificata la ricerca scientificaL’Autorità scientifica di riferimento per lo Stato (l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, oggi ISPRA) rischia di essere completamente sostituta da istituti regionali.Gli istituti regionali rilasceranno pareri su materie di rilevanza nazionale e comunitaria.Potenziale impossibilità di effettuare studi, ricerche e individuazione di standard uniformi sul territorio nazionale.
Si apre la caccia nei parchi a specie non cacciabili.Un’incredibile formulazione del Testo Orsi rende possibile la caccia in deroga (cioè la caccia alle specie non cacciabili) addirittura nei Parchi e nelle altre aree protette!
Saranno punite le regioni che proteggono oltre il 30% del territorio regionale!Norma offensiva! Chi protegge “troppa” natura sarà punito. Come se creare parchi dove la gente e gli animali possano vivere e muoversi sereni, fosse un reato!
Licenza di caccia a 16 anni.Invece che educare i ragazzi al rispetto, ecco a voi i fucili!
Liberalizzato lo sterminio di lupi, orsi, cervi, cani e gatti vaganti eccetera!Un articolo incredibile, che dà a i sindaci poteri di autorizzare interventi di abbattimenti e eradicazione degli animali, in barba alle più elementari norme europee. Basterà che un singolo animale “dia fastidio”.Un vero e proprio Far West naturalistico.
Leggi regionali per cacciare specie non cacciabili.Non sono bastate quattro procedure di infrazione dell’Unione europea, non sono bastate due sentenze della Corte Costituzionale. Il senatore Orsi regalerà a Veneto e Lombardia, ovvero agli ultrà della caccia, la possibilità di continuare a cacciare specie non cacciabili, e di farlo con leggi regionali. E le multe europee le pagheremo noi!
Caccia con neve e ghiaccio.ìSi potrà cacciare anche in presenza di neve e ghiaccio, cioè in momenti di grandi difficoltà per gli animali a reperire cibo, rifugio, calore.
Ritorno all’utilizzo degli uccelli come zimbelli!Puro medioevo! Le civette legate per zampe e ali e utilizzate come esca!
Ridotta la vigilanza venatoria.Le guardie ecologiche e zoofile non potranno più svolgere vigilanza! Nel Paese con il tasso di bracconaggio tra i più alti d’Europa, cosa fa il Senatore Orsi? Riduce la vigilanza!
Cancellato l’Ente Nazionale Protezione Animali dal Comitato tecnico nazionale.Le associazioni ambientaliste presenti nel Comitato sulla 157 saranno ridotte da quattro a tre. L’ENPA, storica associazione animalista italiana, viene del tutto estromessa.
E altro, tanto altro ancora.
Fermiamoli!!!
Evitiamo che l’Italia precipiti in questa forma di barbarie. La natura è la nostra vita.
Fermiamoli!!!
La lista degli orrori della bozza di legge Orsi sulla caccia
Firma la petizione per stoppare questo scempio! IL LINK:http://www.baseverde.org/petizioni/petizione-bozza-legge-orsi-caccia/

giovedì 12 marzo 2009

Brunu Vespu e Pigu Battistu

di Marco Travaglio

Per due sere di fila, Porta a Porta ha processato i due rumeni che non hanno commesso lo stupro della Caffarella. Appena usciti dal tribunale, avvocati e poliziotti si trasferivano al TeleRiesame per proseguire il dibattito, anzi il dibattimento, spiattellando verbali a favore di telecamera. Vespa trasmetteva il filmato della confessione (poi ritrattata) del “biondino” e domandava perché mai uno dovrebbe accusarsi di un reato che non ha commesso. Poteva chiederlo a David Mills, ma lui non si occupa di queste inezie. Già, che accadrebbe se circolasse il video-interrogatorio di Mills (18-7-2004) e qualcuno lo trasmettesse, come ha fatto Vespa con quello di Alexandru Loyos (18-2-2009)? Saremmo sommersi di strilli contro la gogna mediatica, la violazione della privacy e del segreto (che su atti depositati non esiste). Invece, trattandosi di rumeni, silenzio di tomba: l’insetto ha detto che il video “è stato messo a disposizione nostra e degli altri organi d’informazione”, senz’aggiungere che la legge-bavaglio Al Fano, da lui più volte applaudita, gli avrebbe vietato non solo di mostrarlo, ma anche di parlarne. Pena la galera. Per fortuna, a denunciare la l’”ossessione forcaiola”, la “ghigliottina mediatica” che fabbrica “mostri in effige” (sic), rammentando la sacra “presunzione d’innocenza”,ha provveduto Pigi Battista in un vibrante fondo sul Corriere. Anzi no, mi dicono che queste parole Battista le ha scritte per Mastella, Del Turco, D’Alfonso e Margiotta, peraltro mai scagionati. Per Mastellu, Del Turcu, D’Alfonsu e Margiottu, c’è tempo.

da l'Unita
12/03/09

In Irlanda

di Alessandro Cisilin –

da «Galatea European Magazine» di aprile

Chissà se qualche prezzolato autore degli astrusi modelli econometrici, che hanno spiegato per decenni come la compressione dell'offerta monetaria e dei salari a andasse infine magicamente a vantaggio dei lavoratori stessi, ora sarà capace di fare uno più uno. Chissà quando si esauriranno le descrizioni della crisi come una furia cieca mentre invece ci vede benissimo.

Chissà se si prenderà coscienza in tempo che la recessione sta colpendo soprattutto i paesi che hanno demolito di più le garanzie salariali e di welfare, a cominciare da Stati Uniti, Islanda, Est europeo e isole britanniche, con menzione particolare per la celebratissima “tigre celtica”. I ceti popolari irlandesi se ne sono accorti, e alle ultime misure “anti-crisi” hanno risposto invadendo le piazze con numeri sconosciuti nel paese da almeno trent’anni.Erano centocinquantamila a sfilare per le strade di Dublino lo scorso 21 febbraio, su iniziativa dell’Irish Congress of Trade Unions, la prima di una catena di mobilitazioni che sta mettendo in serio imbarazzo il governo di Brian Cowen, inducendolo a ripetuti appelli all’opposizione a unirsi in un esecutivo di unità nazionale. Obiettivo, mettere al riparo dalle agitazioni i suoi “Soldati del Destino”, come si traduce dal gaelico il Fianna Fàil, fondato quasi un secolo fa su posizioni progressiste, poi schiacciatosi al centro per tenersi al governo lungo un lasso di circa mezzo secolo.

La protesta è esplosa alla notizia dell’ennesima “terapia d’urto” annunciata dal governo. L’urto consiste non in un’immissione di liquidità nell’economia reale o nelle tasche dei lavoratori, bensì all’opposto in un ulteriore, drastico taglio. Il taoiseach ha annunciato una decurtazione della spesa pubblica di almeno due miliardi entro quest’anno, addirittura quindici entro il 2010. Da reperire dove? Nelle tasche dei duecentosessantamila dipendenti pubblici e delle famiglie, naturalmente. Viene prospettata una riduzione dei sussidi per i figli più piccoli e un ribasso addirittura del sette per cento nelle retribuzioni, pari a una perdita media in busta paga stimata a quarantatre euro settimanali.«È un attacco di classe», accusa il sindacato, che nota come «all’un percento più ricco della popolazione non viene invece chiesto alcun sacrificio».

In effetti si tratta oggettivamente di un nuovo trasferimento di risorse da un ceto all’altro, considerando che negli stessi giorni in cui venivano formalizzati gli “inevitabili sacrifici salariali”, il governo concedeva aiuti da ben sette miliardi di dollari per rimpinguare le casse dell’Allied Irish e della Bank of Ireland, mentre i parlamentari godevano dell’ennesimo scatto nelle proprie indennità, cresciute negli ultimi quattro anni del sessantacinque per cento.Quella del taoiseach non è del resto solo una strategia di bilancio. È in gioco una politica economica, in fondo la stessa del cosiddetto boom dell’ultimo quindicennio: rendere competitive le esportazioni sacrificando gli stipendi. Con la crisi, nessuna virata, anzi si estremizza il concetto, a scapito anche dei dipendenti del settore privato.

Lo scorso settembre un tavolo con le parti sociali, poi abbandonato dai sindacati, ha praticamente azzerato la contrattazione collettiva, lasciando i lavoratori al ricatto aziendale del taglio in luogo del licenziamento, concetto aggravato dall’ipotesi, prospettata nelle scorse settimane dal governo, di una riduzione del salario minimo, fissato a poco più di otto euro.Con la politica dei tagli fiscali è salito negli anni scorsi non solo l’export e i capitali stranieri, ma anche la domanda interna, spiegano gli apologeti della Tigre Celtica. Vero, salvo che quell’ultima (moderata) crescita era spinta dalle carte di credito e dalle altre forme di indebitamento, non dagli stipendi reali, decurtati dai tagli paralleli ai servizi pubblici.

La crisi non è il risultato di una “finanza cattiva”, da distinguere dalla “buona”, ma dall’esplosione della povertà, di cui l’Irlanda del boom, tra gli elogi delle agenzie di rating, era leader europeo. «I ricchi non hanno condiviso la loro ricchezza, ora chiedono a noi di pagare la loro crisi», scandiscono per le strade di Dublino insegnanti, infermieri, poliziotti, spazzini, pompieri.