giovedì 12 marzo 2009

In Irlanda

di Alessandro Cisilin –

da «Galatea European Magazine» di aprile

Chissà se qualche prezzolato autore degli astrusi modelli econometrici, che hanno spiegato per decenni come la compressione dell'offerta monetaria e dei salari a andasse infine magicamente a vantaggio dei lavoratori stessi, ora sarà capace di fare uno più uno. Chissà quando si esauriranno le descrizioni della crisi come una furia cieca mentre invece ci vede benissimo.

Chissà se si prenderà coscienza in tempo che la recessione sta colpendo soprattutto i paesi che hanno demolito di più le garanzie salariali e di welfare, a cominciare da Stati Uniti, Islanda, Est europeo e isole britanniche, con menzione particolare per la celebratissima “tigre celtica”. I ceti popolari irlandesi se ne sono accorti, e alle ultime misure “anti-crisi” hanno risposto invadendo le piazze con numeri sconosciuti nel paese da almeno trent’anni.Erano centocinquantamila a sfilare per le strade di Dublino lo scorso 21 febbraio, su iniziativa dell’Irish Congress of Trade Unions, la prima di una catena di mobilitazioni che sta mettendo in serio imbarazzo il governo di Brian Cowen, inducendolo a ripetuti appelli all’opposizione a unirsi in un esecutivo di unità nazionale. Obiettivo, mettere al riparo dalle agitazioni i suoi “Soldati del Destino”, come si traduce dal gaelico il Fianna Fàil, fondato quasi un secolo fa su posizioni progressiste, poi schiacciatosi al centro per tenersi al governo lungo un lasso di circa mezzo secolo.

La protesta è esplosa alla notizia dell’ennesima “terapia d’urto” annunciata dal governo. L’urto consiste non in un’immissione di liquidità nell’economia reale o nelle tasche dei lavoratori, bensì all’opposto in un ulteriore, drastico taglio. Il taoiseach ha annunciato una decurtazione della spesa pubblica di almeno due miliardi entro quest’anno, addirittura quindici entro il 2010. Da reperire dove? Nelle tasche dei duecentosessantamila dipendenti pubblici e delle famiglie, naturalmente. Viene prospettata una riduzione dei sussidi per i figli più piccoli e un ribasso addirittura del sette per cento nelle retribuzioni, pari a una perdita media in busta paga stimata a quarantatre euro settimanali.«È un attacco di classe», accusa il sindacato, che nota come «all’un percento più ricco della popolazione non viene invece chiesto alcun sacrificio».

In effetti si tratta oggettivamente di un nuovo trasferimento di risorse da un ceto all’altro, considerando che negli stessi giorni in cui venivano formalizzati gli “inevitabili sacrifici salariali”, il governo concedeva aiuti da ben sette miliardi di dollari per rimpinguare le casse dell’Allied Irish e della Bank of Ireland, mentre i parlamentari godevano dell’ennesimo scatto nelle proprie indennità, cresciute negli ultimi quattro anni del sessantacinque per cento.Quella del taoiseach non è del resto solo una strategia di bilancio. È in gioco una politica economica, in fondo la stessa del cosiddetto boom dell’ultimo quindicennio: rendere competitive le esportazioni sacrificando gli stipendi. Con la crisi, nessuna virata, anzi si estremizza il concetto, a scapito anche dei dipendenti del settore privato.

Lo scorso settembre un tavolo con le parti sociali, poi abbandonato dai sindacati, ha praticamente azzerato la contrattazione collettiva, lasciando i lavoratori al ricatto aziendale del taglio in luogo del licenziamento, concetto aggravato dall’ipotesi, prospettata nelle scorse settimane dal governo, di una riduzione del salario minimo, fissato a poco più di otto euro.Con la politica dei tagli fiscali è salito negli anni scorsi non solo l’export e i capitali stranieri, ma anche la domanda interna, spiegano gli apologeti della Tigre Celtica. Vero, salvo che quell’ultima (moderata) crescita era spinta dalle carte di credito e dalle altre forme di indebitamento, non dagli stipendi reali, decurtati dai tagli paralleli ai servizi pubblici.

La crisi non è il risultato di una “finanza cattiva”, da distinguere dalla “buona”, ma dall’esplosione della povertà, di cui l’Irlanda del boom, tra gli elogi delle agenzie di rating, era leader europeo. «I ricchi non hanno condiviso la loro ricchezza, ora chiedono a noi di pagare la loro crisi», scandiscono per le strade di Dublino insegnanti, infermieri, poliziotti, spazzini, pompieri.