martedì 28 luglio 2009

Ow Feng Min

di Matteo Bordone
da Freddy Nietzsche

Comparso nei dintorni di Prato, in un giorno non meglio precisato dei primi anni Quaranta, Ow Feng Min è una delle figure più enigmatiche della storia recente e dell’immaginario popolare italiano. Di origine apparentemente cinese, Feng ha lavorato per alcuni anni come magazziniere in un piccolo negozio di ferramenta a Pistoia.

Taciturno e gran lavoratore, era conosciuto da tutti come “il Cinese”. Prima della fine del decennio lasciò il lavoro da un momento all’altro e scomparve. Secondo quanto ricostruito a posteriori dagli inquirenti, Feng passò i successivi trent’anni in una baita in legno sull’appennino tosco-emiliano. In questi anni incontrò in totale venticinque persone, che uccise con oggetti contundenti di vario genere e seppellì nei dintorni della baita. L’ultimo aggredito, un appassionato naturalista di Firenze di nome Italo Antichi, riuscì a colpirlo con il cavalletto della macchina fotografica, prima di fuggire, ferito, e chiamare aiuto.

Durante il processo (al termine del quale fu condannato al carcere a vita), Feng proferì solo la parole “Non sono molto socievole” prima delle sentenza. Da allora, quando qualcuno usa un’espressione del genere, si dice che parla “alla Ow Feng Min”, che ha usato un Ow-Feng-Min-smo, diventato poi, nel corso degli anni, per semplificazioni successive, un eufemismo.

Tra gli esempi celebri di eufemismi abbiamo “Dopo un po’ la verdura mi stufa” di Jean-Bédel Bokassa, “Non è piccolo” di Ilona Staller dopo il primo incontro con John Holmes, e “Non sono un santo” del Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana Silvio Berlusconi.

http://www.freddynietzsche.com/2009/07/23/ow-feng-min/

martedì 7 luglio 2009

Timeo Danone et dona ferentes

Adriano Cattaneo
Salute internazionale

I due attuali giganti dell’industria degli alimenti per l’infanzia, Danone e Nestlè, si combattono a colpi di “health and nutritional claims” e di indecorose alleanze con operatori sanitari e rispettive associazioni per accaparrarsi fette di mercato. Ma le prospettive nei paesi ad alto reddito, dove nascono pochi bambini, non sono rosee. Naturale che si buttino sui mercati emergenti e popolosi dell’Asia, con strategie di marketing aggressive che contribuiscono a deprivare le donne del più antico dei beni comuni: il latte materno. Siamo corresponsabili di questa espropriazione?
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