martedì 26 febbraio 2008

Prendiamo esempio dall'Iran

Troppe laureate, l'Iran vara le quote azzurre

di VANNA VANNUCCINI

da Repubblica

LE RAGAZZE sono il motore del cambiamento sociale in Iran, dice Shirin Ebadi, primo premio Nobel per la pace del mondo islamico che è diventata il simbolo del movimento femminista iraniano. Soprattutto dopo che il disincanto per la politica e le repressioni hanno disgregato il movimento studentesco, la lotta delle donne per la parità dei diritti è rimasta il segno più tangibile della resistenza al regime dei mullah.

Nemmeno il presidente Ahmadinejad è riuscito a rimandare le donne al focolare. Ci sono donne a Teheran che dirigono ospedali e giornali, che lavorano come ingegneri dei cantieri di costruzione, che sono a capo dei reparti femminili della polizia. Nonostante i giri di vite recenti sui codici di vestiario, le ragazze continuano a testare i limiti della libertà con giacchine sempre più corte, pantaloni sempre più stretti e foulard sempre più colorati. Un terzo delle studentesse va alle lezioni senza chador, indossando un semplice foulard, pur sapendo che il giorno che troveranno un impiego pubblico il chador sarà obbligatorio. Soprattutto, il numero delle ragazze nelle università iraniane è salito continuamente negli ultimi anni.

Ventinove anni dopo la rivoluzione islamica le ragazze sono il 65 per cento degli studenti universitari. E ai temuti Konkur per l'ammissione alle università (tutte a numero chiuso) le ragazze sono ogni anno più del 60 per cento e i ragazzi meno del 40 per cento degli ammessi. Ce n'era abbastanza per allarmare il regime, che oggi ha deciso di fissare delle quote azzurre, in modo da assicurare la presenza di più maschi negli atenei.

Nei giorni scorsi una commissione parlamentare aveva presentato un rapporto in cui esprimeva la preoccupazione che il numero crescente di studentesse avrebbero creato nei prossimi anni un problema sul mercato del lavoro, che non può assorbire secondo la commissione un numero così grande di donne. Molti deputati conservatori che vorrebbero la divisione per sesso tra i medici (le donne medico a loro avviso dovrebbero riservare le loro prestazioni alle pazienti femmine) hanno visto un nuovo pericolo nella crescita delle donne medico. Lo stesso per quanto riguarda farmacisti e dentisti, tra i quali i laureati sono già al 60 per cento donne.

Paradossalmente, proprio l'obbligo del chador e della divisione tra sessi ha funzionato da lasciapassare per molte figlie di famiglie tradizionali e religiose, alle quali le famiglie non permettevano prima di uscire di casa per frequentare l'università e per lavorare in luoghi pubblici. Secondo le statistiche del ministero per l'istruzione universitaria le donne erano il 37 per cento nel 1997, l'anno in cui fu eletto il presidente riformatore Khatami. È a lui che si deve l'inizio della liberalizzazione. Il governo Khatami decise di reinstaurare le donne nella carriera di giuriste (nel solo campo del diritto di famiglia), che dopo la rivoluzione era stata loro preclusa. Oggi ce ne sono un centinaio. Le studentesse ebbero il permesso di andare a studiare all'estero - fino ad allora un diritto riservato a quelle sposate.

Un parco riservato alle donne è stato aperto a Teheran dove le ragazze possono praticare tutti gli sport senza l'obbligo del chador. Le donne hanno avuto il permesso di lavorare come tassiste (in taxi riservati alle clienti di genere femminile). Le esigenze della vita moderna provocano in Iran contrapposizioni continue con le strutture patriarcali e le norme islamiche. Uno dei paradossi iraniani è infatti che un forte senso della tradizione si accompagna a una altrettanto forte fede nel progresso, nella scienza e nel sapere, che è condivisa da tutti i gruppi politici. Il disprezzo dei taliban afgani per il progresso è sconosciuto ai mullah.

Le nuove regole, che entreranno in vigore per il prossimo esame di ammissione in estate, prevedono che in ogni facoltà ci sarà una quota rosa e una quota azzurra del 30 per cento ciascuna. Solo il resto dei posti, cioè il 40 per cento, sarà lasciato alla libera competizione.

"La legge garantisce in questo modo i maschi nelle facoltà dove le ragazze sono più numerose, come le scienze naturali, ma favorisce anche le donne là dove ce ne sono di meno, come le facoltà d'ingegneria e di scienze umane" ha detto il capo dell'Organizzazione dei konkur accademici cercando di relativizzare la portata della decisione.

lunedì 25 febbraio 2008

La storia di Giuseppe Casu

di Massimo Coraddu

Si chiamava Giuseppe Casu e faceva il venditore ambulante abusivo a Quartu S. Elena, un grosso comune nella cintura urbana di Cagliari. È l'ennesima vittima delle politiche "securtarie" tanto di moda tra le amministrazioni di ogni orientamento politico.La metafora della guerra torna di moda, anche per colpire quelli che di volta in volta vengono individuati come i nemici interni. Guerre agli "ambulanti", ai "clandestini", ai "drogati", agli "imbrattatori", e via discorrendo. Che si tratti poi di guerre reali, e non metaforiche, condotte con lo spirito e i metodi della guerra, ce lo dicono le vittime che queste piccole guerre interne disseminano nelle nostre strade.

Giuseppe Casu è una vittima della "guerra agli ambulanti abusivi" proclamata dagli amministratori del suo comune per il ripristino della legalità.

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venerdì 22 febbraio 2008

Cara Delfina

di Maurizio Pallante
da Decrescita Felice

Cara Delfina,
qui stanno ascendo tutti pazzi. Ha cominciato il governatore della Banca d’Italia dicendo che le retribuzioni dei lavoratori dipendenti sono troppo basse. Mi sono stutato le recchie con le unghie dei mignoli che da quando non riesco più a comprare i cotton fioc lascio crescere come sciabolette. Non ci posso credere, ho detto. Il capo dei banchieri che parla come se fosse il capo dei sindacati!

Non mi ero ancora ripreso dallo sciòc che il capo di Confindustria e Fiat, all’unisono con l’amministratore delegato come le gemelle Kessler, te le ricordi?, hanno dichiarato che, senza aspettare la conclusione del contratto di lavoro, avrebbero messo di loro iniziativa 40 euro in più al mese nelle buste paga dei dipendenti. A quel punto i capi dei sindacati si sono giustamente incazzati. E che ci volete rubare il mestiere? Passi uno, ma in tre siete troppi e poi noi che ci stiamo a fare? Loro non sono come il trio Lescano, te lo ricordi? E non cantano in coro. Qui ha detto: non permettetevi di darci più soldi altrimenti rompiamo le trattative. Quo ha detto: cominciamo a incassare come anticipo quello che hanno deciso di darci e proseguiamo la trattativa. Qua ha detto qualcosa che non mi ricordo, ma diversa dagli altri due.

Questo, Delfina, è stato solo il principio. Uno che la sa lunga ha scritto: in principio era il verbo. Poi sono venute tutte le altre parti del discorso: nomi, aggettivi, pronomi. Un diluvio di parole. Pagine e pagine di giornale. Gli statistici hanno dimostrato che le retribuzioni sono restate ferme per sette anni mentre i prezzi aumentavano. I sociologi hanno scoperto che la povertà si sta diffondendo. I giornalisti hanno intervistato qualche famiglia operaia, con o senza figli, monoreddito e bireddito. Interi paginoni con tanto di fotografie. Delle facce, delle case, di cosa mettono a tavola quando si siedono a cena (il pranzo lo fanno ognuno in una mensa diversa). Di dove vanno a fare la spesa. Discaunt e tre per due. I soldi che finiscono alla terza settimana del mese. Tutti hanno cominciato a parlare della quarta settimana e di povertà dignitosa.

Il colpo di grazia ce l’ha dato la Spagna. Il giorno che tutte le prime pagine dei giornali hanno aperto con un titolo a 9 colonne: «il pil pro capite della Spagna ha superato quello dell’Italia», è come se si fossero aperte le cataratte del diluvio universale. Dai finestrini delle automobili che come ogni mattina intasavano tutte le strade (povertà motorizzata oltre che dignitosa) si vedevano facce affrante. Anche la Spagna ci ha superato, si leggeva negli occhi di tutti. La Spagna che è sempre stata dietro di noi. Beata te, Delfina, che dal tuo paese in Val Maira non potevi vedere la tristezza fluttuante tra i gas di scarico.

Lì discaunt e tre per due non li avete, perché la frutta e la verdura, il pane, il latte non dovete comprarli, i formaggi, le marmellate e i barattoli di verdura sottolio ve li fate in casa, l’automobile non la usate tutti i giorni per andare a lavorare in città a guadagnare i soldi necessari per comprare l’automobile. Tu non la cambi da 10 anni e non ti senti povera. Se le mutande che indossi non sono firmate sull’elastico non ti senti povera, tanto non ti senti obbligata a farle vedere per strada. In casa non stai in maniche corte, anzi mi ricordo che nel bucato messo a stendere c’erano magliette intime di lana. Ancora le magliette intime di lana hai! E forse anche i mutandoni, ma per delicatezza non ho verificato. Si può essere più arretrati di così? In casa hai ancora la cucina economica e le stufe a legna. Però gli aumenti del prezzo del petrolio non li senti tanto.

Vaglielo a spiegare ai sociologi e ai giornalisti che non dovendo comprare tutto, anche se hai un reddito monetario più basso della media italiana, che ahimé è diventato più basso della media spagnola, sei meno povera di chi con un reddito monetario più alto non solo è più povero di te perché deve comprare tutto, ma si sente povero se non riesce a comprare sempre di più. Perché, se non si compra sempre di più come si può produrre sempre di più? Come si può superare di nuovo la Spagna? Ma come si fa a comperare sempre di più se i redditi monetari sono rimasti fermi e i prezzi sono cresciuti? Se i redditi da lavoro dipendente sono troppo bassi, come dice il governatore della Banca d’Italia? Se Fiat-Confindustria non mette di sua iniziativa più soldi nelle busta paga dei dipendenti, facendo per di più bella figura? Forse non è vero, Delfina, che siano asciti tutti pazzi. C’è una logica in questa follia.
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giovedì 21 febbraio 2008

Corto Circuito

di Pino Corrias

Vanity Fair

Giuliano Ferrara ha tanto carattere da non andare mai in riserva. Ignora la gran parte del genere umano, ma ama indistintamente tutti gli embrioni che ne costituiscono l’ampia radice. Elogia la guerra a Oriente e a Sud del nostro Occidente. Non si lascia commuovere dalle vittime collaterali dei bombardamenti che di solito muoiono al centro dei bombardamenti. Ma è capace di singhiozzare in memoria delle blastocisti disperse. E’ contrario all’aborto. Ci farà una intera campagna elettorale, maneggiandolo in esclusiva come se il resto del mondo si divertisse a praticarlo.

Giuliano Ferrara ha un suo labirinto psicologico che un recente corto circuito ha reso materno verso i bambini non nati, pur mantenendolo indifferente a quelli veri e qualche volta addirittura ostile ai corpi delle donne adulte che contribuiscono più di lui a fabbricarli. E’ una ostilità che condivide con altri naufraghi del semplice volersi bene, amare, toccarsi, godere, fronteggiare il dolore della vita, talvolta procrearla, che sono altrettanti maschi adulti e illibati come il cardinale Tarcisio Bertone o sua Eminenza Camillo Ruini. I quali hanno saputo abituarsi allo scandalo della fame nel mondo, ma non al corpo nudo di una donna. Che di solito intravedono persino al cinema, magari intrecciato alla geometria non altrettanto impura di un corpo maschile che suda, come quello di Nanni Moretti, che arranca, che soffia, che si aggrappa, mentre risuonano tutte la campane dell’immaginazione, ai poveri capezzoli di Isabella Ferrari. Senza neppure supporre che sia proprio quella (anche in una circostanza così comica) la più promettente musica della vita. La quale chiede accoglienza e consapevolezza. E non il rigore chimico di una antica religione fondata sulla vendetta prima che sul perdono, tramandata nel sangue. Da maschi adatti a lapidare donne, innalzare primogeniti, vincere elezioni.

Articolo originale: http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/

domenica 17 febbraio 2008

Per chi ha tempo da perdere..

..un classico. Ma qui mai citato. Star Wars in caratteri ASCII, via Telnet.
Copia il link telnet://towel.blinkenlights.nl/ su start->esegui e goditi lo spettacolo (molto minimalista) dell'episodio IV tutto su finestra DOS.
Bei tempi.

giovedì 14 febbraio 2008

Parole sante

(...)non basta più, cari dirigenti del centro-sinistra, limitarsi a dire che la legge 194 non si tocca: essa è già nei fatti messa in discussione. Pretendiamo da voi una presa di posizione chiara e inequivocabile, che condanni senza mezzi termini tutti i tentativi – da qualunque pulpito provengano – di mettere a rischio l'autodeterminazione delle donne, faticosamente conquistata.(..) Qui a lato c'è il banner per la petizione LiberaDonna. Qui il link.

giovedì 7 febbraio 2008

Una modesta proposta per la cosa rossa (si chiama così?)


Vorrei, nel mio piccolo, proporre un candidato per la cosiddetta "cosa rossa". Una voce fuori dal coro, un vero outsider.
Lo riconoscete, nella foto a sinistra?
I maligni diranno che si tratta della mummia di Lenin.
E' vero.
Mi è sembrato l'uomo adatto. Non è di primissimo pelo, d'accordo, ma la vetustà di alcuni candidati l'ha fatto diventare competitivo. E poi ultimamente in Italia abbiamo ripescato anche la Carrà, Baudo e Mike Bongiorno. Non parliamo poi dei politici. Tra settantenni e ottuagenari una mummia vera farebbe la sua porca figura. In parlamento, poi, manterrebbe un certo aplomb evitando almeno di ingozzarsi di mortadella davanti alle telecamere. Durante le votazioni non farebbe mai mancare il suo prezioso voto.
Stimatissimo dalla sinistra tutta, verrebbe ospitato, a turno, in casa di alcuni esponenti di spicco, con un grande risparmio per i contribuenti e conseguente diminuzione della spesa pubblica. Un segnale mica male per la prossima campagna elettorale.
I maligni obietteranno:"ma è morto!".
Sbagliato.E' più vivo che mai. Più vivo di voi e dei vostri discorsi da Vespa.
Pensateci, professoroni del consenso. Quanti voti prendereste, in suo nome. E lui lì, al vostro fianco,autorevole, immoto, nel suo completo scuro un pò demodè. Silenzioso,meditativo. Sembra che dorma, ma è pronto a graffiare.
Può partecipare alle marce per la pace senza stancarsi, ed eventualmente assumere diverse posizioni, necessarie all'occorrenza:
- prona, in caso di provvedimento di legge non proprio di sinistra.
- seduta, in caso di incarico istituzionale.
ah, dimenticavo..
(ANSA) - ROMA, 3 FEB - 'Noi glielo chiediamo ufficialmente. Bertinotti e' l'uomo giusto per unire tutte le sensibilita' della sinistra'. Lo dice Oliviero Diliberto.(...)

Una vera novità, un segnale di cambiamento.Finalmente un volto nuovo.
Credo che il futuro della cosa rossa sarà pregno di soddisfazioni.

lunedì 4 febbraio 2008

Aborto, ma dove sono le donne Erode che descrivono i cattolici?

di Gennaro Carotenuto

Il documento delle cliniche di Ostetricia e Ginecologia delle quattro facoltà di Medicina delle università romane, La Sapienza, Tor Vergata, Cattolica e Campus Biomedico che prescrive, nel caso in cui un feto nasca vivo dopo un’interruzione di gravidanza, che il neonatologo debba intervenire per rianimarlo, “anche se la madre è contraria, perché prevale l’interesse del neonato” è del tutto pleonastico per almeno tre motivi.

In primo luogo è pleonastico perché sta parlando di pochissimi casi di scuola, estremi. L’aborto oltre i tre mesi viene affettuato solo per gravi malformazioni o per gravi rischi per la salute della madre. Ma dai tre ai cinque mesi, quando se ne concentrano la gran maggioranza, non c’è alcuna possibilità di sopravvivenza del feto. L’aborto oltre la ventunesima settimana di gravidanza riguarda di per sé un numero molto limitato di casi l’anno, e un numero limitatissimo di casi di sopravvivenza del feto che non è rappresentativo di alcun comportamento sociale.In secondo luogo il documento è pleonastico perché è del tutto evidente che se il feto sopravvive all’aborto viene a trovarsi in una condizione del tutto diversa il che rende più che scontato, anzi del tutto ovvio quello che prescrivono i ginecologi romani. Ovvero hanno del tutto ragione, ma con questo avere ragione non spostano di una virgola i termini del problema.

Le gravidanze delle quali parlano (è il terzo punto) non sono “gravidanze indesiderate”. Anzi, sono gravidanze desiderate ma a grave rischio alle quali si sottopongono per esempio molte primipare ultraquarantenni. Sono donne che desiderano il figlio e riscontrano malformazioni attraverso esami complessi come l’amniocentesi. La decisione dell’aborto è in questi casi sempre una scelta nella quale il parere del medico è decisivo.

Dove sono allora queste donne sulle quali indugia il documento? Dove sono le donne che sapendo che il feto è nato vivo pretendono che non venga rianimato? Dove sono queste donne Erode che di fronte ad un bambino nato vivo esigono espressamente di non rianimarlo?

Se esistono davvero se ne pubblichi la casistica. Ma semplicemente non esistono. Sono un parto della fervida e fervente fantasia della pubblicistica anti-194 che riesce a far giungere in prima pagina documenti che non aggiungono nulla come quello di oggi.

La donna-Erode è una parte fondamentale della pubblicistica anti-194. E quella donna che esprime “parere contrario” alla rianimazione dell’a quel punto neonato, calzerebbe a pennello -se esistesse- con l’immagine dell’infanticida voluta da Giuliano Ferrara e chi per lui. Ma quella donna non esiste.

Al contrario la pubblicistica cattolica nel tempo ha esaltato i casi di donne in odore di santità che hanno portato a termine gravidanze per lasciare poi uno o molti orfani nelle mani della divina provvidenza.

Se l’immagine dev’essere da una parte quella della donna-Erode che esige l’infanticidio e dall’altro della santa che preferisce morire pur di non abortire, è evidente che si è compiuta una scelta violenta. Una scelta dove non si vuole il dibattito ma uno scontro aspro che inquinerà -come se non lo fosse già abbastanza- tutta la campagna elettorale.

Articolo originale
http://www.gennarocarotenuto.it/1809-aborto-ma-dove-sono-le-donne-erode-che-descrivono-i-cattolici#more-1809

sabato 2 febbraio 2008

AZZ..era un lapsus!

La Bhutto annunciò la morte di Osama?
No, era un lapsus.Intendeva dire Daniel Pearl! Un mese prima parlava della caccia a Bin Laden.

trovate qui l'articolo.

E' incredibile che così "en passant" nessuno abbia chiesto alla Bhutto del suo lapsus, a partire dal suo intervistatore. Non è che il tempo per farlo sia mancato.Ora per fortuna sappiamo cosa intendeva dire .Come? Lo deduciamo..l'interessata non può più confermare o smentire.

Se la Bhutto parlava effettivamente di Pearl, il giornalista Frost poteva correggerla, farsi una bella risata, insomma reagire in qualche modo. Qualcuno dei media che hanno sentito l'intervista poteva sottolineare l'errore così, tanto per parlare. Una notizia inutile in più, cosa vi costa? Ci aggiornate tutti i giorni sul colore delle mutande di Britney Spears.
Invece nulla.
In ogni caso, il giornalismo dei grandi media fa una figura pessima.
Una domanda, un'osservazione acuta, ha imparato a non farla, se minimamente sospetta di pestare una cacca. Meglio parlare di cose inncocue, negare l'evidenza anche di una (presunta) stupidaggine come questa.

Meglio non rischiare lo scoop per una notizia che metterebbe il mondo sottosopra.

venerdì 1 febbraio 2008

I cittadini complici dei politici nel tracollo morale dell'Italia

Franco Cardini - Il Tempo

Nel 2006 il giornalista Magdi Allam stampò per Mondadori un fortunato pamphlet dal titolo "Io amo l'Italia". Ma gli italiani la amano? Se fossi bravo quanto lui, mi piacerebbe scriverne a mia volta uno, dal titolo "Io amerei l'Italia". Ma gli italiani debbono reimparare ad amarla.

Mi spiego meglio. Nel 1966, cioè oltre un quarantennio fa, laureato e sposato di fresco, vestii con gioia e orgoglio la divisa grigiazzurra dell'Aeronautica ornata del sottile gallone dorato di sottotenente sulle maniche. Avevo ventisei anni, e le foto nonché i miei ricordi e quelli di colei che all'epoca era la mia ragazza assicurano che ero piuttosto carino. Ma ero anche molto serio: e onoravo con fierezza e austerità il mio ruolo d'ufficiale. Ma conobbi una serie di frustrazioni quando capitai in un corso di ufficiali radaristi organizzato dalla Nato, quindi con colleghi che provenivano dall'America e da tutta Europa. E la cosa più triste era che le mie frustrazioni mi provenivano dagli elogi di cui ero oggetto. «Lei è inappuntabile», mi dicevano; «ha stile, è molto corretto e preciso», e via dicendo. Frasi che regolarmente terminavano con un «Ma sa che lei non sembra un ufficiale italiano?». E sì che ero italianissimo, bruno e con gli occhi castani. Quegli elogi, per giunta proferiti purtroppo con regolare iterazione e in perfetta buonafede, mi ferivano come staffilate. A volte ero tentato di rispondere con durezza: perché vi sentivo, sottinteso, il disprezzo per il mio paese e la mia gente.

Da allora è andata sempre peggio: e, siccome al peggio non c'è fondo, ho davvero paura per il futuro. Per il mio lavoro passo molto tempo all'estero, dove debbo dire che gli specialisti italiani (di qualunque cosa) sono amati e stimati. Ma regolarmente considerati ormai delle eccezioni. L'idea diffusa almeno in Europa, dall'Inghilterra alla Francia alla Germania alla stessa "sorella" Spagna, è che gli italiani sono poco onesti, poco puntuali, poco seri in politica e sul lavoro, superficiali, amanti solo dello sport e delle donne, per nulla dotato di senso civico. Se uno davanti a te, su un marciapiede, scarta un gelato e getta in terra la stagnola, subito si pensa che sia italiano. L'italiano parla a voce troppo alta, litiga per strada con il partner, non rispetta i segnali stradali, spintona e non sa stare correttamente in fila quando c'è da aspettare. Clichè, direte voi. Senza dubbio. ma posso assicurare che la mia esperienza fenomenologica conferma puntualmente questi luoghi comuni. Nelle Tv straniere, non si parla quasi mai dell'Italia. Ma quando ciò accade, a parte lo sport, si parla di mafia, o di malavita, o delle disfunzioni nei trasporti (soprattutto ferroviari).

A Parigi, dove per lavoro vado una quindicina di giorni ogni due o tre mesi, ho sentito nel metrò dei francesi dir cose di fuoco sulla sporcizia, l'insicurezza, i ritardi e i disagi dei treni italiani: e purtroppo descrivevano esattamente quel che anche a me accade di constatare di continuo. Tra Natale e Capodanno, la Tv francese mostrava ogni giorno la bella Napoli e la dolce Campania: ma entrambe sempre e soltanto affogate nei rifiuti. L'Italia sta diventando un paese in cui i prezzi sono alti come in Germania e i servizi funzionano come nel Burundi. La goccia che ha fatto traboccare il vaso e che davvero mi ha spinto quasi alla disperazione per la vergogna, è stata il dibattito parlamentare che ha salutato la caduta del governo Prodi.

Badate, il problema non è politico: la destra e la sinistra non c'entrano. Il fatto è che un paese civile non può tollerare di essere rappresentato, nel più alto consesso della vita politica nazionale, da parlamentari (strapagati, fra l'altro) che s'insultano come facchini, che si sputacchiano tra loro, che s'ingozzano pubblicamente di mortadella in spregio al premier sotto l'occhio delle telecamere, quelle straniere comprese.
Un tanghero che si dia a manifestazioni d'inciviltà di questo genere, che offendono e disonorano il Parlamento, offende e disonora anche la società civile che gli ha dato mandato di rappresentarla. In un paese civile, sarebbe quanto meno sospeso dalle sue funzioni. Una società civile degna di questo nome subisserebbe Tv e giornali di protesta finché il Parlamento non fosse liberato da una presenza indegna e indecorosa come quella.

Ma gli italiani, nulla. Se ne fregano, magari addirittura ci ridono sopra oppure applaudono. Dando, almeno in questo, perfettamente ragione a Romano Prodi, che qualche tempo fa ebbe testualmente ad affermare che il ceto politico del nostro paese non è peggiore della società civile che l'ha espresso. Parole sante, purtroppo. Un deputato spernacchiatore e sputazzatore è degnissimo rappresentante di una società civile che evade le tasse, non rispetta più le donne e gli anziani, disprezza e guasta le pubbliche proprietà, non riesce a organizzare la raccolta differenziata dei rifiuti, trasforma ogni domenica i campi di calcio in campi di battaglia o tollera che tali siano trasformate, accetta di continuare a vivere in un paese nel quale la scuola è distrutta e trionfano malavita e malasanità.

Recuperare dignità? Non credo sia possibile: a meno di gravissimi eventi, tutto continuerà a scivolare sempre più in basso e al progressivo degrado ci abitueremo esattamente come abbiamo fatto fino ad ora. Qualcuno sostiene che stiamo attraversando una tipica situazione prerivoluzionaria. Non è vero. Le rivoluzioni scoppiano quando vi sono gruppi o classi sociali che sotto il profilo strutturale sono di vitale importanza per la vita del paese mentre sotto quello istituzionale non vedono adeguatamente riconosciuta la loro presenza. Ma in Italia accade esattamente il contrario: non c'è ambiente, gruppo o lobby che, anche quando non condivide in nulla il potere, non sia in qualche modo colluso e compromesso con il suo cattivo esercizio.

Siamo un paese di bustarellatori e di bustarellati, di raccomandatori e di raccomandati, di gente che si adatta a tutto pur di ottenere qualunque vantaggio individuale. I politici sanno bene di potersi fidare di noi: qualunque cosa facciano, siamo loro compari, loro complici. E allora, che fare? Ai primi del secolo scorso il "maledetto toscano" Domenico Giuliotti augurava all'Italia - dove i mali di adesso ancora non c'erano, ma i loro segni incipienti già si profilavano all'orizzonte - un tiranno. Che in effetti venne, ma non riuscì a sistemare i vecchi guai e ne combinò di nuovi. Forte di questa esperienza, non augurerò al mio paese il trauma fortissimo e salutare che potrebbe farlo rinsavire.

Vorrei però tanto che ciascuno di noi decidesse che così non si può più andare avanti e da domani, pacatamente e serenamente, decidesse di cambiar vita: così, come qualcuno riesce a fare quando capisce ch'è sul serio arrivata l'ora di mettersi drasticamente a dieta. Sogno per il mio paese, e gli auguro, una collettiva sferzata di amor proprio, di rispetto per se stessi e per gli altri, di senso della cosa pubblica, di assunzione di responsabilità: da subito. Smetter di evadere le tasse, di sporcare per terra, di accapigliarsi allo stadio, di accettar supinamente le porcherie propinate dalla Tv-spazzatura, di far debiti per motivi spesso futili, di abbandonarsi ai consumi facili, di sprecar ricchezza e poi pianger miseria, di pagar pizzi alla malavita e di chieder favori alla malapolitica.

Ricominciare a vivere da cittadini coscienti, a pagar correttamente le tasse, a studiare, a informarci; recuperiamo quello che una volta si chiamava senso dello stato. Certo, temo che non succederà. Ma allora bisogna solo aspettarci il peggio.