domenica 2 maggio 2010

I compagni di Zarathustra

di Alessandra Colla

alessandracolla.net

«Ho trovato più pericoli tra gli uomini
che in mezzo alle bestie,
perigliose sono le vie di Zarathustra.
Possano guidarmi i miei animali!»

F.W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra

È la fine dell’estate quando, venerdì 21 settembre 1888, Friedrich Nietzsche lascia Sils-Maria, in Alta Engadina, per ritornare a Torino. Vi era stato per la prima volta fra l’aprile e il giugno di quello stesso anno, e si era innamorato a prima vista di quella città così quieta e raccolta — «il primo posto dove io sono possibile», come scrive lui stesso. Tutto, di questa bomboniera padana, lo affascina: l’autunno, eccezionalmente splendido; le strade, le gallerie, i palazzi ricchi di grazia resa un po’ polverosa dalla storia e dal tempo; la cucina eccellente e a buon mercato; la gente cortese che impara presto a benvolere il mite professore in pensione (il ragazzo che ogni sera, al ristorante, gli porta il “Journal des débats”, la fruttivendola che gli tiene da parte la frutta migliore…).


La nuova dolcezza del vivere quotidiano — gentilezza, premure, consistenti miglioramenti dello stato di salute — incrementa l’attività intellettuale di Nietzsche, che lavora a pieno ritmo: nel giro di poche settimane termina L’anticristo, cura la stampa del Crepuscolo degli idoli e a metà ottobre inizia l’autobiografia: Ecce homo. Come si diventa ciò che si è. Alla fine di novembre decide di pubblicare l’ Anticristo e di farne non il primo libro della Trasvalutazione di tutti i valori, ma la Trasvalutazione stessa.

Scrive molte lettere: a Brandes, a Strindberg, a Gast, a Fuchs e a molti altri, dalle quali traspare un’intensa eccitazione psichica, che sembra placarsi soltanto con la frenetica produzione intellettuale. A metà dicembre scrive un nuovo opuscolo su Wagner, Nietzsche contra Wagner, e si dedica alla rielaborazione di Ecce Homo (il testo autentico si è perso, a causa delle censure e dei tagli operati dalla sorella di Nietzsche, Elisabeth, e da Peter Gast; ancora oggi dobbiamo accontentarci di una sua ricostruzione). Tra la fine di dicembre e l’inizio del gennaio 1889 nascono i Ditirambi di Dioniso, e nello stesso periodo Nietzsche decide di non pubblicare il Contra Wagner. Sono i giorni in cui divampa la fiamma nel cuore e nella mente del filosofo.


Giovedì 3 gennaio 1889, Nietzsche esce di casa. Per strada, in via Po, assiste ad una scena non insolita e non peggiore di tante altre recitate da analoghi attori: un carrettiere ubriaco che bastona il suo cavallo. Indignato, Nietzsche si getta fra l’animale e il suo tormentatore; la folla fa capannello, accorre un agente di polizia. Nietzsche si schianta al suolo, esanime. L’affittacamere, richiamato dalla confusione, si precipita in strada, s’intromette, soccorre il suo pensionante e lo riporta a casa: il professore torna subito in sé, ma soggiace a un delirio destinato a non cessare più, come provano i molti «biglietti della pazzia» indirizzati nei giorni seguenti agli interlocutori più disparati — Cosima Wagner, gli amici, il popolo polacco, Umberto I di Savoia. Questo, in poche parole, lo scarno racconto che l’affittacamere allarmato fa a Franz Overbeck, giunto trafelato a Torino l’8 gennaio, non appena informato dell’accaduto. Il 9 gennaio Nietzsche è già a Basilea, nella clinica per malattie mentali — è già uscito dalla storia per entrare nel mito.


Che l’ultimo gesto lucido e cosciente di Nietzsche sia stato la difesa di un animale maltrattato, è grandioso. Mi piace pensare che si sia trattato del materializzarsi di una comprensione folgorante — che il male permea questo mondo e abbraccia tutte le sue creature nella globalità di un dolore cosmico che è il destino dei viventi. In realtà, forse, non si è trattato d’altro che del frutto necessario di una vita nata in terra nord-europea, cresciuta nella religione protestante, presto illuminata dalle pagine di Schopenhauer e dal loro messaggio orientale, naturalmente ricca di una profonda e squisita sensibilità: tutte circostanze assai favorevoli a una benevola inclinazione verso ogni creatura vivente, nella consapevolezza di una sorte comune dettata dalla vita stessa.
Invece capita spesso di sentire l’opinione che proprio il fatto di via Po sia il segno per eccellenza della “pazzia” di Nietzsche — «poveretto, abbracciare un cavallo…». E, si badi, non lo dicono soltanto i molti che di Nietzsche hanno orecchiato soltanto qualche grossolana volgarizzazione del superuomo e del nichilismo: lo dicono anche alcuni che Nietzsche l’hanno davvero letto e studiato (compreso?). Chissà come, le poche ma attente puntualizzazioni di Nietzsche sulla natura e sugli animali sono state generalmente trascurate dai critici — almeno qui in Italia, dove tradizionalmente, a dispetto di san Francesco e nonostante lodevoli eccezioni, l’amore o anche il semplice, genuino interesse per animali e natura è sempre stato giudicato appannaggio dei poveri di spirito o (in tempi più recenti) strumento elettorale.
Ripercorrendo l’opera del filosofo, affiorano invece alcuni spunti significativi che voglio qui riproporre ai lettori, per riscoprire insieme uno degli aspetti più delicati dell’uomo che fu Zarathustra..

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