venerdì 26 ottobre 2007

Superior stabat Clemens

di Marco Travaglio

Siccome Luigi De Magistris, al contrario di quel che si dice, non passa notizie ai giornali, nessuno sa ancora quali elementi abbiano portato a indagare il ministro Mastella per truffa, abuso e illecito finanziamento. Ma, da come si comporta il ministro Clemente Mastella, vien da pensare che il pm abbia in mano elementi poderosi su fatti gravissimi, o forse potrebbe scoprirli a breve. Che lui ancora non li conosca, ma Mastella sì.

Ragioniamo: se davvero De Magistris fosse l’acchiappafantasmi e il fumista inconcludente che viene descritto dai suoi detrattori (tipo il capogruppo dell’Udeur Fabris a Porta a Porta), Mastella sarebbe in una botte di ferro: se avesse fatto qualcosa di male, il pm incapace non sarebbe in grado di scoprirlo. Se non avesse fatto nulla, ancora meglio: l’indagine finirebbe nel nulla, o perché lo stesso pm chiederebbe di archiviarla, o perché, se lui si accanisse, verrebbe smontata dal gip, o dal Tribunale, o dalla Corte d’appello, o dalla Cassazione.

Invece Mastella ha fatto di tutto per evitare che De Magistris la portasse a termine: appena il pm ha sfiorato i suoi amici Saladino e Bisignani, lui ha intensificato le ispezioni; quando ha scoperto che il pm aveva intercettazioni e tabulati che indirettamente lo riguardavano, ha chiesto al Csm il suo trasferimento urgente. E quando il Csm l’urgenza non l’ha vista proprio, è scattato il piano B: anzichè trasferire il pm, si è trasferita l’inchiesta. Siccome Mastella è tutt’altro che uno sprovveduto, se sta scatenando questo putiferio avrà le sue ragioni. Che però contraddicono la tesi secondo cui l’indagine è fondata sul nulla. Perché altrimenti il Guardasigilli avrebbe tutto l’interesse a lasciare che il pm ci si rompa le corna. La logica non lascia alternative.

Ma la vicenda, già grave sul piano morale e politico, ha questo di speciale: che ha abolito la logica, la consecutio temporum, la distinzione tra cause ed effetti. Mastella dice che «l’indagine deve proseguire», ma ha fatto di tutto perchè si bloccasse. Dice che la legge gl’imponeva di chiedere il trasferimento di De Magistris, ma la legge (il nuovo ordinamento giudiziario) l’ha fatta lui e non impone affatto al ministro di chiedere la cacciata di un pm dopo un’ispezione e prima che si chiuda il procedimento disciplinare: gli consente di farlo, come di non farlo.

Lui allora dice che gli ispettori sono magistrati, il Pg Dolcino Favi che ha avocato «Why not» è magistrato, il procuratore Mariano Lombardi che ha tolto «Poseidone» a De Magistris è magistrato, l’Anm di Catanzaro che ha chiesto l’ispezione su De Magistris è fatta di magistrati, il Csm che deve giudicare è pieno di magistrati: dunque han fatto tutto loro e Mastella non ha fatto niente. Ma l’ispezione l’ha mandata lui e la richiesta di trasferimento l’ha avanzata lui: e, senza quei due atti, tutto filerebbe liscio come l’olio. Allora lui dice che De Magistris dà troppe interviste e deve stare zitto. Ma De Magistris parla perché da anni è bersaglio di interpellanze, attacchi, ispezioni, richieste di trasferimento: non viceversa.

Viene in mente la fiaba del lupo e dell’agnello. «Ti sbrano perché mi intorbidi l’acqua». «Impossibile, tu stai sopra e io sto sotto». «Ma tu vent’anni fa mi hai insultato». «Impossibile, io vent’anni fa non ero nato». «Allora sarà stato tuo padre, ti sbrano lo stesso».

È con questa logica che il Pg Favi ha avocato «Why not», come ha spiegato lo stesso ministro a Porta a Porta: De Magistris indaga su di lui, lui chiede il suo trasferimento ma non l’ottiene, De Magistris continua a indagare su di lui, dunque ce l’ha con lui, ergo è «incompatibile per conflitto d’interessi».

Gli indagati che volessero sbarazzarsi del proprio pm ma, non essendo ministri, non potessero chiederne il trasferimento, possono denunciarlo per un reato a caso; se poi quello continua a indagare su di loro, vuol dire che ce l’ha con loro e se ne deve andare. Così ne arriva un altro; ma, se non fa il bravo, lo si denuncia e ricomincia il giochino. Naturalmente a segnalare a Porta a Porta il “conflitto d’interessi” del pm, è il ministro che non ha votato la legge sul conflitto d’interessi; e che, su tremila pm, se la prende proprio con quello che indaga su di lui. E chi raccoglie la denuncia del ministro? Il marito giornalista della signora Augusta Iannini, capo degli Affari di giustizia del ministero e responsabile degl’ ispettori che vogliono punire il pm.

Ma il conflitto d’interessi, com’è noto, ce l’ha De Magistris. E solo lui. E, se non è lui, sarà stato suo padre.

Marco Travaglio
da L'Unità del 24 Ottobre 2007

Due pesi e due misure

di Enrica Bartesaghi

da Megachip

Mia figlia Sara è stata indagata (insieme ai 93 della Diaz) a partire dal 21 luglio del 2001 e fino al mese di Febbraio del 2004 per associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio. Lo stesso reato per il quale oggi a Genova sono stati chiesti 224 anni e mezzo di carcere nel processo in corso a carico di 25 manifestanti.

Se non si fossero trovate le prove del falso accoltellamento, delle false molotov (poi scomparse) della falsa sassaiola, dei falsi picconi, forse oggi Sara e i 93 della Diaz sarebbero insieme ai 25 manifestanti.

Sono davvero sconcertata per l’evidente uso di due pesi e due misure, da una parte 224 anni e mezzo di carcere per 25 manifestanti accusati (come lo sono stati a lungo i 93 della Diaz) di far parte del black-bloc, dall’altra nessun indagato per il massacro alla Diaz. Perché non è stato possibile, non si è voluto, trovare coloro che fisicamente hanno ridotto in fin di vita almeno tre persone, ferito oltre 80 dei manifestanti presenti nella scuola. Non erano riconoscibili perché travisati, ci è stato detto.

Gli imputati sono quelli che hanno firmato il verbale di perquisizione, uno dei quali rimasto sconosciuto, quelli che hanno partecipato alla costruzione dei falsi, loro non rischiano niente. Nessuno di loro è stato sospeso, molti promossi, insieme ai responsabili delle torture a Bolzaneto. La prescrizione si avvicina, l’indulto aiuta, nessuna pena verrà da loro scontata per aver rovinato la vita a 93 persone alla Diaz e ad oltre 200 a Bolzaneto.

Nessuno è indagato per le violenze consumate nella caserma di Forte San Giuliano, nessuno per le violenze perpetrate nelle strade e nelle piazze e documentate dalle migliaia di testimonianze video che tutti noi abbiamo visto. Nessuno per la morte di Carlo Giuliani.

Quale messaggio dietro a questa evidente disparità di trattamento? Che sfasciare una vetrina o un bancomat, aver partecipato ad un corteo autorizzato ed illegalmente e ripetutamente attaccato come in via Tolemaide, può costare una decina di anni di galera, mentre l’aver sparato ad altezza d’uomo, l’aver massacrato o torturato centinaia di persone si risolverà con un nulla di fatto?

Se le richieste dei PM verranno accolte avremo 25 persone che pagheranno con anni di galera le colpe di tutti quelli che hanno permesso, voluto, che le manifestazioni anti-G8 del luglio del 2001 si trasformassero in una trappola per centinaia di migliaia di manifestanti.

Chi avrebbe dovuto tutelare il diritto a manifestare si è rivelato incapace di gestire l’ordine pubblico ed ha permesso, autorizzato la più grande violazione dei diritti umani in un paese occidentale dal dopoguerra, come denunciato da Amnesty International.

Enrica Bartesaghi
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=5037

sabato 20 ottobre 2007

Condannato, finalmente

di Marco Travaglio
www.unita.it

L’altra sera Giulio Andreotti pontificava in tv. su Maria Callas in veste di musicologo, mentre a Porta a Porta Francesco Cossiga raccontava quanto gli piaceva lady Diana. Nel frattempo è uscito il libro di Giovanni Moro, "Settantotto", che racconta a questo paese smemorato lo spettacolare fallimento della gestione del sequestro di suo padre da parte del ministro Cossiga e le incredibili bugie raccontate dal premier Andreotti. Naturalmente nessuno chiama costoro a rispondere su cose serie come queste: al più li si interpella sulla Callas e su Lady D. Nel 1999, quando Andreotti fu assolto in primo grado per insufficienza di prove a Palermo, l'insetto allestì un triduo di festeggiamenti per raccontare che l'amico Giulio con la mafia non c'entrava (salvo naturalmente tacere che già in quella sentenza c'erano elementi politicamente e moralmente gravissimi, così come tacque quando le sentenze d'appello e di Cassazione ribaltarono la prima, stabilendo che il reato c'era, ma era prescritto fino al 1980). Ovviamente senza contraddittorio: le balle, in tv, non possono essere smentite, diversamente dalle verità, che devono essere smentite. Sulle ali dell'entusiasmo, il prescritto a vita se la prese col giudice Mario Almerighi, uno degli amici più cari di Falcone, che aveva testimoniato contro di lui a proposito dei suoi affettuosi rapporti col giudice Carnevale (ora reintegrato in Cassazione grazie a una legge ad personam che l'Unione s'è ben guardata dal cancellare): in particolare, sulle pressioni esercitate da Andreotti sull'allora Guardasigilli Virginio Rognoni per bloccare un procedimento disciplinare contro il cosiddetto "Ammazzasentenze". Pressioni che Almerighi aveva appreso da un amico, il sen. Pierpaolo Casadei Monti, allora capogabinetto al ministero. Il quale però, al processo, non se la sentì di confermare. Così Andreotti si scatenò contro Almerighi dandogli del «falso testimone», anzi del «pazzo» che racconta «infamie», lo paragonò ai «falsi pentiti» prezzolati e aggiunse che affidare la giustizia a gente come lui «è come lasciare la miccia nelle mani di un bambi­no». Almerighi querelò. Andreot­ti tentò di salvarsi con la solita insindacabilità-impunità parlamentare e nel gennaio del 2001 il Senato gli regalò con voto bipartisan lo scudo spaziale. Ma la Corte costituzionale glielo tolse («Non spetta al Senato affermare che le opinioni espresse dal senatore Andreotti costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni»). Così il processo ripartì e finalmente, il 15 giugno scorso, il prescritto a vita è stato condannato dal Tribunale di Perugia a 2mila euro di multa (interamente condonata dall'indulto-vergogna, che copre anche le pene pecuniarie), oltre a 20mila euro di provvisionale a titolo di acconto del risarcimento del danno da fissare in separata sede civile. L'altroieri è uscita la motivazione della sentenza firmata dal giudice Massimo Riciarelli, ma naturalmente nessun tg, nessun giornale e nessun Porta a Porta han dato la notizia per smentire le balle di Andreotti. E basta leggere le 32 pagine per capire il perché: il senatore, già 7 volte presidente del Consiglio e 18 volte ministro, da tutti riverito come un padre della patria, è giudicato colpevole di diffama­zione perché «ben consapevole che le sue parole gravemente diffamatorie, inutilmente volte a gettare fango su Almerighi, erano destinate alla divulgazione e alla pubblicazione». Quanto ad Almerighi, «può ritenersi provata la circostanza che quel tipo di confidenza (sui traffici di Andreotti pro Carnevale, ndr) gli era stata fatta per davvero» da CasadeiMonti: lo provano le «concordi deposizioni» di almeno tre magistrati e l'atteggia­mento dello stesso Almerighi il quale, «spinto da un'ansia di verità, che muoveva dallo sdegno per i tanti morti tra le file dei suoi amici» (da Ciaccio Montalto a Falcone e Borsellino), giunse «a divaricare la sua posizione da quella dell'amico confidente Casadei Monti, a costo di esporre lui o se stesso al rischio di non esser creduto». Almerighi dunque ha detto la verità; Andreotti invece «plurime esternazioni menzognere» e insulti «lanciati come strali dinanzi ai quale si resta impietriti». Marco Travaglio

E bravo Walter!

di Giulietto Chiesa,
Megachip

E bravo Walter! Si conclude con successo il traghettamento al centro di una parte abbastanza consistente, non tutta, ma non poca, dell'elettorato di sinistra. Il grosso di quello che fu il Partito Comunista Italiano - quello caduto dal Muro di Berlino e, prima ancora, quello sconfitto militarmente dal rapimento e uccisione di Aldo Moro e dei cinque uomini della sua scorta - finisce dentro un progetto di democrazia americana, di gestione della "necessità" thatcheriano-blairiana, di subalternità all'Impero e di partecipazione alle guerre del presente e del futuro.
Un'operazione brillante, cullata dalla grande borghesia "progressista" italiana per togliersi dai piedi l'ingombro di Berlusconi, ormai impresentabile nel quadro internazionale (come lo fu Boris Eltsin al termine della sua carriera) e per sostituirlo con un gestore più morbido - ma perfino più ligio ai desiderata padronali - dei conflitti sociali marginalizzati di una società che deve essere pacificata. E, nel caso non lo sia, di una società che dovrà credere a tutti i costi di essere stata pacificata.
Per questo servirà un sistema mediatico, ovviamente privatizzato (perchè la Trimurti del nuovo Partito Democratico è quella che Riccardo Petrella ha brillantemente descritto come TUC, Teologia Universale Capitalista, composta di privatizzazione, liberalizzazione, deregulation) ma compatto nel levare inni e nel distribuire circenses e notti bianche a gogo.
Il traghettamento è avvenuto con una duplice, plebiscitaria votazione: una specie di uno-due pugilistico realizzato in una sola settimana. Prima i cinque milioni di votanti che hanno detto sì al welfare di imprenditori, sindacati e governo. Poi i tre milioni abbondanti che hanno ridetto sì al Partito Democratico e a Walter in persona, tra i cori osannanti di tutti i maggiori quotidiani padronali e di tutti i telegionali governativi.
In tal modo facendo gridare commentatori di ogni collocazione (salvo alcuni rari rompiscatole, ma per questo fuori gioco) alla spettacolare maturità dei lavoratori e dei consumatori italiani.
Vogliamo forse negare il carattere "storico" di un tale sussulto democratico? Vogliamo forse negare che le due consultazioni hanno dimostrato una straordinaria "voglia di partecipazione"?
Noi non vogliamo.
Ma vorremmo andare a guardare meglio dentro questo entusiasmo generale, che era già nell'aria addirittura prima del voto. Tanto impregnava l'aria che dava l'idea di una micidiale manipolazione mediatica. E, del resto, se di democrazia americana si tratta, come evitare che essa sia manipolata mediaticamente?
Continua al link http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=4978

martedì 16 ottobre 2007

Storace si scusa!

Lettera di scuse
di Mimmo Lombezzi
da MegaChip

http://www.megachip.info/

Grazie ai miei contatti con il Sismi sono venuto in possesso della lettera di scuse che l'on. Storace scriverà alla Montalcini

Rita carissima! Come stai ? Spero bene. Ho scelto di darti del tu per esprimere in modo quasi cameratesco la simpatia profonda che ho per Te.
Cara amica ti scrivo per dirti innanzitutto che la stampa e le tv hanno travisato le mie intenzioni. (Non tutte per fortuna ! Alcune l'intervento curiale di Napolitano non se lo sono neppure filato!) L' invio delle stampelle non voleva essere affatto un'offesa. Se mai un gesto goliardico come l'olio di ricino e gli scappellotti che i nostri padri fondatori applicavano bonariamente agli oppositori e ai nasi adunchi alle origni del Movimento.
Cerca di capirmi Rita! Apri bene quelle tue orecchie da semita : “La Destra” è appena nata, ha bisogno di distinguersi, di affermare la sua presenza, di far parlare di sé. Per questo col camerata Schiuma (non è un nickname!) ho pensato a un gesto Bossiano futurista, ironico!
Su cosa dovevo intervenire se no? Sullo scandalo Laziomatica? Sul deficit della Regione Lazio? Via! Non è su temi cosi' triviali che si qualifica un Movimento che vuol essere giovane-per- i-giovani e non vuol partire col piede sbagliato. Cioè traballando, come te.
Dai Vecchia Rita! Mettici una pietra sopra! Goditi gli ultimi anni con i tuoi colleghi Pannoloni! Qua la mano vizzosa! Nulla di personale.
Tuo Francesco Storace.

venerdì 12 ottobre 2007

Una pappa contro la malnutrizione

di Marinella Correggia
Fonte: www.ilmanifesto.it

Nel 2002, in Angola, l'organizzazione Medici senza frontiere (Msf) riuscì a trattare in 4 mesi di totale urgenza diecimila bambini in stato di malnutrizione grave, in pericolo di vita. Ai centri allestiti da Msf ne arrivavano molti di più ai centri, ma per somministrar ogni poche ore latte da diluire e micronutrienti era necessaria l'ospedalizzazione e, semplicemente, non c'erano posti né personale a sufficienza. Qualche anno dopo, nel 2006 in Niger, con un numero inferiore di addetti e con costi inferiori, Msf ha potuto recuperare dalla malnutrizione grave, in un analogo periodo, oltre 60mila bambini.

Cos'era cambiato? In una battuta, il fatto che la somministrazione dell'alimento terapeutico è passata dagli ospedali alle case, dalle mani dei medici a quelle di ogni mamma che abbia un bambino malnutrito fra i sei mesi e i tre anni (nei primi mesi dalla nascita, l'alimento più completo e adatto è il latte materno, ça va sans dire). Questo passaggio prima non pareva proponibile: il latte in polvere va diluito e in situazioni di emergenza l'acqua è un pericolo ulteriore; va addizionato di vitamine e minerali e ciò richiede una struttura; gli alimenti tradizionali o le farine degli aiuti alimentari, sia pur arricchite, possono non essere sufficienti nella malnutrizione grave, e sono difficili da conservare.

La rivoluzione che assomiglia a un uovo di Colombo è chiamata «alimento terapeutico pronto all'uso» (Ruft, ready to use therapeutic food). Ieri Msf, che come altri operatori di emergenza ne fa uso da anni, lo ha mondialmente lanciato all'attenzione dei governi «donatori» (virgolette d'obbligo) e delle agenzie dell'Onu in cinque città. Il Ruft standard è una gustosa pasta concentrata in pacchetti monodose giornalieri da 500 calorie ed è direttamente somministrabile al bambino, senza diluizioni né cotture. Contiene tutti gli elementi nutritivi essenziali per trattare la malnutrizione grave: un mix di arachidi africane, latte, grassi vegetali arricchito vitamine e minerali. In qualche settimana rimette in carreggiata un bimbo al costo totale di circa 30 euro.

Sostiene Msf che «gli alimenti terapeutici pronti all'uso vanno considerati come un farmaco essenziale e per questo devono essere resi disponibili a tutti coloro che ne hanno urgente bisogno». In effetti sia l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che l'Unicef ne raccomandano l'uso in caso di malnutrizione grave. Ma dei venti milioni di bambini gravemente malnutriti che popolano il mondo, per ora solo il 3 per cento ha accesso alla «pappa magica». Per non dire degli under 5 che sono in stato di malnutrizione per così dire «moderata», sulla quale però occorrerebbe intervenire per evitare che diventi «acuta». Msf l'ha fatto in un distretto del Niger che era fra i più malnutriti, con ottimi e subitanei risultati.

Per questa formula non c'è, come per i più noti farmaci - ad esempio per curare l'Aids - un problema di brevetti. La pappa è sì brevettata, ma la piccola casa produttrice francese oltre a dare a buone condizioni la possibilità di produrla in franchising (già avviene in diversi paesi africani), permette anche a organizzazioni non profit di copiarla. Ma la pappa costa, soprattutto per il prezzo del latte (forse occorrerebbe trovare un ingrediente sostitutivo). Per trattare tutti i bambini ci vorrebbero 750 milioni di euro l'anno: quanto speso per la befana 2007 in Italia; o meno di un millesimo delle spese per armamenti; o un centesimo delle sovvenzioni europee al settore aereo.

Le mamme dei bambini malnutriti moderati o gravi non hanno quei trenta euro. Msf chiede che questo alimento terapeutico sia sovvenzionato dalla comunità internazionale. Ogni anno nel mondo 5 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni - la metà del totale per quella fascia di età - muoiono per patologie legate alla malnutrizione. Se trenta euro sembran tanti....

giovedì 11 ottobre 2007

I Pinochet: rendite da genocidio

di Gennaro Carotenuto
La vedova di Augusto Pinochet, i cinque figli e diciassette collaboratori del defunto dittatore, sono stati arrestati a Santiago del Cile per reati finanziari, malversazione e appropriazione di fondi pubblici, stornati verso la banca statunitense Riggs. La detenzione è stata ordinata dal giudice Carlos Cerdá, il Baltazar Garzón australe, che da anni indaga sulle malversazioni del defunto dittatore e della sua famiglia. Nonostante la detenzione in carcere sia durata circa 24 ore, Augusto Pinochet junior e suo fratello Marco Antonio sono nel carcere di Santiago avrebbero collaborato. Lucía, Jacqueline e Verónica, le tre sorelle note alle cronache rosa perché, già madri e nonne, hanno accumulato sei annullamenti di matrimonio dalla Sacra Rota, sono recluse nel Centro di Orientamento Femminile, in un quartiere popolare di Santiago. La vedova del dittatore, donna Lucía Hiriart, ha lamentato uno sbalzo di pressione ed è stata immediatamente ricoverata nell'Ospedale militare, nel quartiere bene di Providencia, dove meno d'un anno fa morì il coniuge...

mercoledì 10 ottobre 2007

Consulenze

DI SEBASTIANO MESSINA

da La Repubblica

C' è chi lo fa gratis, come Carlo Rubbia, forse per il piacere di rendersi utile al suo Paese. C' è chi lo è stato solo per un giorno, come il signor Mario Parodi che ha ricevuto 60 (diconsi sessanta) euro dal ministero dei Beni Culturali «per ripresa fotografica eseguita presso la Collezione Wolfson di Genova». E c' è chi lo è diventato per essere compensato di una perdita: come Giovanni Kessler, ex deputato diessino che nel 2006 ha perso il seggio in Parlamento ma è stato subito nominato "Alto commissario per la lotta alla contraffazione" con un contratto da consulente esterno. Stipendio annuo 143.500 euro, 12 mila euro al mese, però lordi. C' è davvero tutto il catalogo aggiornato della società civile, una galleria delle arti e dei mestieri dell' Italia di oggi, nell' elenco dei 1253 esperti e consulenti a libro paga del governo Prodi. Giuristi e ginnasti, generali e creativi, cinefili e professoresse, ambasciatori e webmaster, giornalisti e rettori, figli della Patria e figli di papà. Milleduecentocinquantatre: una media di 48 esperti a dicastero, anche se questa - come tutte le statistiche - appiattisce una realtà dove ci sono ministri come Di Pietro e Mastella che dichiarano zero consulenti, e altri, come Rutelli, che con il loro elenco superano - da soli - un terzo del totale: 436. Ma chi c' è, in questa lista? La maggioranza, nove su dieci, sono professionisti o studiosi ignoti alle cronache. Certo, qualche nome celebre c' è. Per esempio quello di Renato Ruggiero, già ministro degli Esteri di Berlusconi, oggi ingaggiato da Prodi gratis ("solo rimborso spese"). O quello di Jury Chechi, messo a libro paga da Giovanna Melandri come consulente per lo sport a 19.116 euro l' anno. E c' è anche qualche cognome illustre. Una Napolitano, Simona, nipote del presidente della Repubblica, è consulente del ministero dell' Ambiente (per 2800 euro al mese), incaricata di fornire «assistenza e consulenza riguardo le problematiche del settore giuridico e nel settore del diritto informatico, amministrativo e degli appalti pubblici». Un Mastella, Pellegrino, figlio del Guardasigilli, è consulente del ministero per le Attività produttive con l' incarico di assicurare (per 2700 euro al mese) «attività di collaborazione finalizzata all' approfondimento delle specificità dei modelli anglosassoni». E un Gambescia, figlio del deputato diessino Paolo, è consulente del ministro per l' Innovazione (1500 euro mensili) «per l' elaborazione e la verifica delle linee programmatiche relative al rapporto tra la pubblica amministrazione e il sistema delle imprese». Non c' è invece - non ancora, perché il decreto non è stato ancora registrato dalla Corte dei conti - il nome di Angelo Rovati, che dopo essersi dimesso da consigliere di Prodi è stato riassunto una settimana fa come "esperto per il Kazakistan" (specializzazione tanto circoscritta quanto sorprendente). Nessuno di questi 1253 consulenti diventerà ricco, con gli assegni staccati dal governo. Ma il primo a essere convinto che queste spese siano eccessive è proprio il presidente del Consiglio, che ha appena firmato un decreto con il quale taglia di un terzo - a partire dal 2008 - la cifra destinata ai consulenti dell' esecutivo. Certo, anche lui dovrà usare le forbici, visto che al momento la Presidenza del Consiglio conta 120 contratti di consulenza. E di questi, solo sette - oltre a Renato Ruggiero - hanno accettato di collaborare in cambio di uno spartano rimborso spese. Tutti gli altri vanno pagati, dai 6000 euro dei componenti del Comitato per la Biosicurezza ai 40 mila di Massimo La Salvia, inquadrato nel Dipartimento Risorse Umane. I ministri Mastella e Di Pietro, che dichiarano di non avere consulenti al loro servizio, non dovranno tagliare nulla. Né si potrà chiedere un sacrificio al Viminale, dove Giuliano Amato ha firmato un unico contratto di consulenza (con il professor Francesco Raiano: 30 mila euro annui), e tantomeno alla Difesa, dove Arturo Parisi ha ingaggiato un solo esperto (il dottor Andrea Grazioso, esperto di problematiche strategiche internazionali: 36 mila euro) più due per i suoi sottosegretari. Avranno poco da risparmiare anche il ministro del Lavoro, Damiano, e quello della Pubblica Istruzione, Fioroni, che hanno due consulenti a testa. Ma agli altri, qualche rinuncia potrà essere chiesta. Prendiamo il ministero dell' Ambiente, che nel bilancio dello Stato pesa per la metà di quello delle Politiche agricole. Eppure, mentre Paolo De Castro s' è accontentato di otto consulenti, Alfonso Pecoraro Scanio ne ha 344. Invece di averne la metà, ne ha quarantatré volte di più. C' è un motivo, anzi ce ne sono tre. Il primo è, diciamo così, storico: quando nacque, il ministero (che allora si chiamava "dell' Ecologia") non poté fare nuove assunzioni, così fece un massiccio ricorso ai contratti a termine, cioè alle consulenze: è andata avanti così, dal 1987 a oggi, con il risultato che al ministero oggi il numero dei precari (1319) supera quello degli assunti (1255). Poi c' è una ragione politica. I ministri dell' Ambiente hanno preso l' abitudine, prima di lasciare la poltrona, di rinnovare i contratti ai loro consulenti per altri quattro o cinque anni, così ogni ministro si ritrova in eredità i consulenti del suo precedessore: come quel Paolo Pontoni a cui il ministro Altero Matteoli, la vigilia di Natale del 2005 ha rinnovato un contratto di consulenza per cinque anni. Non si sa se Pecoraro sarà ancora ministro, nel 2010, ma di sicuro Pontoni sarà ancora consulente: a 78 mila euro l' anno. Poi, certo, Pecoraro ci ha messo del suo. Ingaggiando a 100 mila euro l' anno cinque consulenti per il suo gabinetto (tra cui il verde Sauro Turroni, trombato nel 2006). Più otto per i suoi sottosegretari. Più sette per la Direzione Generale "Qualità della vita". Più 54 per il servizio "Protezione della natura". Più 107 per la "Ricerca ambientale". Più 138 per la "Difesa del suolo". Più 14 per la "Salvaguardia ambientale". Più cinque dirigenti di fascia alta (in media 95 mila euro a testa). Più sei consulenti - tra cui Rubbia - che, bontà loro, non vogliono un centesimo. Totale, 344. Ai quali bisogna aggiungere un' altra infornata di consulenti i cui decreti, firmati ad agosto, non sono ancora stati registrati. Chi sono, i consulenti del ministro dell' Ambiente? Gli ecologisti, ovviamente. E dove si trovano la maggior parte degli ecologisti? Nei Verdi, partito che Pecoraro Scanio conosce benissimo, essendone il leader. Ecco perché sono proprio dei Verdi, giusto per fare un esempio, 14 dei 20 componenti della segreteria tecnica per la Protezione della natura. Due su tre. Una scelta, come dire?, naturale. Dovrà sicuramente tagliare nomi e compensi il ministero dei Beni Culturali, che oggi con i suoi 436 incarichi guida la classifica delle consulenze (però bisogna tener conto che vengono messi a carico di Rutelli i contratti stipulati dalle Sovrintendenze di tutta Italia per mostre, convegni ed esposizioni varie). La cifra più alta, 133.250 euro, è andata l' anno scorso alla società Arché, per la «catalogazione dei manoscritti della biblioteca nazionale universitaria di Torino danneggiati dall' incendio del 1904». Ovvero 103 anni fa: non è mai troppo tardi. Giusto per dare il buon esempio, un po' di economia potrebbe farla anche il ministro dell' Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Che oggi spende un milione 719 mila euro per i suoi 85 consulenti, una media di 20 mila euro a testa. E allo Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani forse dovrà dare un' accorciatina alla sua lenzuolata di 69 consulenti (cominciando, magari, dal figlio di Mastella). Poi, certo, anche i ministri «senza portafoglio» (cioè senza fondi propri nel bilancio dello Stato) potrebbero rinunciare a qualche esperto. Emma Bonino, per dire, alle Politiche comunitarie ne ha per nove volte e mezza di quelli su cui può contare Massimo D' Alema. E se il ministro degli Esteri ha scelto come uno dei suoi quattro consulenti giusto il responsabile nazionale diessino degli Italiani all' estero, Norberto Lombardi (25 mila euro annui), la Bonino ha inserito un buon numero di radicali tra i suoi 38 esperti, a cominciare dall' avvocato del partito, Giuseppe Rossodivita, incaricato di studiare «problemi e prospettive intorno all' ipotesi di costituzione di una Procura europea». Problemi, prospettive, ipotesi: per 4000 euro al mese, si può fare. Del resto, così fan tutti. Neanche l' unico ministro di Rifondazione, Paolo Ferrero, ha saputo resistere alla tentazione di nominare due dei suoi tre esperti (Maria Teresa Rosito e Andrea Del Monaco, 45 mila euro l' anno) tra i compagni di partito. Il suo collega dei Trasporti, Alessandro Bianchi (Pdci), ha invece pescato tra i colleghi dell' università: tra i suoi 18 consulenti, ci sono sei professori e un rettore (ma il primo della lista è il responsabile nazionale Trasporti del Pdci, Eduardo Bruno). Forse, con un po' di buona volontà, si potrebbe eliminare qualche incarico dall' oggetto nebuloso. Il ministero per l' Attuazione del programma, per esempio, paga 2000 euro al mese a Sortito Casali per «l' analisi degli obiettivi del programma di governo, in relazione alla possibilità di una loro misurazione tramite indicatori di carattere quantitativo», e altri 1100 euro mensili a Simona Genovese, affinché fornisca una «analisi del programma di governo sia nei suoi aspetti giuridici sia in quelli di carattere operativo». Non si era mai visto, un governo che paga degli esperti per analizzare il suo stesso programma. Ma, come si dice, c' è sempre una prima volta.
Sebastiano Messina
Fonte: www.repubblica.it

mercoledì 3 ottobre 2007

Weeds..da non perdere

Little boxes on the hillside,Little boxes made of ticky tacky
Little boxes on the hillside, Little boxes all the same,
There's a green one and a pink one And a blue one and a yellow one
And they're all made out of ticky tacky And they all look just the same.
And the people in the houses All went to the university
Where they were put in boxes And they came out all the same
And there's doctors and lawyers And business executives
And they're all made out of ticky tacky And they all look just the same.
And they all play on the golf course And drink their martinis dry
And they all have pretty children And the children go to school ,
And the children go to summer camp And then to the university
Where they are put in boxes And they come out all the same.
And the boys go into business And marry and raise a familyI
n boxes made of ticky tacky And they all look just the same,
T here's a green one and a pink one And a blue one and a yellow one
And they're all made out of ticky tacky And they all look just the same.
Weeds (in inglese marijuana) è una serie televisiva americana ambientata in una immaginaria periferia della California, in cui la maggior parte dei residenti sono coinvolti nello spaccio e nel consumo di cannabis (da ciò deriva il titolo). Nel 2006 la serie è stata candidata ai Golden Globe come migliore serie comica e la protagonista della serie, Mary-Louise Parker ha vinto il Golden Globe come migliore attrice protagonista.
Le prime 2 stagioni sono andate in onda negli
Stati Uniti sul canale Showtime e la serie ha riscosso un grande successo nel pubblico. La prima stagione è stata trasmessa in Italia da Rai Due e da SKY Show di SKY Italia. La terza stagione ha preso il via il 13 agosto 2007 negli Stati Uniti.
(da Wikipedia)