sabato 20 ottobre 2007

Condannato, finalmente

di Marco Travaglio
www.unita.it

L’altra sera Giulio Andreotti pontificava in tv. su Maria Callas in veste di musicologo, mentre a Porta a Porta Francesco Cossiga raccontava quanto gli piaceva lady Diana. Nel frattempo è uscito il libro di Giovanni Moro, "Settantotto", che racconta a questo paese smemorato lo spettacolare fallimento della gestione del sequestro di suo padre da parte del ministro Cossiga e le incredibili bugie raccontate dal premier Andreotti. Naturalmente nessuno chiama costoro a rispondere su cose serie come queste: al più li si interpella sulla Callas e su Lady D. Nel 1999, quando Andreotti fu assolto in primo grado per insufficienza di prove a Palermo, l'insetto allestì un triduo di festeggiamenti per raccontare che l'amico Giulio con la mafia non c'entrava (salvo naturalmente tacere che già in quella sentenza c'erano elementi politicamente e moralmente gravissimi, così come tacque quando le sentenze d'appello e di Cassazione ribaltarono la prima, stabilendo che il reato c'era, ma era prescritto fino al 1980). Ovviamente senza contraddittorio: le balle, in tv, non possono essere smentite, diversamente dalle verità, che devono essere smentite. Sulle ali dell'entusiasmo, il prescritto a vita se la prese col giudice Mario Almerighi, uno degli amici più cari di Falcone, che aveva testimoniato contro di lui a proposito dei suoi affettuosi rapporti col giudice Carnevale (ora reintegrato in Cassazione grazie a una legge ad personam che l'Unione s'è ben guardata dal cancellare): in particolare, sulle pressioni esercitate da Andreotti sull'allora Guardasigilli Virginio Rognoni per bloccare un procedimento disciplinare contro il cosiddetto "Ammazzasentenze". Pressioni che Almerighi aveva appreso da un amico, il sen. Pierpaolo Casadei Monti, allora capogabinetto al ministero. Il quale però, al processo, non se la sentì di confermare. Così Andreotti si scatenò contro Almerighi dandogli del «falso testimone», anzi del «pazzo» che racconta «infamie», lo paragonò ai «falsi pentiti» prezzolati e aggiunse che affidare la giustizia a gente come lui «è come lasciare la miccia nelle mani di un bambi­no». Almerighi querelò. Andreot­ti tentò di salvarsi con la solita insindacabilità-impunità parlamentare e nel gennaio del 2001 il Senato gli regalò con voto bipartisan lo scudo spaziale. Ma la Corte costituzionale glielo tolse («Non spetta al Senato affermare che le opinioni espresse dal senatore Andreotti costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni»). Così il processo ripartì e finalmente, il 15 giugno scorso, il prescritto a vita è stato condannato dal Tribunale di Perugia a 2mila euro di multa (interamente condonata dall'indulto-vergogna, che copre anche le pene pecuniarie), oltre a 20mila euro di provvisionale a titolo di acconto del risarcimento del danno da fissare in separata sede civile. L'altroieri è uscita la motivazione della sentenza firmata dal giudice Massimo Riciarelli, ma naturalmente nessun tg, nessun giornale e nessun Porta a Porta han dato la notizia per smentire le balle di Andreotti. E basta leggere le 32 pagine per capire il perché: il senatore, già 7 volte presidente del Consiglio e 18 volte ministro, da tutti riverito come un padre della patria, è giudicato colpevole di diffama­zione perché «ben consapevole che le sue parole gravemente diffamatorie, inutilmente volte a gettare fango su Almerighi, erano destinate alla divulgazione e alla pubblicazione». Quanto ad Almerighi, «può ritenersi provata la circostanza che quel tipo di confidenza (sui traffici di Andreotti pro Carnevale, ndr) gli era stata fatta per davvero» da CasadeiMonti: lo provano le «concordi deposizioni» di almeno tre magistrati e l'atteggia­mento dello stesso Almerighi il quale, «spinto da un'ansia di verità, che muoveva dallo sdegno per i tanti morti tra le file dei suoi amici» (da Ciaccio Montalto a Falcone e Borsellino), giunse «a divaricare la sua posizione da quella dell'amico confidente Casadei Monti, a costo di esporre lui o se stesso al rischio di non esser creduto». Almerighi dunque ha detto la verità; Andreotti invece «plurime esternazioni menzognere» e insulti «lanciati come strali dinanzi ai quale si resta impietriti». Marco Travaglio