sabato 14 giugno 2008

Di chi è la colpa?

di Marco Cedolin
da Il corrosivo


La strage sul lavoro accaduta a Mineo, costata la vita a 6 operai, fa il paio con il rogo della Thyssenkrupp di pochi mesi fa, mesi costellati da uno stillicidio praticamente continuo di lavoratori che hanno perso la vita, uccisi non si comprende bene da cosa e da chi. Il Presidente Napolitano ha espresso cordoglio, i sindacati hanno espresso cordoglio, il circo equestre della politica ha espresso cordoglio, gli imprenditori hanno espresso cordoglio, gli intellettuali hanno espresso cordoglio, i giornalisti hanno espresso cordoglio, i magistrati hanno indagato 7 persone fra cui il sindaco di Mineo e 4 assessori della sua giunta.

Tutti, tranne i magistrati che stanno provando a fare il proprio dovere, hanno affermato che tragedie come questa non devono accadere mai più, ma perché questo possa avvenire sarebbe logico domandarsi di chi è la colpa della vera e propria ondata di morti sul lavoro (e a causa del lavoro) che ha investito la UE, arrivando a determinare un decesso ogni 3 minuti e mezzo e quali siano le contromisure da mettere in atto per ridimensionare il fenomeno. E’ colpa degli imprenditori che rosicchiano profitto a spese della sicurezza dei lavoratori? E’ colpa dei sindacati, sempre più vicini ai banchetti di Confindustria, che i lavoratori non riescono a difenderli? E’ colpa della politica, sempre più appiattita sui grandi interessi economici, che non riesce ad elaborare un’adeguata normativa sulla sicurezza del lavoro? E’ colpa dei lavoratori stessi che per pigrizia non mettono il casco, come ha affermato dalla CGIL nel corso di un’indagine concernente un proprio cantiere? E’ colpa degli organismi preposti al controllo che in realtà non controllano un bel nulla?

Quasi tutti questi soggetti e molti altri ancora, fra quelli che ad ogni strage esprimono cordoglio, hanno senza dubbio molte pesanti responsabilità, ma non si tratta solamente di colpe specifiche, bensì soprattutto della colpa collettiva di avere contribuito a costruire un “mondo del lavoro” come quello di oggi. Tutti coloro che esprimono cordoglio e promettono “mai più!” hanno sponsorizzato e continuano a sponsorizzare la precarietà che comportando la presenza, anche in mestieri pericolosi, di personale scarsamente formato e privo di esperienza specifica determina un incremento esponenziale del rischio d’incidenti. Tutti costoro continuano a portare avanti una battaglia senza senso, finalizzata ad aumentare gli orari di lavoro e favorire la pratica degli straordinari, ben sapendo che l’eccessiva stanchezza e il conseguente rallentamento dei riflessi sono all’origine di molte fra le morti sul lavoro.

Tutti costoro hanno fatto della competizione sfrenata e della produttività esasperata la loro bandiera, nonostante all’interno di questi atteggiamenti si celino insidie potenzialmente esplosive per chi lavora in preda alla frenesia. Tutti costoro hanno coccolato e stanno coccolando sempre più un “mercato del lavoro” imperniato sull’esclusione, dove il lavoratore letteralmente terrorizzato dalla prospettiva di ritrovarsi disoccupato, è indotto con la forza del ricatto ad accettare qualunque condizione disagiata e pericolosa, anche la più estrema, e sono proprio queste condizioni a determinare una larga parte degli incidenti.

Il cordoglio non basta, così come non basta dire “mai più!” se una volta esaurite le frasi di circostanza e la dose giornaliera d’ipocrisia, ognuno di questi soggetti continuerà a prodigarsi, come ha fatto fino ad oggi, per costruire un mondo del lavoro sempre più simile ad una giungla, una giungla dove si muore facilmente, senza sapere chi ti sta ammazzando.