giovedì 17 novembre 2011
Gran giorno nel pollaio
sabato 29 ottobre 2011
domenica 11 settembre 2011
Antigua, Costa Smeralda o San Vittore
Il Manifesto
www.ilmanifesto.it
sabato 3 settembre 2011
Gheddafi e il Kamasutra politico.
- di Scerif El Sebaie (Salamelik)
Come scrivevo appunto l'altro giorno, sono due i fatti che avrei voluto commentare durante questa pausa estiva e che recupero invece adesso. Del primo abbiamo già parlato, quindi passiamo al secondo: la caduta di Tripoli nelle mani dei ribelli anti-Gheddafi, coadiuvati da mercenari e addestratori stranieri. Una "vittoria che non c’è, e che nella misura in cui c’è non appartiene loro", come scrive correttamente Robi Ronza commentando i fatti libici. E l'indecorso spettacolo di alcuni politicanti che non hanno esitato, mentre ancora si sparava per le strade della città libica, a festeggiare la caduta del "dittattore sanguinario" pochissimi mesi dopo averlo accolto a suon di fanfare, ne vogliamo parlare? Un allucinante e leggermente disgustoso kamasutra politico.
Se ci sono "posizioni insostenibili" su Gheddafi in giro in questo momento di certo non sono le mie - visto che, non essendo un voltagabbana, la mia opinione sul Fratello Colonello non è cambiata - ma quelle dei signori che non hanno esitato a scaricare il leader libico foraggiando e finanziando, grazie ad un sequestro indiscriminato sia dei soldi del governo libico che di quelli di Gheddafi, una guerra civile che ha trasformato una della capitali con il reddito pro-capite più alto della regione in una città sull'orlo di una crisi umanitaria. E non è detto che la guerra civile si concluda in fretta o che non si trasformi - una volta sparito dalla scena il Colonello - in un regolamento di conti all'afghana tra le varie fazioni che già ora si scannano tra di loro.
Sarebbe meraviglioso, e davvero una bella lezione per l'Occidente, se la Libia si trasformasse in un'area di instabilità permanente dove scorrazzano terroristi e fondamentalisti vari, visto che in Libia non esiste uno stato che possa essere definito tale e una società civile degna di questo nome. Non a caso la NATO mette già le mani avanti paventando un possibile impiego di truppe di terra, come se questo potesse essere la panacea e non un ulteriore elemento di destabilizzazione. Il tutto sempre per proteggere i civili, si capisce. Civili che, secondo mezzi di informazione compiacenti e complici, avevano subito "bombardamenti aerei" e "strupri di massa" prima di essere seppelliti in "fosse comuni da 10.000 corpi" di cui però non è stata trovata la minima traccia o prova, esattamente come non è stata trovata ancora traccia delle armi di distruzione di massa di fu Saddam.
Come scrive Fabrizio Tringali in questo editoriale: "L'esperienza ha insegnato che il miglior casus belli, cioè quello comunemente più accettato dai cittadini, riguarda i diritti umani e la difesa della popolazione civile sotto l'attacco di un tiranno. Agli occidentali piacerà sempre pensarsi come "liberatori", mentre difficilmente essi abboccherebbero ancora a stupidaggini palesemente inventate come le armi di distruzione di massa di Saddam". E in effetti la strategia ha funzionato perché l'intervento è stato collegato ad un fatto vero: Gheddafi è un dittatore. Il più longevo del mondo arabo, per di più. Ma era anche l'unico dittatore arabo in grado di dire pane al pane e latte di cammella al latte di cammella, seppur in modo provocatorio e creativo. L'unico capace di denunciare, con atti pratici, l'ipocrisia dell'occidente e la sua sete di denaro. L'unico in grado di chiedere e ottenere risarcimenti per il passato colonialista, cosa che non è riuscita a nessun altro.
Il prossimo leader della Libia avrà il coraggio di opporsi ai diktat occidentali dopo aver abbondantemente usufruito dei droni e dei bombardamenti "mirati" senza i quali nessuna avanzata su Tripoli sarebbe stata possibile? Non credo proprio. La Libia, uno dei paesi più ricchi di petrolio di ottima qualità si trasformerà in una ghiotta preda da "ricostruire" a suon di barili. Persino il Corriere ha rispolverato la sua vecchia vocazione di quotidiano filocolonialista con una bella intervista ad un vecchietto libico intitolata "Tornino gli italiani". E magari anche i bombardamenti chimici e i campi di concentramento per cui erano tristemente conosciuti, mi viene da aggiungere.
Link originale
http://salamelik.blogspot.com/2011/09/gheddafi-e-il-kamasutra-politico.html
mercoledì 31 agosto 2011
Spremiamo i deboli, ancora, perchè no?
Un bell' articolo di Marco della Luna
LA MANOVRA CHE INSEGNA AD EMIGRARE
Il rifacimento 30.08.11 della manovra-bis di risanamento dei conti pubblici conferma il mio già più volte enunciato teorema, secondo cui la classe politica italiana non può tagliare, nemmeno in situazioni di emergenza, nemmeno per rilanciare l’economia in recessione, la spesa improduttiva (inutile, parassitaria, clientelare), perché è quella da cui dipende per arricchirsi e ancor prima mantenere il potere, e ne dipende tanto più rigidamente, quanto peggio amministra – perché quanto peggio amministra, tanto meno riceve sostegno fisiologico, e tanto più deve procurarselo in via clientelare e ladresca.
Il caso Penati non è un’eccezione, ma la regola: ciò di cui lo si accusa è semplicemente ciò per cui e con cui operano i partiti. E’ la regola, non l’eccezione criminale. E’ lo strumento della produzione del consenso, quindi della legittimazione politica, anche se per la legge formale è illecito. Il rifacimento della manovra era stato, per l’appunto, imposto dalle esigenze degli apparati dei partiti, i quali non possono rinunciare alla spesa degli enti locali perché da essa mangiano e traggono le risorse per ottenere i voti e le sponsorizzazioni. La nuova e stravolta versione della manovra è stato un rifacimento per salvare la greppia della casta. Per la medesima ragione i partiti non possono rinunciare alle 25.000 poltrone di consiglieri di amministrazione di enti misti, dove mangiano ancora di più. Non è possibile, per la nostra classe politica e burocratica cessare queste pratiche, perché da esse dipende la sua stessa esistenza. Non è possibile che essa si metta ad amministrare bene, perché l’unica cosa per cui si è selezionata e formata è quella pratica, quindi manca delle necessarie competenze tecniche per fare buona amministrazione. Infatti, non sa nemmeno far quadrare i conti sulla carta. Davanti al mondo si comporta in un modo grottescamente contraddittorio, convulso, indecoroso. Accecata e indementita dalla sua avidità, angosciata dal rischio di perdere le sue posizioni, è completamente appiattita sulla divorante esigenza di assicurare a se stessa i soldi e le risorse pubbliche con cui preservarsi nell’immediato, e a tal fine spreme il paese con ulteriore pressione fiscale, a costo di precipitarlo nella recessione. Del rilancio economico e del medio-lungo termine neanche si dà pensiero. E ciò non vale solo per il centro-destra, ma pure per il centro-sinistra, la cui contro-proposta arrivava a 1/10 della copertura e, come quella del centro-destra, non aveva reali strumenti per il rilancio economico.
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L'orto urbano di Berlino
Il Manifesto
L'idea però non è venuta da esperti agricoltori, tutt'altro. Robert Shaw, documentarista cinematografico di professione, e il fotografo Marco Clausen hanno iniziato a progettare l'orto nell'inverno del 2009, dopo un viaggio a Cuba da cui tornarono affascinati dagli orti urbani coltivati a L'Avana. Presero possesso di un terreno comunale di 6 mila metri quadrati abbandonato da decenni, con l'aiuto di amici lo ripulirono da tonnellate di immondizia cumulate da anni di incuria e iniziarono a coltivarlo.
Oggi questa proprietà non privata è in grado di produrre 15 varietà di patate, altrettante di pomodori, 10 di carote e zucchine, diversi tipi di cavoli, verze, bietole e tante piante aromatiche come prezzemolo, menta, basilico, santoreggia e coriandolo: una piccola ma preziosissima banca di germoplasma in situ a disposizione della comunità locale.
La maggior parte dei semi viene portata e regalata dagli abitanti del quartiere di ritorno da viaggi nei loro paesi d'origine, ma quando serve li comprano e li coltivano in quello che è stato battezzato «Il giardino delle principesse» (dal nome della strada dov'è situato, la Prinzessinnenstrasse), un progetto comunale a cui tutti gli abitanti del quartiere possono partecipare. Una gestione collettiva che permette, a chi disponibile a lavorare sul campo, di avere in cambio ortaggi e verdure a prezzi notevolmente inferiori a quelli offerti dal mercato. Al Prinzessinnengarten non si utilizzano concimi chimici né pesticidi e, dato che ciò che si produce si consuma localmente, non esistono costi aggiuntivi di trasporto e non si inquina.
Durante il rigido inverno berlinese, a coltivazioni ferme, il Prinzessinnengarten riprende la forma di un antico mercato coperto, ristrutturato di recente e utilizzato come centro comunitario e d'incontro, con un bar e un piccolo ristorante dove si cucinano zuppe ed altri piatti, unicamente a base di ortaggi ivi coltivati.
L'orto urbano di Shaw, Clausen e il loro ormai numeroso gruppo di lavoro, ha avuto un tale successo che sono stati chiamati a cooperare a simili progetti sia in altre città tedesche che all'estero (come Amsterdam e Parigi), tengono seminari con università e offrono consulenze. Si parte dalla chiara premessa che «tutti possono imparare di tutto» , ha dichiarato all'agenzia Tierramerica Robert Shaw, documentarista prestato all'agricoltura che ha ereditato l'amore per l'orticoltura dalla nonna, ossessionata dall'autosufficienza alimentare dopo aver conosciuto la fame in tempo di guerra.
Così, partendo dal Prinzessinnengarten di Berlino, le esperienze di agricoltura urbana cominciano ad affermarsi anche in altre grandi città europee. Forse stimolati da una sempre più crescente coscienza ambientalista, forse per i costi sempre più alti degli alimenti, e forse anche per il timore di restare senza cibo, paura interiorizzata nei periodi di benessere ma pur sempre presente nell'inconscio collettivo dei popoli.
Marina Zenobio
Fonte: www.ilmanifesto.it